06 aprile 2016

Capire la Svizzera: 21. Conclusioni e questioni aperte



Il titolo non deve indurre in errore. Questo articolo, infatti, non intende trarre conclusioni, almeno non nella forma di deduzioni o affermazioni conclusive partendo da quanto scritto negli articoli precedenti. Non vuol essere nemmeno una specie di riassunto delle oltre trenta pagine dedicate a svariati temi. Dal risultato emergerà che si tratta piuttosto del tentativo di raccogliere in pochi paragrafi la quintessenza di «indicatori» che possono servire a «capire la Svizzera» e di evidenziare alcune questioni che restano ancora aperte sul futuro di questo Paese, soprattutto in relazione all’integrazione europea.

L’intento iniziale
Berna, Palazzo federale, «simbolo della nazione svizzera»
Nei venti articoli precedenti ho cercato di mostrare come molti fatti e realtà di oggi, dalla paura del diverso al timore di perdere diritti di sovranità acquisiti, sono comprensibili solo alla luce di eventi e sedimentazioni secolari. E’ vero che anche in Svizzera, come in molti altri Paesi, è in atto una specie di corsa all’innovazione e al progresso, che tende inesorabilmente a lasciarsi alle spalle il passato di tradizioni e concezioni ritenute non più funzionali, ma è inevitabile che le caratteristiche fondamentali di un popolo si trasmettano di generazione in generazione come un’impronta singolare e incancellabile.
Gli indicatori di cui si è trattato negli articoli precedenti sono sintesi di ricerche e approfonditi studi storici, di cui ho tenuto largamente conto. Per esigenze di spazio, non è stato tuttavia possibile corredare gli articoli di note esplicative e riferimenti bibliografici. Ho preferito cercare di mettere in luce l’essenzialità e la validità intuitiva dei singoli indicatori.
Lo scopo di questa serie di articoli non era del resto quello di scoprire la «svizzeritudine», che verosimilmente non esiste concentrata in una sola caratteristica, ma quello di raccogliere insieme le principali caratteristiche storiche, culturali, confessionali degli «svizzeri» per suggerire di volta in volta chiavi di lettura valide, a mio parere, degli eventi attuali di portata sociale, di decisioni politiche, di sentimenti diffusi.

