16 marzo 2016

Capire la Svizzera: 19. Verso la parità confessionale



Quando nel luglio del 1847, con una maggioranza di dodici voti, l’assemblea dei delegati dei Cantoni (Dieta) dichiarò sciolto il Sonderbund e il generale Dufour (1787-1875), capo delle truppe dei Cantoni liberali, costrinse alla resa l’esercito dei Cantoni cattolici ribelli (novembre 1847), è possibile che qualcuno tra i vincitori abbia pensato di punire severamente i vinti. Prevalse invece il buon senso, tant’è che, nonostante fosse stato ordinato un processo contro i capi del Sonderbund (rifugiatisi per lo più all'estero), nessuno di loro fu sottoposto a indagine e punito. Evidentemente la maggioranza dei vincitori era consapevole che solo la «parità confessionale» avrebbe posto fine alle lotte tra cattolici e protestanti.

Verso la parità confessionale, ma senza i Gesuiti…
Sant'Ignazio di Loyola, fondatore della
Compagnia di Gesù (di P. Paul Rubens)
Poiché la tolleranza reciproca delle confessioni cristiane prevista nelle diverse «paci nazionali» non aveva superato con piena soddisfazione la prova di durata, vincitori e vinti ritennero indispensabile fissare il principio della «parità confessionale» tra cattolici e protestanti nella Costituzione che un’apposita commissione mista (istituita nel luglio 1847, prima che scoppiasse la guerra del Sonderbund, ma insediata dopo nel febbraio del 1848) stava preparando.
Effettivamente, la nuova Costituzione, approvata nell’estate 1848 dalla maggioranza dei 22 Cantoni (6 e mezzo, compreso il Ticino, votarono contro), garantiva la libertà di culto a tutti i cristiani (ma non agli ebrei!) e imponeva ai Cantoni di farla rispettare (art. 44 Cost. 1848). Tuttavia, poiché era opinione abbastanza comune tra i vincitori che uno dei maggiori ostacoli alla pace confessionale fosse rappresentato dalla presenza in quasi tutti i Cantoni cattolici dei Gesuiti, ritenuti responsabili della guerra del Sonderbund, venne ripreso nella Costituzione (art. 58) anche il divieto di qualsiasi attività religiosa dei Gesuiti, già espulsi dalla Dieta il 3 settembre 1847 e il 26 giugno 1848.
Che non si trattasse di una misura temporanea nei confronti dei Gesuiti lo prova il fatto che con la revisione costituzionale del 1874 quel provvedimento (divenuto l’art. 51) venne ulteriormente aggravato, sembrando evidente la pericolosità dell’ordine dei Gesuiti (la Compagnia di Gesù) per lo Stato e per la pace confessionale. Venne infatti specificato che ad essi era «interdetta ogni azione nella chiesa e nella scuola» e che «questo divieto può mediante risoluzione federale essere esteso anche ad altri ordini religiosi la cui azione sia pericolosa per lo Stato o turbi la pace delle confessioni», aggiungendo (art. 52) che «la fondazione di nuovi conventi od ordini religiosi e il ristabilimento di quelli già soppressi è inammissibile».
Gli storici sono concordi nel ritenere che l’adozione di quell’articolo non fu dettata da motivi religiosi o confessionali, ma fu il risultato di una lotta politica acerrima fra liberali-radicali (in maggioranza protestanti) e conservatori (in maggioranza cattolici) per la ripartizione delle competenze e dei diritti fra Stato e Chiesa e pertanto il loro rispettivo dominio sulle masse.
I Gesuiti fecero in qualche modo da capro espiatorio perché con le loro idee, le loro scuole e la loro influenza sembravano favorire la parte conservatrice, sconfitta nella guerra del Sonderbund. Sta di fatto che per molto tempo il divieto fu applicato con grande rigore e il Consiglio federale ha sempre vigilato affinché l'interdizione fatta ai membri della Compagnia di intervenire nella scuola e nella chiesa fosse rispettata. «Anche il solo salire sul pulpito di un gesuita era considerato “azione nella chiesa”», si legge in un documento dello stesso Consiglio federale. Solo dopo la seconda guerra mondiale molte attività svolte dai Gesuiti in Svizzera cominciarono ad essere tollerate e persino apprezzate.

… e senza illusioni
I Gesuiti non furono tuttavia le uniche vittime di quella sconfitta. La loro interdizione fu accompagnata anche dalla chiusura di un gran numero di conventi sopravvissuti alla Riforma. Nessuno, tuttavia, s’illudeva che, senza Gesuiti e conventi e inserendo semplicemente il principio della parità confessionale nella nuova Costituzione, i problemi della pacifica convivenza delle due confessioni sarebbero stati facilmente superati nei Comuni, nei Cantoni e dunque nella Confederazione.
Il dubbio era legittimo perché era obiettivamente difficile anche solo immaginare un’assoluta parità confessionale, dopo che per secoli era stata negata, per motivi politici ma anche religiosi, persino la possibilità di una tolleranza reciproca: sembrava infatti inaccettabile che il Dio unico dei cristiani potesse essere venerato adeguatamente in due modi tanto diversi.
Inoltre, in molti Cantoni, dai tempi della Riforma, era stata operata una sorta di «pulizia confessionale», ponendo ogni genere di ostacoli all’esercizio del culto cattolico o protestante a seconda della maggioranza nel Cantone, al fine di garantire la massima omogeneità religiosa degli abitanti. I risultati vennero evidenziati al primo censimento federale della popolazione (1850), quando in molti Cantoni la distanza tra maggioranza e minoranza confessionale risultava piuttosto ampia. La distanza tra protestanti e cattolici era particolarmente significativa in alcuni Cantoni emblematici per la loro importanza demografica ed economica: Zurigo (243.928/6690), Berna (403.768/54.045), Vaud (192.225/6962), Turgovia (107.194/21.921), Lucerna (1563/131.280), Friburgo (12.133/87.753), Vallese (463/81.096), Ticino (50/117.707).
Dopo la sconfitta del Sonderbund era sembrato che la pulizia andasse completata, non già con intenti punitivi, bensì per evitare che il precario equilibrio confessionale appena raggiunto si rompesse sul nascere. Tutte le misure prese dovevano avere un intento precauzionale. Sta di fatto che esse comportarono molte frustrazioni, sofferenze, tentativi di ribellione soprattutto tra i cattolici. In un romanzo storico di quegli anni, ), L’ebreo di Verona, il gesuita letterato Antonio Bresciani (1798-1862) parlò di «eroica dedizione» dei «cattolici della Svizzera, oppressi dalla forza bestiale e selvaggia dei radicali».

