03 febbraio 2016

Capire la Svizzera: 14. Le basi del successo: lavoro e formazione




Per capire il fenomeno svizzero occorre ricordare che la Svizzera è una terra povera di materie prime, eppure è divenuta nel secolo scorso uno dei Paesi più industrializzati del mondo. Per secoli gli svizzeri hanno dovuto lottare per la loro sopravvivenza lavorando i campi, allevando bestiame ed… emigrando. Poi la Svizzera ha dato lavoro a milioni di immigrati e ora convivono in questo Paese oltre due milioni di stranieri su una popolazione complessiva di poco più di 8 milioni di abitanti. Nel 1945, pur essendo stata risparmiata dalle distruzioni della seconda guerra mondiale, la Svizzera era ancora un Paese tra i più poveri d’Europa. Per acquistare una sterlina occorrevano 17 franchi, ora basta 1 franco e 45 centesimi. Da molti anni ormai la Svizzera è tra i Paesi più ricchi e sviluppati del mondo, gode di un diffuso benessere, è ai primi posti per prodotto interno lordo per abitante.

Lavoro duro, costante e ingegnoso
Cosa ha fatto la Confederazione Svizzera per rovesciare la situazione nell’arco di pochi decenni? Come si spiega questo straordinario sviluppo? Rispondere adeguatamente a queste domande significa riuscire a capire il dinamismo di un Paese che aveva posto già nella sua prima Costituzione federale (1848) come obiettivo primario della Confederazione la promozione della «comune prosperità» e ha aggiunto nell’attuale Costituzione (1999) una precisazione che è tutto un programma «in modo sostenibile», ossia pensando responsabilmente alle generazioni future.
Prima di abbozzare una risposta convincente mi sembra opportuno sgomberare subito il terreno da quella risposta più volte letta e sentita, ma senza fondamento, che lo storico François Garçon attribuisce a «spiriti semplici e superficiali», ossia che «la ricchezza di questo Paese non si spiegherebbe se non grazie alle montagne di risparmi appartenenti a farabutti del mondo intero, venuti a creare depositi a Ginevra o a Zurigo al solo scopo di sfuggire […] a una pressione fiscale troppo elevata nel loro Stato». La ricchezza della Svizzera non è il risultato dei demeriti altrui, ma dei meriti degli abitanti di questo Paese.
Il benessere raggiunto è frutto di decenni di lavoro duro, costante e ingegnoso del popolo svizzero e delle masse di lavoratori immigrati che l’hanno sempre affiancato per il raggiungimento di un ideale di «comune prosperità», ispirato a un’idea illuminista e (forse un po’troppo) ottimista di progresso che doveva alimentarsi dal costante sviluppo dell’educazione, della scienza e della tecnica. 

L’ideale della «comune prosperità»
All’origine del successo svizzero c’è dunque anzitutto un ideale, quello della «comune prosperità». L’aggettivo qui è altrettanto importante del sostantivo perché sta a significare che il benessere generale può essere raggiunto solo col contributo di tutti, salvaguardando «la coesione interna e la pluralità culturale del Paese». Indicando questo ideale, la Costituzione federale, ricorda anche a tutti i cittadini che «la forza di un popolo si commisura al benessere dei più deboli dei suoi membri» e che i fruitori del benessere raggiunto non devono essere solo i contemporanei, ma anche le future generazioni. Il benessere dev’essere sostenibile.
Occorre riconoscere che, pur con tutti i difetti che si possono osservare nelle istituzioni e nei cittadini svizzeri, fondamentalmente la Confederazione non ha mai deviato dall’ideale della comune prosperità. L’ha perseguito con la stessa volontà con cui ha tenuto fede ai suoi principi di neutralità e d’indipendenza e ben sapendo che senza di essa anche la coesione nazionale sarebbe a forte rischio e il federalismo non reggerebbe alle forti disparità cantonali e regionali. Ma la volontà da sola evidentemente non basta, senza il sostegno delle conoscenze.
Come fare senza materie prime?
Per agganciare il progresso dei grandi Stati europei la Svizzera non aveva altra scelta: in mancanza di materie prime e di grandi industrie ha dovuto sviluppare quelle poche che aveva (i prodotti dell’agricoltura, i corsi d’acqua e le montagne) ma soprattutto la materia grigia, l’ingegno.
Già durante la fase preparatoria della prima Costituzione, uno dei principali protagonisti della vita politica di allora e futuro primo presidente della Confederazione, Jonas Furrer, (1805-1861) sosteneva che la futura Confederazione dovesse promuovere, ad esempio, istituti per l’insegnamento superiore, imprese che dessero alla patria «onore e benessere», costruzioni di strade e ferrovie e altre opere di grande utilità «a testimonianza imperitura di quanto possano compiere l’entusiasmo, la forza e la concordia di un popolo».
In questa prospettiva, già nel 1848 si decise di dare alla Confederazione la competenza di creare una scuola politecnica federale (in aggiunta alle università cantonali esistenti) per l’insegnamento delle scienze e delle tecniche necessarie per tutte le professioni e in grado di fornire le basi scientifiche per la realizzazione delle infrastrutture (strade, ferrovie, canali, ecc.) indispensabili allo sviluppo economico. 

