13 aprile 2016

Renzi, il senso dello Stato e la democrazia



L’Italia, Paese di forti contrasti, passa da una «sofferenza» all'altra senza un periodo seppur breve di pace e di sviluppo. Non mi riferisco agli scandali e ai disservizi di cui son piene le cronache, ma alla situazione strutturale di un Paese che non riesce ad essere «normale» e che si trova alla guida un Governo senza un vero progetto di sviluppo e ciononostante chiede al Parlamento (con continui voti di fiducia) e ai cittadini (invitandoli persino a non andare a votare) di «non disturbare il manovratore», Matteo Renzi.

L'Italia non cresce anche a causa della corruzione
L’Italia non è (ancora) un Paese alla deriva, ma rischia fortemente di andarci, perché non è affatto uscito dalla crisi o comunque non tiene il passo dei Paesi più virtuosi dell’Unione europea (UE). Il Bel Paese è ancora alle prese con estese devastazioni ambientali, una disoccupazione giovanile troppo elevata, insufficienti investimenti, lacune e inefficienze nella lotta alla povertà, agli sprechi, all’evasione fiscale e alla corruzione.
Raffaele Cantone
Il Governo, che avrebbe tutto l’interesse a recuperare quanto più denaro possibile per promuovere il lavoro, incentivare l’occupazione giovanile, elevare le pensioni minime, ecc. sembra impotente o incapace di lottare efficacemente contro gli sprechi (nella pubblica amministrazione), il malaffare, l’evasione, la corruzione, l’inefficienza. Pochi giorni fa il presidente dell'Autorità nazionale anti corruzione, Raffaele Cantone, denunciava che il solo Sistema sanitario nazionale è «il terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma» che procurano ogni anno allo Stato danni per oltre 23 miliardi di euro.
L’Italia appare soprattutto un Paese spaccato, con un Nord che produce ricchezza ad un livello paragonabile alle regioni più sviluppate d’Europa e un Sud che raggiunge appena la metà del prodotto interno lordo pro capite del Nord. Allarmante è anche la differenza tra Nord e Sud per quel che riguarda la corruzione. Il recente rapporto 2015 sulla trasparenza in Italia informa che a livello territoriale il 41% dei casi di corruzione è stato rilevato al Sud, il 30% al Centro, il 23% al Nord e il 6% in più luoghi. Il dato però più preoccupante è forse che il divario tra Nord e Sud tende a crescere, ciò che denota un fallimento totale al riguardo dell’attuale come dei precedenti governi.

Italia in crisi di trasparenza
In questo momento, dopo le dimissioni della ministra Federica Guidi, non c’è dubbio che il Governo italiano appaia in serie difficoltà perché ne mette in luce la debolezza e l’inconsistenza. La formula dell’uomo solo al comando, Matteo Renzi, si sta rivelando fallimentare ogni giorno di più, oltre che antidemocratica e pericolosa. Nel caso della Guidi (una telefonata inopportuna al suo compagno) si è
Matteo Renzi
trattato di un errore senza rilevanza penale e giustamente ne paga le conseguenze, ma se un giorno dovesse accadere un errore più grave a un altro ministro, le conseguenze potrebbero risultare più disastrose anche per il Capo del Governo, visto che è sempre lui a decidere gli emendamenti ai disegni di legge, a porre la fiducia in Parlamento, a concedere e togliere le deleghe ai ministri, a nominare consulenti da affiancare ai ministri, ecc.
A dir la verità, a chi scrive il mistero Renzi è ancora tutto da svelare. Se fosse tutto vero quel che scrivono i suoi oppositori, sarebbe già stato scalzato da tempo dalla poltrona che occupa (senza un’investitura democratica!). Evidentemente per far cadere un governo non bastano le promesse non mantenute, le furbate continue, la scarsa trasparenza degli atti compiuti del suo primo ministro. Finora Renzi ha evitato molti ostacoli annunciando qualche decimale in più su alcuni indicatori economici, camuffando alcune riforme da fare con espressioni accattivanti come la «rivoluzione copernicana» del «jobs act» (quanti italiani l’avranno mai capito?), la «estensione delle tutele», la «flessibilità in uscita», ecc., ma soprattutto col suo temperamento. Non è detto che la fortuna di Renzi abbia ancora lunga vita.

