18 ottobre 2017

Italiani in Svizzera: 26. Condizioni d’abitazione molto varie negli anni '50-70



Le condizioni d’abitazione degli immigrati (italiani) in Svizzera hanno provocato qui e in Italia molti dibattiti, alcune volte avviati da specifiche denunce di abusi e violazioni dei regolamenti, altre volte da presunzioni di abusi, sfruttamento, discriminazione della manodopera estera. Nella letteratura sull’emigrazione, in generale, è stata operata un’azione inaccettabile di enfatizzazione degli aspetti più negativi, per di più generalizzandoli, senza alcun serio tentativo di un’analisi obiettiva della situazione, senza riferimenti a dati statistici ufficiali e senza tener conto di descrizioni di segno positivo.

La situazione riguardante le baracche
Anzitutto è fondamentale distinguere le abitazioni degli stagionali vicino ai cantieri (in prevalenza baracche) dalle abitazioni dei dimoranti annuali o domiciliati nei centri abitati. I problemi infatti erano molto diversi. Basti pensare che le baracche erano ritenute per loro natura provvisorie, quindi destinate ad essere demolite o smontate e portate eventualmente altrove una volta chiuso il cantiere, mentre le abitazioni dei centri abitati erano in muratura e quindi stabili.
Il sogno di molti immigrati degli anni '50-70 del secolo scorso
Nella concezione delle baracche al primo posto veniva la funzionalità, non il confort. Esse dovevano soddisfare i bisogni essenziali dei lavoratori per un periodo ritenuto sempre limitato ed era certamente nell’interesse del datore di lavoro offrire ai propri dipendenti condizioni abitative dignitose e soddisfacenti, anche per evitare lamentale, reclami e ispezioni degli ispettorati del lavoro. Era inoltre impensabile che gli alloggi degli stagionali si trovassero troppo distanti dai cantieri e dai luoghi di lavoro, per cui era inevitabile che soprattutto gli stagionali addetti all’edilizia e al genio civile alloggiassero in baracche, come del resto avveniva in tutti i Paesi europei d’immigrazione.
Non va neppure sottovalutato il fatto che le baracche offrivano anche notevoli vantaggi agli utilizzatori. Per esempio, essendo vicine ai cantieri, facevano risparmiare tempo e denaro per recarsi al lavoro. Inoltre, esse erano relativamente a buon mercato, rispetto agli affitti di un appartamentino proprio. Un immigrato italiano raccontava, presumibilmente agli inizi degli anni ’70, che la stanza in cui erano sistemati 5 letti era abbastanza grossa e pagava, vitto e alloggio, 300 franchi al mese; ne guadagnava 7.70 l’ora. 

Baracche e confort
Il confort delle baracche del dopoguerra era sicuramente superiore a quello d’inizio secolo, soprattutto riguardo alle condizioni igieniche, alla disponibilità di servizi sanitari, al riscaldamento. E’ probabile tuttavia che gli alloggi dei primi immigrati ne fossero ancora carenti. La «qualità» delle abitazioni degli stagionali cominciò a migliorare con l’entrata in vigore (15 luglio 1948) del primo Accordo d’immigrazione tra la Svizzera e l’Italia. Infatti le richieste di lavoratori italiani, inoltrate ai Consolati e alla Legazione d’Italia in Berna (elevata nel 1953 al rango di Ambasciata) dovevano contenere «indicazioni precise sulla natura dell’impiego, il genere e la qualificazione della mano d’opera desiderata, le condizioni di lavoro, di retribuzione, di alloggio e di sussistenza» (art. 6). Dunque, tanto la Legazione quanto i diretti interessati potevano conoscere in anticipo le condizioni d’abitazione.
Una volta sul posto, se i connazionali trovavano la baracca o altro tipo di alloggio non idoneo, avrebbero potuto reclamare tramite il Consolato, il Sindacato o il Patronato, ma raramente lo fecero per paura, per mancanza di sostegno o per ignoranza. In generale, tuttavia, la stragrande maggioranza non aveva motivo di lamentarsi sia perché l’alloggio era quello previsto nel contratto di lavoro e sia perché le alternative erano quasi inesistenti. Chi, per esempio, avrebbe potuto trovare sul mercato delle abitazioni un alloggio più idoneo e a costi sostenibili? Del resto la maggioranza delle baracche non presentava particolari criticità.

Alcune testimonianze
Scriveva, per esempio, il giornalista Vasco Fraccanelli sul quotidiano socialista Libera Stampa nel 1951 sulle baracche del cantiere della Maggia, nel Ticino: «Sopra un pianoro […] è stato costruito un paesino di baracche. Ma intendiamoci, baracche in ordine col pianterreno rialzato in sasso e il piano di sopra in legno ben immaschiato, tanto che da una tavola all'altra non passa il ben che minimo filo d'aria. Lucide e pulitissime, sia all'interno sia all'esterno. Le finestre sono ampie e munite da gelosie, così queste casette ti sembrano più dei veri e propri «chalets», piuttosto che delle baracche…».
Dieci anni più tardi, nel 1961, un altro cronista, del Corriere del Ticino, in un servizio sul cantiere della Verzasca, scriveva fra l’altro a riguardo delle baracche che ospitavano al momento 250 persone: «Più che baracche, dovrebbero essere definite casette. […] Servizi igienici e logistici all'insegna della perfezione. Né vien trascurata quella parte di sana ricreazione (un po' di musica, un po' di televisione, tanta radio, lettura, ecc. ecc.) così che si è costruita una baracca appositamente per tale scopo. […] Un bar e un vasto vano sono a disposizione degli operai che, nelle ore libere, frequentano con piacere questo locale, ove c'è di che rallegrare lo spirito, ove mentre tra una discussione e un'altra, si trova il tempo di scrivere a casa.».
L'«Hotel Ritz» della Grande Dixence (1951-1961)...ristrutturato
Per la costruzione della più grande diga della Svizzera, la Grande Dixence (1951-1961), furono predisposte baracche e un grande edificio chiamato allora «Hotel Ritz», che lo scrittore Maurice Zermatten descrisse così: «una costruzione ultramoderna, in alluminio, [che ha ospitato anche più di 1000 operai …] comprende un ristorante, una sala di proiezione per 400 persone, una ricca biblioteca con libri in tedesco, francese e italiano; sale di lettura e di giochi…».
Anche le baracche principali, quelle a valle, del cantiere di Mattmark erano di buona fattura, come ha confermato in più occasioni uno dei sopravvissuti alla disgrazia del 30 agosto 1965, Ilario Bagnariol. Le baracche a valle, dove dormivano e trascorrevano il tempo libero gli operai, disponevano di acqua fredda e acqua calda, servizi igienici, docce, riscaldamento e quanto serviva agli operai durante il tempo libero. Gli alloggi non solo dei dirigenti ma anche quelli delle maestranze erano secondo lui eccellenti, meglio di tanti alberghi. Purtroppo sulla sicurezza di alcune baracche del cantiere situate in prossimità della diga in costruzione non fu fatto abbastanza, diversamente la disgrazia si sarebbe potuta evitare.

