14 settembre 2016

Referendum sì – referendum no. 3a parte: riforma della Camera



Il punto centrale della modifica costituzionale sottoposta a referendum in autunno in Italia non riguarda solo il Senato, ma anche la Camera dei deputati - che diviene «titolare del rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell'operato del Governo» - e il Governo. Il cumulo di funzioni della Camera, che prima erano esercitate insieme al Senato, e il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri farebbero dell’Italia, secondo i sostenitori del SÌ un Paese più efficiente e più moderno, mentre secondo i sostenitori del NO lo rafforzerebbero sì, ma a scapito della democrazia.

Parlamento: disparità tra Camera e Senato
Una prima contestazione riguarda la discordanza tra l’affermazione riportata sopra, contenuta nell’articolo 55 modificato della Costituzione e l’inizio dello stesso articolo che, almeno linguisticamente sembra mettere sullo stesso piano Camera e Senato quando afferma: «Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica». Tradizionalmente, infatti, col termine Parlamento in Italia s’intende l’organo bicamerale detentore del potere legislativo e del controllo politico del governo. Con la riforma, invece, solo la Camera eserciterebbe in via ordinaria queste funzioni, creando di fatto una sostanziale disparità tra le due componenti.
Un’altra contestazione mette in evidenza la disparità del metodo di elezione. Mentre i deputati continueranno ad essere eletti a suffragio universale, i senatori saranno eletti dai Consigli regionali e dai Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano, con metodo proporzionale, tra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. La mancata elezione popolare (su base regionale) dei senatori, si obietta, rende l’intero Parlamento meno rappresentativo della sovranità popolare, espressa in tutte le democrazie moderne attraverso l’elezione diretta di entrambe le camere.
Le obiezioni più forti dei sostenitori del NO riguardo alla Camera dei deputati concernono tuttavia non tanto le sue  maggiori competenze rispetto al Senato, quanto piuttosto, la sua composizione e il suo ruolo nei confronti del Governo.

La Camera di chi?
Anzitutto, quando si dice, nella modifica costituzionale approvata, che la Camera dei deputati è eletta a suffragio universale, quindi da tutti i cittadini italiani aventi il diritto di voto, bisognerebbe ricordare, osservano i sostenitori del NO, come sarà eletta. Infatti, stando alla legge elettorale approvata il 6 maggio 2015, l’Italicum (principale promotore e sostenitore Matteo Renzi), la prossima Camera sarà eletta con un sistema simile a quello della legge precedente (Porcellum) che la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente incostituzionale.
Secondo i sostenitori del NO, qualora al referendum prevalgano i SÌ, la Camera dei deputati, grazie all’abnorme premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale al partito vincente, i maggiori poteri dello Stato potrebbero concentrarsi nelle mani di una sola forza politica e del suo leader.
In pratica e in estrema sintesi, la prossima Camera, nonostante il suffragio universale, sarà ancora una volta espressione delle segreterie dei partiti, anzi dei capipartito, perché saranno loro a decidere le liste e i capilista (bloccati e candidabili addirittura in dieci collegi elettorali). Di più, con l’introduzione del ballottaggio, se nessuna lista raggiungerà il 40% dei consensi al primo turno, al secondo turno la lista vincente, magari espressione di una netta minoranza nel Paese (soprattutto se si tiene conto dei non votanti), otterrà grazie al premio di maggioranza, il 55% dei seggi, ossia 340 seggi su 630, una maggioranza più che confortante per il Governo.
Potrà succedere, dunque, che la Camera, costituita in maggioranza dai rappresentanti di una lista, diventi di fatto espressione non della maggioranza dei cittadini italiani ma dei sostenitori di quella lista e presumibilmente di un grande partito (anche se nella lista possono confluire diversi partiti minori) e addirittura di un capopartito. I sostenitori del SÌ escludono questa possibilità, ammessa invece dai sostenitori del NO. Il rischio di questo referendum è che si trasformi, come voleva in un primo tempo lo stesso Renzi, in un vero e proprio plebiscito sull’attuale capo del governo, che è anche leader del maggior partito politico e principale sostenitore della riforma.