Un esempio: il Foia
Una delle ultime denominazioni inglesi adottate dal governo Renzi è il "Freedom of Information Act" (Foia), ossia la versione italiana delle norme che regolano il diritto di accesso alle informazioni pubbliche nelle diverse nazioni. Queste norme Foia, approvate negli Stati Uniti nel 1966, sono state via via adottate (e logicamente adattate) in molti Paesi occidentali. In Svizzera la «Legge federale sul principio di trasparenza dell'amministrazione» esiste dal 2004 ed è considerata fondamentale perché i cittadini possano esercitare i loro diritti con cognizione di causa. E in Italia?
Se ne parla da mesi, ma il governo è riuscito finora ad approvare (20.1.2016) solo una bozza preliminare di decreto riguardante l’accesso ai dati e ai documenti delle pubbliche amministrazioni. Il testo finale ancora non esiste, ma da quanto è trapelato si tratterebbe di «un chiaro tentativo di equilibrare gli interessi delle amministrazioni e dei cittadini», ma conterrebbe tante di quelle eccezioni e limitazioni da renderlo «difficilmente praticabile» se dovesse rimanere allo stato attuale. Insomma... la trasparenza può ancora aspettare.
Non aspettano tuttavia le classifiche internazionali sull’accesso alle informazioni che assegnano all’Italia il 97° posto su un totale di 103 Paesi. Come se non bastasse, un’altra classifica internazionale sulla trasparenza nella lotta alla corruzione colloca l’Italia al penultimo posto in Europa e al 61° nel mondo. Non mi sembra un’ottima credenziale per Matteo Renzi quando pretende di imporre la sua linea in seno all’UE!

Solo esibizionismo e provincialismo?
A questo punto, però, al Presidente del Consiglio Renzi non si può non chiedere: ma perché così poca trasparenza negli atti del governo e della pubblica amministrazione? Perché invita i cittadini a non andare a votare il prossimo 17 aprile sul referendum sulle trivelle? Sono convinto che non esista un’unica risposta, ma oso azzardarne una possibile: in fondo il Presidente Renzi ha paura della democrazia, per cui non ama la trasparenza e l’opinione pubblica ben informata. E ciò mi pare molto grave per il Capo del Governo italiano.
Un aspetto, per altro a detta di molti osservatori goffo, della sua maniera di eludere la trasparenza mi sembra il suo frequente ricorso agli anglicismi (lui che prima di diventare capo del governo diceva «basta anglicismi!») anche in atti pubblici e al suo malfermo inglese. Ha scritto di recente il linguista Michele A. Cortelazzo rispondendo alla domanda: «Ma che senso ha dare un nome inglese, per quanto ufficioso, a una legge italiana? Alla base c’è un mix micidiale di esibizionismo e provincialismo (lo stesso che spinge Renzi a improvvisare discorsi nel suo inglese mal masticato, che diventano poi oggetto di terribili prese in giro), ma anche l'idea che un provvedimento designato da un nome inglese appaia più attraente, moderno ed efficiente di un provvedimento dal nome italiano».
L’esibizionismo di Renzi, a mio parere, non è tuttavia solo un tentativo di semplificazione del linguaggio politico (già avviato da Berlusconi), ma il segnale di un atteggiamento profondamente antidemocratico e di poca considerazione dell’opinione pubblica ben informata.

