E’ auspicabile che il popolo svizzero il prossimo fine settimana (28 febbraio 2016) dimostri chiaramente quanto sia ingiustificata e odiosa l’iniziativa per l’attuazione dell’espulsione dei criminali stranieri.
L’iniziativa mi pare ingiustificata perché la materia è già disciplinata esaustivamente dalla legge e i tribunali sono i soli competenti per la sua applicazione. Occorre anche tener conto che qualsiasi legge ha attenuanti e aggravanti e solo i giudici possono valutare la gravità del reato commesso e commisurare la pena da infliggere al condannato.
Accettando l’iniziativa si sottrarrebbe al giudice ordinario la pienezza delle sue prerogative. Inoltre, nel caso di reati gravi, i giudici sarebbero obbligati ad espellere lo straniero «a prescindere dall’entità della pena inflitta» e persino nel caso di reati minori se ripetuti nell’arco di dieci anni.
L’espulsione quale
pena accessoria deve poter essere inflitta caso per caso, ma dev’essere il
giudice a deciderla in base alle sue opportune valutazioni. Guai, per uno Stato
di diritto – e la Svizzera lo è - se il giudice venisse privato di questo
potere.
L’iniziativa è anche particolarmente odiosa,
dal punto di vista dei cittadini immigrati o rifugiati e, si spera, della
maggioranza del popolo svizzero, perché presuppone ancora una concezione dello
straniero già superata da tempo. Era la concezione, tanto per intenderci, di
Schwarzenbach e seguaci, secondo cui gli stranieri in questo Paese potevano
restare finché servivano e si comportavano bene e dovevano andarsene quando non
servivano più o non erano più graditi, secondo il motto «braccia sì, uomini no»
(film del 1970), che richiamava la celebre frase di Max Frisch: «Abbiamo
chiamato braccia… e sono venuti uomini» (1965). Da allora però sono passati, si
spera non invano, cinquant’anni.
Andrebbe inoltre ricordato ai sostenitori
dell’iniziativa che gli stranieri residenti non sono più solo numeri o solo braccia
da sfruttare, ma persone titolari di tutti i diritti, tranne quelli politici,
spettanti ai cittadini di questo Paese, in cui vivono, pagano le tasse e si
comportano come loro. Non sarebbe giusto se dovessero pagare, anche penalmente,
più dei cittadini svizzeri. Pertanto nei loro confronti si deve applicare né
più né meno la stessa giustizia applicata ai cittadini svizzeri. La giustizia è
raffigurata bendata proprio perché non fa e non deve fare distinzione in base
alla nazionalità, alla provenienza o al colore della pelle. La giustizia è
uguale per tutti.
Sono fiducioso. Non penso che la maggioranza del popolo svizzero sia rimasta ferma
all’epoca della xenofobia imperante o che sia disposta a rinnegare gli indubbi
progressi compiuti nel campo del rispetto e dell’integrazione degli stranieri. Tanto
più che, accettando l’iniziativa, rinnegherebbe la stessa democrazia diretta, di
cui a giusta ragione gli svizzeri vanno fieri, perché significherebbe lasciarsi manipolare
facilmente e soccombere allo strapotere di una sola parte, populista e certamente
minoritaria nel Paese.
Giovanni Longu