06 dicembre 2016

50 anni fa… nacque il CISAP (2a parte)



L’immigrazione italiana in Svizzera, fino al 1960, non aveva posto particolari problemi né alle autorità italiane, né a quelle svizzere e nemmeno alla società civile. La convivenza era tranquilla. Gli immigrati erano sempre fremd, stranieri, ma benaccetti perché bravi lavoratori e in quel momento l’economia ne aveva assoluto bisogno. La situazione mutò decisamente con l’immigrazione di massa soprattutto dal Sud Italia agli inizi degli anni Sessanta.

Problemi e reazioni
Il ritmo di accrescimento della popolazione straniera cominciò a preoccupare la destra nazionalista svizzera, che vedeva il fenomeno, riprendendo una vecchia espressione d’inizio secolo, come un’«invasione». Per spingere la politica a intervenire non esitò a prospettare scenari terrificanti, dalla crisi degli alloggi alla pressione sui salari, dall’imbarbarimento dei costumi (spesso gli immigrati erano descritti come primitivi e immorali) al sopravvento degli stranieri (paura di non sentirsi più padroni a casa propria), dal rischio di perdere il posto di lavoro al rischio di agitazioni sociali, ecc.
Allievi di uno dei primi corsi del Cisap (1966)
La reazione di moltissimi italiani fu la chiusura e l’assenza di contatti con gli svizzeri. Le associazioni, quelle esistenti e quelle che si andavano via via costituendo, rappresentavano una sorta di riparo sicuro dalle incursioni non solo degli svizzeri ma anche delle autorità italiane, viste non proprio schierate dalla loro parte.
D’altra parte non appariva molto promettente la via delle contestazioni e delle rivendicazioni, né quelle avanzate da qualche politico italiano sprovveduti (per es. il ministro del lavoro Sullo nel 1961), né quelle portate avanti dagli attivisti di alcune associazioni (per es. le Colonie libere italiane). Nei confronti dell’Italia, la Svizzera faceva valere ad ogni occasione gli accordi bilaterali sottoscritti e la via diplomatica, nei confronti di singoli politici non esitava a ricorrere all’interdizione dell’entrata in Svizzera (come nel 1963), mentre nei confronti di attivisti «comunisti» (anche delle CLI) l’espulsione era ritenuta la giusta pena e un deterrente contro la propaganda ritenuta «pericolosa per la sicurezza dello Stato».

CISAP soluzione esemplare
In questo ambiente è sorto il CISAP come iniziativa di alcuni immigrati già inseriti nell’ambiente svizzero in favore degli immigrati degli anni Sessanta che di questo ambiente avevano scarsa conoscenza e che sentivano come estraneo o addirittura ostile. Per questi nuovi immigrati il CISAP rappresentò una specie di ancora di salvezza perché li portava, attraverso l’apprendimento della lingua locale e l’apprendimento di un mestiere qualificato, a rompere il muro dell’isolamento ed entrare a testa alta nell’ambiente «svizzero» del lavoro e dei rapporti sociali.
All’origine del CISAP c’è un’intuizione: quel che rappresentava già allora la scuola per l’integrazione dei bambini in età scolastica, per i lavoratori immigrati doveva essere la formazione professionale adattata agli adulti. L’obiettivo era chiaro, ma la strada per raggiungerlo difficile, perché significava riportare sui banchi di scuola e nei laboratori di apprendimento persone giunte in Svizzera con altri obiettivi  e prospettive di breve durata. Per di più, nemmeno il recente Accordo italo-svizzero sull’immigrazione del 1964, che riguardava molti aspetti della vita degli immigrati italiani, aveva affrontato il problema della formazione professionale. Effettivamente, portare a scuola e nelle officine migliaia di lavoratori, inizialmente poco motivati, dev’essere stata un’impresa difficile e faticosa.
1972: visita al CISAP del pres. della Confederazione Nello Celio
(da sin. J. Allenspach, amb. Figarolo di Gropello, N.Celio, G. Cenni).
Il CISAP è stato anche un esempio che ha fatto scuola di come qualsiasi progetto importante in Svizzera si può realizzare se alla base ci sono il rispetto e la collaborazione. Il CISAP ha puntato subito, fin dall’inizio, al
rispetto delle istituzioni (e forse per questo ha dovuto lasciare nel 1966 l’ambiente in cui si stava formando, quello delle Colonie libere!) e alla collaborazione sinergetica con le autorità italiane e svizzere, con le organizzazioni sindacali e padronali, con le istituzioni locali della formazione professionale.
L’anima dell’organizzazione era italiana, impersonata dal dinamico, motivante e lungimirante Giorgio Cenni, ma il console carismatico di allora Antonio Mancini volle alla presidenza dell’ente, fin dall’atto costitutivo, uno svizzero, un professore di liceo cosciente dei problemi degli immigrati e desideroso anch’egli di aiutarli a risolverli, il prof. Josef Allenspach. Anche nella denominazione il CISAP doveva rendere l’idea di questa collaborazione e da «Centro italiano in Svizzera» divenne presto «Centro italo-svizzero».
Oggi è bello ricordare quel mondo di cinquant’anni fa perché per noi è ampiamente superato (la nuova immigrazione dall’Italia non è comparabile con quella del dopoguerra), ma può essere anche utile per affrontare seriamente e ottimisticamente il problema delle nuove immigrazioni, ad esempio proprio in Italia.
Giovanni Longu
Berna, 6.12.2016