Con le dimissioni del consigliere federale
Didier Burkhalter si presenta all’Assemblea federale un’occasione favorevole
per eleggere il prossimo 20 settembre in Consiglio federale un candidato di
alto profilo in rappresentanza di quella Svizzera di lingua e cultura italiana
che non vi è più rappresentata da ben 18 anni, ossia dalle dimissioni di Flavio
Cotti nel 1999. Saprà coglierla? Le aspettative crescono man mano che il
diritto di rappresentanza si rafforza nell’opinione pubblica svizzera e la
candidatura di Ignazio Cassis appare una delle più giustificate.
Il problema della rappresentanza
In molti interventi della stampa in lingua
tedesca e francese si tende a dimenticare o a sottovalutare il significato
storico e istituzionale della rappresentanza linguistica e culturale dei membri
del governo centrale, partendo dal presupposto che il Governo federale non è un
organo di rappresentanza. Vero, ma solo in parte. E’ infatti innegabile che
Popolo e Cantoni, approvando nel 1999 l’attuale Costituzione federale hanno
voluto che «la suprema autorità direttiva ed esecutiva della Confederazione»
(art. 174) avesse anche la caratteristica della rappresentanza. Recita infatti
l’articolo 175 al capoverso 4: «Le diverse regioni e le componenti linguistiche
del Paese devono essere equamente rappresentate».
Comunque si voglia interpretare quel
capoverso, la rappresentanza nel Consiglio federale delle regioni e delle
componenti linguistiche del Paese è sempre stata ritenuta utile e, almeno in
certi periodi, addirittura necessaria, come confermano, per quanto concerne la
Svizzera italiana, tutte le elezioni dei consiglieri federali italofoni, da
Franscini a Cotti. Esse dimostrano pure che due interessi fondamentali della
Confederazione ritenuti irrinunciabili, la coesione nazionale e i rapporti di
buon vicinato con l’Italia, si tutelano meglio quando in Consiglio federale c’è
anche un rappresentante dell’italianità. Sono particolarmente illuminanti i
primi due consiglieri federali italofoni: Franscini e Pioda.
Stefano Franscini, ticinese di nascita, ma
svizzero-italiano di formazione (studi a Milano, frequentatore di intellettuali
e amico di Carlo Cattaneo, attività politica in Ticino), ha incarnato nel primo
Consiglio federale il vero spirito del rappresentante della Svizzera italiana,
che guarda tanto a nord (Berna) quanto a sud (Milano, quando si prepara l’unità
d’Italia), ma sempre al bene del Popolo svizzero.
Muovendo la Confederazione ancora i primi
passi come Stato federale, dopo la guerra lacerante del Sonderbund (1847) e sussistendo
ancora molti contrasti da sanare (i ticinesi, per esempio, avevano respinto a
grande maggioranza la nuova Costituzione federale, perché si sentivano
defraudati di alcuni diritti economici), Franscini ebbe fin dall’inizio del suo
mandato la consapevolezza che la forza della Svizzera, per svilupparsi
all’interno e intrattenere buoni rapporti con l’estero, risiedeva nella
coesione nazionale. Ringraziando i membri dell’Assemblea federale che lo
avevano eletto nel primo Consiglio federale» (1848) promise «la più leale
cooperazione acciò le nuove istituzioni federali abbiano a procacciare al
Popolo svizzero sempre più di concordia e di prosperità».
Si sa che Franscini è stato fedele al suo
impegno e il suo esempio ha fatto scuola nel campo della formazione,
dell’infrastruttura ferroviaria, della statistica, dei rapporti con i Paesi
vicini (in particolare l’Austria che allora dominava in Lombardia), della
coesione nazionale (ritenendo per esempio di «estrema importanza» lo studio del
tedesco «per famigliarizzare il popolo ticinese col resto della Svizzera»).
Molte sue idee non le vide realizzate perché morì, dopo breve malattia, il 19 luglio
1857, mentre era ancora in carica.
Locarnese, grande amico di Franscini, venne eletto
consigliere federale alla sua morte, non solo per dare continuità alla sua
opera appena iniziata, ma anche per rafforzare l’opzione Gottardo nei rapporti
con l’Italia. In effetti, grazie alle sue vaste conoscenze e relazioni
internazionali (studi in Olanda, a Bellinzona, Einsiedeln, Como, laurea in
giurisprudenza a Pavia) gli fu facile tessere buone relazioni col mondo
politico italiano.
Nel 1864 lasciò il Consiglio federale per divenire
ministro plenipotenziario in Italia. Era molto importante in quel momento
convincere il governo italiano della convenienza del traforo del San Gottardo e
ci riuscì egregiamente, tanto che a finanziare i lavori fu soprattutto
l’Italia. La ferrovia del Gottardo,
fondamentale per lo sviluppo della
rete ferroviaria svizzera, dell’industria e dei commerci e dunque per la prosperità del Popolo svizzero, non sarebbe stata possibile senza il lavoro di mediatore infaticabile del consigliere federale prima e del ministro plenipotenziario di Svizzera in Italia poi Giovan Battista Pioda. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 9.8.2017
Berna, 9.8.2017
Gli svizzeri di lingua romancia potrebbero prendere gran parte delle sue riflessioni, farle propre ed esigere un posto im consiglio federale.Sarebbe politicamente corretto ma realmente inutile. Il Consiglio Federale è un organo pratico ed avere dei componenti di lingua francese,tedesca ed italiana, la lingua dei paesi confinanti è politica pratica.Un consigliere di lingua italiana è indispensabile mentre è indispensabile un "sottosegretario" alla alla lingua e cultura romanda, un qualcosa che eviti che si perda, poco a poco. anno dopo anno questa cultura.
RispondiEliminaIl problema del romancio è complicato ed è stato risolto dapprima riconoscendolo "lingua nazionale" (1938), poi riconoscendolo anche "lingua ufficiale", ma soltanto in misura limitata, come indica l'articolo 5 della Costituzione federale: "Le lingue ufficiali della Confederazione sono il tedesco, il francese e l'italiano. Il romancio è lingua ufficiale nei rapporti con le persone di lingua romancia". Per evidenti considerazioni pratiche, finché il numero dei consiglieri federali resta limitato a sette, trovo accettabile che la lingua e cultura romancia non possa essere sempre rappresentatala in Consiglio federale, mentre ritengo ragionevole una costante presenza di una rappresentanza della lingua e della cultura italiane, che hanno ormai valenza nazionale, nel senso geografico del termine.
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