Alloggi in città: rari e costosi
La situazione delle abitazioni nelle città era più complessa a causa della penuria di abitazioni, anche per gli svizzeri, ma soprattutto per gli stranieri. Era quasi impossibile, per uno straniero, trovare subito un appartamento a causa dei costi elevati, oltre che per il diffuso clima antistranieri degli anni ’60 e ’70.
Quando nel 1957 l’Unione Sindacale Svizzera (USS) avanzava la prima richiesta di riduzione del numero degli stranieri, uno degli obiettivi era di non aggravare la penuria degli alloggi e frenare l’evoluzione dei salari (inflazione). Per le stesse ragioni nel 1965 presentò un progetto di legge per ridurre gli stranieri a 500 mila e al 10% della popolazione residente.
Quanto alle critiche dell’on. Giuseppe Pellegrino (PCI) del 1963 (cfr. articolo precedente dell’11.10.2017), nella stessa seduta della Camera dei Deputati l’on. Giuseppe Lupis (PSDI), pur riconoscendo la gravità del problema, osservava che alla difficoltà oggettiva di trovare in Svizzera un alloggio più confortevole e al tempo stesso economico si aggiungeva in molti emigrati un «profondo senso del risparmio», che li spingeva a non cercare nemmeno un’altra sistemazione, essendo «l’elemento predominante per i nostri lavoratori […] il desiderio di accantonare, di risparmiare il più possibile per sé e per la propria famiglia, in vista di un ritorno in patria e dell'acquisto di una casa nel proprio paese o città».
Credo che queste parole dell’on. Lupis spieghino in buona parte fenomeni come quelli delle misere condizioni d’alloggio di molti immigrati italiani nei primi decenni del dopoguerra. Tutto il risparmio era finalizzato a mettere insieme un gruzzolo da impiegare al ritorno in Italia. Pertanto era logico risparmiare anche sulle spese d’abitazione. Il ricercatore Lucio Boscardin ha calcolato per il periodo 1946-1959, un tasso di risparmio (tra vitto, alloggio, imposte, assicurazioni, ecc.) tra il 53 e il 63% delle entrate lorde.

Situazione critica dalla metà degli anni ‘60
In base ai dati del censimento della popolazione del 1960, l'Ufficio federale di statistica (UST) affermava che, nel complesso, le condizioni abitative delle famiglie straniere erano simili a quelle delle famiglie svizzere, ma variavano secondo i gruppi nazionali. Per esempio, le famiglie francesi, tedesche e austriache che disponevano di un bagno erano più numerose di quelle svizzere; per quelle italiane era il contrario. Mentre il 64% delle abitazioni degli svizzeri erano dotate di bagno, la percentuale di quelle degli italiani era solo del 36,9% (media 54,1% per l'insieme delle famiglie straniere).
Anche la grandezza dell’abitazione differiva secondo il gruppo nazionale. Riguardo alle abitazioni di grandezza media, austriaci e italiani ne disponevano in una proporzione più elevata che nei loro Paesi d’origine, mentre per i tedeschi era il contrario. Per quanto riguarda le abitazioni grandi, solo gli italiani ne disponevano meno che al loro Paese (spiegazione: le loro economie domestiche in Svizzera erano costituite in maggioranza da giovani). Nel complesso, austriaci, tedeschi e italiani disponevano in Svizzera di abitazioni meglio equipaggiate (bagno, doccia, riscaldamento, acqua corrente) che nei loro Paesi d'origine.
Le considerazioni dell’UST si riferiscono al 1960, quando gli inquilini erano soprattutto immigrati provenienti dal Nord Italia. In seguito, tuttavia, la situazione abitativa degli italiani, andata via via migliorando riguardo alle baracche, ha incontrato nuove difficoltà per quel che riguarda gli alloggi in città, in seguito all’immigrazione di massa prevalentemente dal Sud, ai ricongiungimenti familiari, resi più facili dopo l’Accordo italo-svizzero di emigrazione del 1964, e soprattutto all’accresciuta paura dell’«inforestierimento». Solo negli anni ’80 e ’90 si registrerà un sostanziale miglioramento, ma alcune differenze resteranno a lungo. Per esempio, gli italiani continuano ad abitare in appartamenti a pigione medio-bassa e sono relativamente pochi i proprietari della propria abitazione.
Giovanni Longu
Berna, 18.10.2017

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