Principali indicatori
1.     Il primato della volontà riferito in particolare al valore della libertà è senza dubbio una caratteristica fondamentale di tutta la storia svizzera. Esso è stato rappresentato nei miti di fondazione, nell’espressione «Willensnation», nazione fondata sulla volontà, ma anche nell’appello costante da parte di intellettuali e personalità politiche di tutti i tempi alla volontà di resistenza e di difesa nazionale contro potenziali nemici esterni o presunti nemici interni o anche solo tiepidi difensori delle libertà individuali e collettive, alla volontà di coesione nazionale (contro i pericoli di sfaldamento), alla volontà di conservare molte tradizioni «viventi» nelle istituzioni e nella società, ecc.
2.     Sul federalismo ci sono sempre state molte discussioni, non tanto sul principio quanto sul «giusto equilibrio» tra Stato centrale e Cantoni. Gli svizzeri sono tuttavia generalmente molto consapevoli che esso è irrinunciabile, non solo perché rappresenta uno dei pilastri su cui si regge la moderna Confederazione dal 1848 ad oggi, ma anche perché costituisce una sorta di piattaforma insostituibile sulla quale possono convivere e persino svilupparsi tutte le esigenze esistenziali del popolo svizzero, altrimenti diviso per origine, lingua, cultura, confessione religiosa, livello sociale ed economico, ecc. L’unico tentativo di stato unitario compiuto da Napoleone è fallito dopo pochi anni, perché considerato totalmente estraneo al sentire svizzero.
3.     Quanto alla neutralità, essa è stata la salvezza della Svizzera in più occasioni, soprattutto durante le due ultime guerre mondiali. Senza di essa il futuro della Confederazione sarebbe stato minacciato o addirittura compromesso dalle frequenti minacce di smembramento. Molto probabilmente la maggioranza degli svizzeri continua a tener fede a questo principio perché allo stato attuale dei rapporti internazionali, almeno a medio o a lungo raggio, non vede garanzie sufficienti per una rinuncia alla neutralità «armata». D’altra parte, anche la neutralità «attiva» non sembra riscuotere enormi successi. Inoltre, non si può escludere che la neutralità rappresenti per numerosi svizzeri ancora un baluardo contro il rischio, percepito come reale soprattutto negli ambienti più conservatori, che la Svizzera finisca per essere assorbita interamente dall’Unione europea (UE), grazie a presunti continui cedimenti alle pressioni dell’UE.
4.     Per decenni, durante la fase di consolidamento della Confederazione, l’identità nazionale ha costituito un obiettivo prioritario da raggiungere per le istituzioni politiche e culturali svizzere. Persino la prima carta nazionale svizzera pubblicata negli anni tra il 1845 e il 1865, priva dei confini cantonali, quella del generale Dufour, fu ritenuta per molto tempo «un’immagine di unità nazionale, nella quale le differenze tra i Cantoni scivolavano in secondo piano».
Per non parlare dei «miti di fondazione» sviluppati soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, dell’adozione della bandiera della Svizzera (1848, ufficialmente dal 1889), dell’istituzione della Festa nazionale (1891 e dal 1994 come giorno festivo nazionale), dell’adozione dell’Inno nazionale (in uso dal 1858, ufficialmente dal 1981), della costruzione del Palazzo federale (inaugurato nel 1902 quale «simbolo della nazione»), delle cinque esposizioni nazionali (
1896, 1914, 1939, 1964, 2002), della difesa del Swiss Made, ecc.
5.     L’identità nazionale è vista ancora oggi come una condizione per conservare durevolmente la coesione nazionale, altro indicatore fondamentale della solidità dello Stato svizzero. E’ alla coesione nazionale che i responsabili della politica hanno sempre fatto appello nelle circostanze più drammatiche della storia svizzera per affrontare con la garanzia del successo tutte le minacce esterne dalla fondazione della moderna Confederazione alla seconda guerra mondiale. Anche oggi è tutt’altro che raro imbattersi in espliciti richiami alla coesione nazionale per poter affrontare con buone prospettive di successo i difficili negoziati con l’Unione europea.Da diverse parti, geografiche e politiche, si fa spesso appello alla coesione nazionale anche per salvaguardare il patrimonio linguistico e culturale del Paese, spesso trascurato e obiettivamente minacciato dall’indifferenza reciproca delle varie regioni del Paese. Segno evidente che il plurilinguismo, altra condizione della coesione nazionale, piaccia o non piaccia, sta perdendo interesse e consistenza nel paesaggio culturale svizzero. E’ probabile che per molti non si tratti (più) di un indicatore prioritario, nell’era di Internet. 
 6.     La democrazia diretta nel 1848 era un dato acquisito ma fragile perché subordinato alla logica della ripartizione del potere tra maggioranza (vincitrice della guerra del Sonderbund) e minoranza (cattolici conservatori sconfitti). Col tempo lo strapotere della maggioranza venne indebolito e le minoranze (conservatori e socialisti), meglio rappresentate in Parlamento e nel Consiglio federale, poterono creare se non un’alternativa uno stimolo determinante al consolidamento della democrazia diretta come partecipazione paritaria di tutti i cittadini alla gestione della cosa pubblica.
Oggi la partecipazione popolare all’organizzazione dello Stato e alle decisioni delle principali regole della convivenza sociale e dei rapporti tra Stato e cittadini è una realtà assolutamente indiscutibile nei principi quando migliorabile nella pratica. Si fa tuttavia sempre più strada nell’opinione pubblica la convinzione che alcune forme di democrazia diretta vadano meglio disciplinate e protette da abusi, ma non credo che la stragrande maggioranza degli svizzeri sarebbe disposta a sacrificarne il principio per eliminare gli abusi. Del resto, il popolo svizzero sembra aver assimilato quantità sufficienti di anticorpi da essere persuaso di trovare da solo le soluzioni migliori senza dover ricorrere a poteri speciali.
7.     L’origine cristiana è senza dubbio una delle principali caratteristiche della Svizzera, anche
perché, quantitativamente, è quella che ha lasciato impronte indelebili ovunque. Il fatto che si costati (statisticamente) una sempre minore adesione alle principali confessioni cristiane e una frequenza calante alle celebrazioni religiose non sminuisce la storia e il significato di quelle impronte, alcune delle quali solidamente ancorate nei simboli più evidenti della Confederazione (Costituzione federale, bandiera nazionale, Palazzo federale, ecc.), altre sparse e caratterizzanti il paesaggio urbanistico e paesaggistico della Svizzera (toponomastica, innumerevoli chiese, conventi, croci, ecc.).

Questioni aperte sul futuro della Svizzera
Sarebbe forse bello, rompendo la mitica sfera di cristallo, immaginare con una certa verosimiglianza il futuro della Svizzera, ma forse non occorrono esercizi di magia per ipotizzare per la Svizzera un futuro in linea con quanto è stato il suo passato. E’ infatti verosimile che le caratteristiche fondamentali evidenziate finora continueranno a segnare la vita di questo popolo e di questo Paese.

Tuttavia gli svizzeri saranno chiamati a decidere in un futuro prossimo, per esempio, se intendono o no superare definitivamente la paura dell’accerchiamento, che condiziona un diverso sviluppo del federalismo, dell’identità nazionale, della posizione (morale) della Svizzera in Europa e nel resto del mondo. Dovranno altresì decidere se i concetti di neutralità, anche nella sua forma «attiva», e di sovranità debbano o no cedere il posto a concetti più consoni alle esigenze del mondo moderno d’integrazione continentale e di partecipazione passiva e attiva (prendendo costi e benefici) alla creazione e diffusione della «comune prosperità».
Non si tratterà di operare nell’immediato una sorta di rivoluzione copernicana, ma è evidente sin d’ora che le conseguenze non saranno insignificanti perché il centro gravitazionale degli svizzeri è destinato a dilatarsi almeno a livello europeo. Tanto varrebbe cominciare a prepararsi, perché il futuro è già cominciato. (Fine)
Giovanni Longu
Berna 6.4.2016