09 agosto 2017

Italianità nel Consiglio federale (prima parte)



Con le dimissioni del consigliere federale Didier Burkhalter si presenta all’Assemblea federale un’occasione favorevole per eleggere il prossimo 20 settembre in Consiglio federale un candidato di alto profilo in rappresentanza di quella Svizzera di lingua e cultura italiana che non vi è più rappresentata da ben 18 anni, ossia dalle dimissioni di Flavio Cotti nel 1999. Saprà coglierla? Le aspettative crescono man mano che il diritto di rappresentanza si rafforza nell’opinione pubblica svizzera e la candidatura di Ignazio Cassis appare una delle più giustificate.

Il problema della rappresentanza
In molti interventi della stampa in lingua tedesca e francese si tende a dimenticare o a sottovalutare il significato storico e istituzionale della rappresentanza linguistica e culturale dei membri del governo centrale, partendo dal presupposto che il Governo federale non è un organo di rappresentanza. Vero, ma solo in parte. E’ infatti innegabile che Popolo e Cantoni, approvando nel 1999 l’attuale Costituzione federale hanno voluto che «la suprema autorità direttiva ed esecutiva della Confederazione» (art. 174) avesse anche la caratteristica della rappresentanza. Recita infatti l’articolo 175 al capoverso 4: «Le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate».
Comunque si voglia interpretare quel capoverso, la rappresentanza nel Consiglio federale delle regioni e delle componenti linguistiche del Paese è sempre stata ritenuta utile e, almeno in certi periodi, addirittura necessaria, come confermano, per quanto concerne la Svizzera italiana, tutte le elezioni dei consiglieri federali italofoni, da Franscini a Cotti. Esse dimostrano pure che due interessi fondamentali della Confederazione ritenuti irrinunciabili, la coesione nazionale e i rapporti di buon vicinato con l’Italia, si tutelano meglio quando in Consiglio federale c’è anche un rappresentante dell’italianità. Sono particolarmente illuminanti i primi due consiglieri federali italofoni: Franscini e Pioda.

Stefano Franscini, cons. fed. dal 1848 al 1857.
Stefano Franscini (1796-1857)
Stefano Franscini, ticinese di nascita, ma svizzero-italiano di formazione (studi a Milano, frequentatore di intellettuali e amico di Carlo Cattaneo, attività politica in Ticino), ha incarnato nel primo Consiglio federale il vero spirito del rappresentante della Svizzera italiana, che guarda tanto a nord (Berna) quanto a sud (Milano, quando si prepara l’unità d’Italia), ma sempre al bene del Popolo svizzero.
Muovendo la Confederazione ancora i primi passi come Stato federale, dopo la guerra lacerante del Sonderbund (1847) e sussistendo ancora molti contrasti da sanare (i ticinesi, per esempio, avevano respinto a grande maggioranza la nuova Costituzione federale, perché si sentivano defraudati di alcuni diritti economici), Franscini ebbe fin dall’inizio del suo mandato la consapevolezza che la forza della Svizzera, per svilupparsi all’interno e intrattenere buoni rapporti con l’estero, risiedeva nella coesione nazionale. Ringraziando i membri dell’Assemblea federale che lo avevano eletto nel primo Consiglio federale» (1848) promise «la più leale cooperazione acciò le nuove istituzioni federali abbiano a procacciare al Popolo svizzero sempre più di concordia e di prosperità».
Si sa che Franscini è stato fedele al suo impegno e il suo esempio ha fatto scuola nel campo della formazione, dell’infrastruttura ferroviaria, della statistica, dei rapporti con i Paesi vicini (in particolare l’Austria che allora dominava in Lombardia), della coesione nazionale (ritenendo per esempio di «estrema importanza» lo studio del tedesco «per famigliarizzare il popolo ticinese col resto della Svizzera»). Molte sue idee non le vide realizzate perché morì, dopo breve malattia, il 19 luglio 1857, mentre era ancora in carica.

G.B. Pioda, cons. fed. dal 1857 al 1864.
Giovan Battista Pioda (1808-1882)
Locarnese, grande amico di Franscini, venne eletto consigliere federale alla sua morte, non solo per dare continuità alla sua opera appena iniziata, ma anche per rafforzare l’opzione Gottardo nei rapporti con l’Italia. In effetti, grazie alle sue vaste conoscenze e relazioni internazionali (studi in Olanda, a Bellinzona, Einsiedeln, Como, laurea in giurisprudenza a Pavia) gli fu facile tessere buone relazioni col mondo politico italiano.
Nel 1864 lasciò il Consiglio federale per divenire ministro plenipotenziario in Italia. Era molto importante in quel momento convincere il governo italiano della convenienza del traforo del San Gottardo e ci riuscì egregiamente, tanto che a finanziare i lavori fu soprattutto l’Italia. La ferrovia del Gottardo, fondamentale per lo sviluppo della

rete ferroviaria svizzera, dell’industria e dei commerci e dunque per la prosperità del Popolo svizzero, non sarebbe stata possibile senza il lavoro di mediatore infaticabile del consigliere federale prima e del ministro plenipotenziario di Svizzera in Italia poi Giovan Battista Pioda. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 9.8.2017

2 commenti:

  1. Gli svizzeri di lingua romancia potrebbero prendere gran parte delle sue riflessioni, farle propre ed esigere un posto im consiglio federale.Sarebbe politicamente corretto ma realmente inutile. Il Consiglio Federale è un organo pratico ed avere dei componenti di lingua francese,tedesca ed italiana, la lingua dei paesi confinanti è politica pratica.Un consigliere di lingua italiana è indispensabile mentre è indispensabile un "sottosegretario" alla alla lingua e cultura romanda, un qualcosa che eviti che si perda, poco a poco. anno dopo anno questa cultura.

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  2. Il problema del romancio è complicato ed è stato risolto dapprima riconoscendolo "lingua nazionale" (1938), poi riconoscendolo anche "lingua ufficiale", ma soltanto in misura limitata, come indica l'articolo 5 della Costituzione federale: "Le lingue ufficiali della Confederazione sono il tedesco, il francese e l'italiano. Il romancio è lingua ufficiale nei rapporti con le persone di lingua romancia". Per evidenti considerazioni pratiche, finché il numero dei consiglieri federali resta limitato a sette, trovo accettabile che la lingua e cultura romancia non possa essere sempre rappresentatala in Consiglio federale, mentre ritengo ragionevole una costante presenza di una rappresentanza della lingua e della cultura italiane, che hanno ormai valenza nazionale, nel senso geografico del termine.

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