La contrapposizione protestanti-cattolici si attenua
Il Bresciani forse esagerava, ma non c’è dubbio che in pochi anni la stragrande maggioranza della popolazione di ogni Cantone era divenuta o protestante o cattolica e la minoranza non aveva altra scelta che quella di sottostare alle regole imposte dalla maggioranza. Quelli economicamente e politicamente più forti erano tutti protestanti. Per diversi decenni la maggioranza liberale-radicale in Parlamento non consentì alcuna seria opposizione e tantomeno un’alternativa di governo, dove per altro fino al 1891 tutti i seggi furono detenuti da liberali-radicali. Alla minoranza cattolico-conservatrice non restava che un ruolo politico del tutto marginale. Solo nei Cantoni alpini a maggioranza cattolica ex-Sonderbund questa conservava intatto il suo potere, ormai inattaccabile grazie alla sovranità cantonale riconosciuta dalla Costituzione federale.
Josef Zemp, primo cons. fed. cattolico
Il cammino verso la pace confessionale era ancora lungo. Prima di raggiungerla si dovettero superare non pochi ostacoli come il Kulturkampf (la «lotta tra le culture», soprattutto dopo la proclamazione nel 1870 del dogma dell’infallibilità papale) che evidenziò grandi contrasti anche all’interno del mondo cattolico. C’era infatti in ballo non solo il primato del Papa in materia dottrinale, ma anche, di riflesso, l’autonomia dei Cantoni (cattolici) in materia d’insegnamento. Alcuni cattolici liberali reagirono costituendo una propria Chiesa cattolico-cristiana, per esempio a Berna, col sostegno del Cantone (protestante).
La rigida contrapposizione tra protestanti e cattolici si stava tuttavia attenuando. Nel 1891 per la prima volta un cattolico conservatore, Josef Zemp, venne eletto in Consiglio federale, rompendo il monopolio liberale-radicale. Anche il predominio parlamentare dei liberali-radicali cominciò a sgretolarsi man mano che il partito socialista cresceva (a cavallo tra Ottocento e Novecento), lasciando ampi spazi di manovra anche al conservatorismo cattolico.

Il contributo dell’immigrazione italiana

Un contributo solo apparentemente marginale alla pacificazione confessionale fu dato anche dall’immigrazione italiana. Nel 1888 l’episcopato cattolico svizzero auspicò che sacerdoti italiani fossero presenti, almeno durante le feste religiose, nei luoghi di maggiore concentrazione di immigrati italiani. Nel 1896 i vescovi svizzeri si rivolsero direttamente al Papa Leone XIII perché favorisse l’invio di missionari italiani in Svizzera. Sul finire del secolo, già diversi sacerdoti italiani cominciano a visitare sempre più regolarmente gli emigrati italiani. Dal 1899 e per un lungo periodo l’assistenza religiosa agli immigrati italiani sarà assicurata soprattutto dai missionari appartenenti all’«Opera di Assistenza degli operai italiani emigrati in Europa e nel Levante» fondata dal vescovo di Cremona monsignor Bonomelli. E’ innegabile che fu proprio grazie all’immigrazione, non solo italiana, del secondo dopoguerra che il paesaggio religioso in Svizzera mutò radicalmente, consentendo dapprima un giusto equilibrio tra protestanti e cattolici e poi il prevalere della parte cattolica.
Intanto intellettuali, politici, ricercatori si rendevano sempre più conto dell’anomalia di conservare nella Costituzione i due articoli sui Gesuiti e sui conventi divenuti ormai anacronistici e, secondo molti, in palese contraddizione con alcuni diritti fondamentali garantiti dalla stessa Costituzione. Non fu difficile nel 1973 abrogare in votazione popolare i due articoli, anche se non vi fu quella valanga di sì che molti si aspettavano, nonostante la bassa partecipazione (40,3%). Votò infatti per l’abrogazione poco meno del 55% dei votanti, mentre fu per molti una sorpresa l’alta quota dei no (45,1%), grazie al contributo dei Cantoni di Zurigo (52,8% di no), Berna (65,8%), Neuchâtel (70,8%), Vaud (65,2%), Sciaffusa (54,9%) e Appenzello Esterno (61,5).
Venuto meno quest’ultimo ostacolo, negli ultimi decenni del Novecento la strada verso la parità confessionale si fece sempre più agevole. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 16.3.2016