Crisi di democrazia
Renzi parla (e si comporta) come se davvero si sentisse l’uomo giusto al momento giusto (non oso attribuirgli la convinzione di sentirsi l’uomo della provvidenza) per riformare l’Italia secondo un suo preciso modello di presidenzialismo.
Esagero? Non credo, basta vedere come egli ha concepito le riforme (senza un vero dibattito pubblico e parlamentare), come ha gestito il suo partito (diventandone prima segretario e piegandolo poi ad esprimersi con un’unica voce, quella della maggioranza), come è riuscito a gestire la maggioranza parlamentare (esautorando chi non dimostrava di seguire la linea del partito e dunque la sua), come ha costituito il governo a sua immagine e somiglianza, come ha saputo imporre la sua linea di governo in tutto e per tutto, come ha saputo gestire dapprima la riforma elettorale (finalizzata a garantirgli possibilmente il pieno successo) e come ha gestito il difficile iter legislativo della riforma costituzionale.
Una prova del suo acquisito potere lo dimostra quasi ogni giorno costringendo il Parlamento, ogniqualvolta si prospetta una discussione lunga e pericolosa, soprattutto al Senato, a troncare la discussione e mettere la fiducia su provvedimenti che spesso non hanno nemmeno i requisiti costituzionali della necessità e dell’urgenza.

La prova decisiva
La prova decisiva, tuttavia, Matteo Renzi pensa di darla quando le riforme costituzionali (sulle quali ho espresso in altra occasione non poche riserve) saranno sottoposte al voto referendario. L’esito del referendum sembra ritenuto la sua consacrazione come nuovo Padre della Patria o la sua disfatta, tando da fargli dire che «il no si spiega solo con l'odio nei miei confronti» e che «se perdo il referendum, lascio la politica». 
Non so se è mai stato sfiorato dall’idea che il popolo sovrano (articolo 1 della Costituzione) decide come gli pare per il proprio bene non per consacrare o sconsacrare un primo ministro pro tempore. Meno ancora so se quest’uomo si sente al servizio del popolo italiano che, sia pure in una maniera poco rituale, gli ha chiesto di essere rimesso in carreggiata al seguito dei Paesi più virtuosi d’Europa, oppure si sente un piccolo Napoleone che può ripetere: «Chi m’ama mi segua! Viva l’Imperatore. E tutto il reggimento lo seguì» (A. Dumas). 
Che senso ha mai Renzi dello Stato e della democrazia? Non certo quello del primo Parlamento repubblicano che approvò la Costituzione col 95% di consensi, ossia maggioranza e opposizione quasi all'unanimità. Forse Renzi ha un’altra idea di Stato e di democrazia diversa non dalla mia, ma da quella, per fare giusto qualche esempio, di Piero Calamandrei, eroe partigiano e membro dell'Assemblea Costituente, secondo il quale «lo Stato siamo noi» o dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, che riteneva il sistema elettorale vigente «una frode totale» perché «il parlamentare oggi non è scelto dal Popolo, ma dalle segreterie dei partiti» e riteneva che estendere i poteri dell’Esecutivo fosse possibile, ma non a scapito del Parlamento, «perché sennò è la democrazia che se ne va».

Attenzione!
Un giudizio alquanto severo su Renzi è quello di Ferdinando Imposimato (ex magistrato e uomo politico indipendente eletto nel Partito Comunista Italiano nella X e XII legislatura), che considera Renzi «una sciagura», perché, secondo lui, «la riforma del Senato è orrenda» in quanto, «senza opposizione, una minoranza del 20%, divenuta ingiustamente maggioranza assoluta con legge truffa annullata dalla Corte Costituzionale ha stravolto la Costituzione», «esclude l' opposizione organo della sovranità popolare come maggioranza», «somministra ogni giorno centinaia di menzogne sostenendo che va tutto bene» e «maggiori poteri consentono al Presidente del Consiglio di distruggere ogni speranza di giovani e lavoratori».
Si può considerare forse eccessivo il giudizio di Imposimato, ma non c'è dubbio che l'opinione pubblica deve stare con gli occhi aperti, altrimenti Renzi (o chiunque vincerà le prossime elezioni con la nuova legge elettorale!)  potrebbe diventare davvero «una sciagura» per l'Italia e gli italiani potrebbero trovarsi con un regime al posto della democrazia.

Giovanni Longu
Berna 13.04.2016