La prima Scuola politecnica federale
Politecnico fed. di Zurigo, uno dei più prestigiosi del mondo.
Superate alcune divergenze cantonali, la Scuola politecnica federale (oggi Politecnico federale, PFZ) venne fondata a Zurigo nel 1855. Inizialmente era costituita da cinque dipartimenti (architettura, ingegneria civile e meccanica, chimica e scienze forestali) e da una sezione comprendente matematica, scienze naturali e cultura generale (letteratura ed economia pubblica). Dopo un inizio piuttosto lento, il PFZ si sviluppò incessantemente con nuove cattedre, nuovi docenti, nuovi edifici, nuovi laboratori e un crescente numero di studenti (1000 verso il 1900 e oltre 2000 alla fine della prima guerra mondiale, oltre 15.000 in questi ultimi anni). Anche la qualità dell’insegnamento è cresciuta costantemente, prova ne sia il grande numero di Premi Nobel che si sono formati al suo interno: ben 21 per la fisica e la chimica, il più celebre dei quali porta il nome di Albert Einstein (1921, per la fisica).
Albert Einstein
Parallelamente ai successi del Politecnico federale di Zurigo, a cui si aggiunse nel 1969 il Politecnico federale di Losanna (già istituto privato per la formazione degli ingegneri fondato nel 1853), cresceva anche la qualità delle dieci università cantonali e delle sette scuole universitarie professionali, si sviluppavano nuovi istituti di ricerca di grande prestigio internazionale (uno per tutti l’Istituto Paul Scherrer, fra i maggiori centri di ricerca d'Europa con 1200 collaboratori e attrezzature d’avanguardia), aumentava il numero degli studenti indigeni e stranieri (oltre 170.000 in 40 istituti superiori pubblici).
La Confederazione Svizzera attribuisce grande importanza alla formazione superiore e alla ricerca. Forse per questa considerazione, ma anche per i risultati concreti che produce, gli investimenti pubblici e privati destinati alla ricerca e allo sviluppo sono considerevoli, attorno al 3,1 per cento del prodotto interno lordo (PIL), ossia 18,5 miliardi di franchi (2012), poco meno di un terzo a carico dello Stato. La Svizzera si colloca così ai primi posti nel confronto internazionale rispetto al PIL per gli investimenti in questo settore, ma anche per le attività svolte e per i successi internazionali. Sono in tutto 27 i Premi Nobel svizzeri, innumerevoli i brevetti, i primati e le partecipazioni a grandi progetti di ricerca internazionali.
I successi di ieri e di oggi
Padiglione svizzero all'Expo 2015 di Milano
Le ricadute sull’economia reale sono sotto gli occhi di tutti. L’economia svizzera è tra le più sviluppate del mondo, in parte grazie alla stabilità politica del Paese, all’efficienza dei processi amministrativi, ma soprattutto alla competitività delle imprese, all’elevato livello della formazione delle risorse umane, alla ricerca e all’innovazione.
Una significativa rappresentazione di questo orientamento la Svizzera l’ha fornita recentemente all’Expo 2015 di Milano: una delle quattro torri del padiglione svizzero conteneva caffè, non perché la Svizzera sia un produttore di caffè, anzi non lo è affatto, ma perché è il più grande distributore europeo, tant’è che le esportazioni svizzere di caffè superano addirittura quelle del cioccolato e del formaggio. Già cento anni prima, tuttavia, all’esposizione nazionale di Berna avevano fatto bella mostra di sé altri prodotti di trasformazione (estratti di carne, brodi concentrati e simili) realizzati dall’imprenditore di origine italiana Julius Maggi (1846-1912).
Il padiglione Maggi all'esposizione nazionale di Berna 1914
Evidentemente si tratta di una strada maestra che gli svizzeri hanno imboccato decisamente oltre un secolo e mezzo fa e che sembra portare lontano. Molto lontano, anche in senso spaziale. Tanto è vero che la Svizzera può essere considerata all’avanguardia in numerose ricerche spaziali, grazie ai suoi ricercatori, ma anche ai due politecnici federali e agli istituti di ricerca. Quando la sonda spaziale Rosetta si è posata il 12 novembre 2014 sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dopo un avvicinamento attraverso il sistema solare durato dieci anni, molti in Svizzera si sono rallegrati perché a quel successo scientifico e tecnologico avevano partecipato numerosi ricercatori svizzeri dell’università di Berna e di altri istituti e ditte svizzere.
Sbaglierebbe tuttavia chi pensasse che la Svizzera ha puntato tutto sull’insegnamento superiore e sulla ricerca avanzata. Infatti, pur lasciando ai Cantoni ampia autonomia nel campo della formazione e della cultura (con grave pregiudizio all’unità e al coordinamento dell’insegnamento), la Confederazione ha promosso e sviluppato in tutto il Paese un sistema di formazione generale di base efficiente e competitivo (si pensi agli ottimi risultati conseguiti nei test internazionali tipo PISA) e un sistema di formazione professionale ritenuto anche fuori della Svizzera eccellente (gli apprendisti svizzeri si classificano ai primi posti nei concorsi internazionali), tanto da spingere gli Stati Uniti a stipulare di recente un accordo di cooperazione in questo campo. Per la sua efficacia questo sistema merita senz’altro un approfondimento. (Segue)

Giovanni Longu
Berna 3.2.2016