La Camera, il Governo e il leader
La possibilità di eleggere una Camera non rappresentativa della maggioranza dei cittadini (impensabile per i costituenti del 1947) non è l’unica e nemmeno la principale preoccupazione dei sostenitori del NO. Questi si preoccupano soprattutto delle conseguenze di una Camera fortemente condizionata dal modo in cui sarà eletta (sempreché la Corte costituzionale non dichiari anche l’Italicum incostituzionale prima della sua entrata in vigore). Rilevano infatti che nella nuova Camera a farla da padrone non sarebbe più la sovranità popolare, ossia gli elettori, ma una persona in particolare, il capo del partito vincitore, a cui inevitabilmente tutti gli eletti dovranno far riferimento.
Con l’Italicum e con la riforma costituzionale, infatti, il capo del partito vincitore delle elezioni, verrebbe ad acquistare di fatto grazie all’investitura popolare una legittimazione personale straordinaria. Diventando capo del Governo, è facile immaginare, sostengono i contrari alla riforma, l’enorme potere ch’egli potrebbe esercitare non solo sul Governo, ma, indirettamente, anche sulla Camera e, persino sul Capo dello Stato e sulla stessa Corte costituzionale, grazie ai nuovi sistemi di elezione dell’uno e dell’altra.
Secondo alcuni critici, il potere del capolista-capopartito vincitore delle elezioni e inevitabilmente capo del Governo sarebbe paragonabile a quello di un Cancelliere o di un Primo Ministro pur non essendo eletto come tale. Con la riforma, infatti, risulterebbe pressoché impossibile al Presidente della Repubblica non nominarlo Presidente del Consiglio dei ministri.
Il potere del capo del Governo, pur non differendo di molto da quello detenuto attualmente, rischia di diventare enorme perché sono stati notevolmente ampliati i poteri del Governo. Per esempio, esso può esigere un trattamento speciale ogniqualvolta presenti alla Camera disegni di legge con procedura d’urgenza o quando li consideri essenziali per l’attuazione del suo programma. Per il loro esame può chiedere che sia iscritto con priorità all’ordine del giorno dei lavori della Camera affinché possano essere approvati in via definitiva entro 70 giorni.

Visioni apocalittiche o possibilità reali?
Questa nuova situazione creerebbe, secondo gli oppositori della riforma, uno stravolgimento degli equilibri tra i poteri dello Stato, in quanto la Camera del deputati, nella quale il Governo ha comunque la maggioranza assoluta, verrebbe in qualche modo asservita alla volontà del Governo e, secondo il giurista e politico Felice Besostri, contrario alla riforma, «ridotta a ratificare senza discussione tutto quel che vuole il Governo e il suo Presidente».
Queste visioni vengono etichettate come esagerate, «apocalittiche», dai sostenitori della riforma costituzionale, perché comunque continueranno ad esistere le opposizioni e tanto il Capo dello Stato che la Corte costituzionale non potranno rinunciare totalmente alla propria autonomia e al ruolo di garanti riconosciuto dalla Costituzione. Sono invece ritenute possibili, come visto, dai sostenitori del NO.
Per esempio, sostiene Besostri, «l’elezione del Presidente della Repubblica dipenderà dalla lista vincitrice». Infatti dopo l’ottavo scrutinio basterà per la sua elezione la maggioranza assoluta del Parlamento (630 deputati e 100 senatori) in seduta comune, ossia 365 voti. Non dovrebbe essere difficile al Capo del Governo trovare tra i senatori appartenenti al suo stesso partito i 25 voti mancanti al numero dei deputati della maggioranza.
Quanto alla Corte costituzionale, argomenta Besostri, cinque membri sono stati eletti finora da un Parlamento di 945 membri in seduta comune. D’ora in poi ci sarebbero tre membri eletti da una Camera nelle mani del Governo e due da un Senato di appena 100 membri, a mezzo servizio, i quali penseranno ovviamente a nominare giudici che difendano i loro interessi e non i principi costituzionali.

Prodi tra Berlusconi e Renzi
Seguendo con un certo distacco, anche se con interessata curiosità, il dibattito in corso attorno alla riforma costituzionale Boschi-Renzi, non mi sorprende che in fondo si contrappongano non opinioni discordanti sui contenuti della riforma, ma due visioni della politica e dello Stato tra di loro distanti e in parte contrapposte.
Curiosamente, all’attuale legge di modifica costituzionale una delle critiche che muovono gli oppositori è la stessa che nel 2005 il capo della sinistra Romano Prodi rivolgeva alla legge di riforma approvata dal centrodestra (poi bocciata dal referendum), in cui veniva rafforzato esplicitamente il potere del Presidente del Consiglio dei ministri e del Governo. Diceva Prodi: «La Casa delle Libertà (CdL) prepara la dittatura della maggioranza… Concentrano tutti i poteri nelle mani del premier, umiliano il parlamento e limitano il ruolo delle istituzioni di garanzia». Allora la CdL replicava come oggi la maggioranza renziana: «accuse fuori luogo e ridicole». Ai votanti il giudizio finale, ma prima ritengo opportune alcune riflessioni conclusive, nel prossimo articolo. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 14.09.2016