23 novembre 2016

L’ECO 50 anni fa: «Giornale per gli Italiani in Svizzera»



Quando cinquant’anni fa, nel 1966, Mando H. Forster lanciò il suo giornale, chiamandolo L’ECO Giornale per gli Italiani in Svizzera, probabilmente non immaginava che nel giro di pochi anni sarebbe diventato uno dei mezzi d’informazione più utilizzati in Svizzera dagli immigrati italiani perché in esso ritrovavano l’«eco» delle proprie ansie e delle proprie speranze e davvero una ricchezza notevole d’informazioni varie e utili. Oltretutto il taglio giornalistico era accattivante, alcuni collaboratori godevano di provata bravura e notorietà, a cominciare da Dario Robbiani, la serietà e l’indipendenza del giornale erano una garanzia.

Un giornale completo per gli italiani in Svizzera
L’editore Forster, ha scritto Dario Robbiani in un suo libro, «biascicava poche parole d’italiano ma capiva perfettamente gli immigrati». In effetti riuscì ad interpretare così bene le loro esigenze e i loro problemi che L’ECO ebbe subito tra gli italiani una rapida diffusione e un’accoglienza straordinaria. Probabilmente suscitava grande interesse e simpatia a
Da: L'ECO del 26.1.1967
nche perché, a differenza di molti altri giornali «influenzati nella loro azione da legami di ogni sorta con partiti, trust, gruppi economici», L’ECO voleva essere un giornale libero e indipendente, apartitico e aconfessionale. Inizialmente, nel primo anno, il giornale conteneva quasi esclusivamente inserzioni pubblicitarie ed usciva in modo irregolare.
Molti italiani lo seguivano soprattutto per la ricerca di posti di lavoro o l’acquisto di beni italiani (per es. «pasta tipo Napoli»», mobili, ecc.). La domanda in costante aumento e il relativo incremento delle inserzioni pubblicitarie indussero l’editore già dal secondo anno a trasformare quel prodotto essenzialmente commerciale in un vero e proprio organo di stampa settimanale, convinto che gli immigrati avessero bisogno di «un giornale italiano coraggioso, intraprendente e ricco di nuove idee», ma allo stesso tempo «vivace e interessante». L’ECO doveva diventare un vero «Giornale per gli Italiani in Svizzera».

Lo diventò fin dai primi numeri del 1967 con l’aggiunta di pagine informative con ogni sorta di notizie riguardanti l’Italia, la Svizzera, la politica («La settimana politica»), lo sport (con l’immancabile «pagina sportiva» dedicata specialmente, ma non solo, al calcio), le associazioni, le Missioni cattoliche, ecc., ma soprattutto le tematiche relative all’immigrazione: rapporti con le autorità, rapporti tra italiani e svizzeri (non solo xenofobia), assicurazioni sociali, diritti dei lavoratori, rimesse, salute, attività scolastiche, iniziative culturali, ecc. Trovavano ampio spazio anche le lettere alla redazione.

L’ECO ebbe subito una grande diffusione, perché l’amalgama proposto, «informare, divertire ed essere utile», era quanto di meglio in quel momento offriva il mercato dell’informazione. Oltretutto, la scelta di campo dell’editore e della redazione appariva molto accattivante. In un editoriale del 1967 si diceva: «L’ECO non avrà timore di toccare “argomenti scottanti” [e nella metà degli anni Sessanta ce n’erano!], se ne varrà la pena, e di prendere le parti dei nostri amici italiani. L’ECO si permetterà di intervenire là dove, a suo giudizio, verrà fatta ingiustizia a un italiano […] Non da ultimo vorrebbe il nostro giornale costruire un ponte tra Italia e Svizzera, tra svizzeri e italiani».

«Temi scottanti» e importanti
L’ECO ha affrontato non pochi «temi scottanti» riguardanti direttamente o indirettamente la vita degli immigrati: i rapporti con le autorità italiane, le relazioni con gli svizzeri, i contrasti tra organizzazioni italiane, i problemi scolastici della seconda generazione, la formazione professionale dei lavoratori immigrati, «la salute dei Gastarbeiter», l’atteggiamento da tenere nei confronti della propaganda xenofoba, ecc.
Da: L'ECO del 25.10.1967
Per verificare se i tanti luoghi comuni che contribuivano a rendere difficili le relazioni tra svizzeri e italiani avessero un fondamento reale, sul tema «gli italiani agli occhi degli svizzeri» venne persino condotta un’inchiesta su un campione forse non sufficientemente rappresentativo ma significativo di 400 persone, uomini e donne, appartenenti a categorie sociali differenti, di diversa età, ecc.
Trovo i risultati ancor oggi interessanti perché, almeno in parte, smentirono i pregiudizi che consideravano «gli svizzeri» ostili agli italiani. Infatti «veri nemici degli italiani» risultarono solo il 2% degli interpellati, sebbene un buon 25% ritenesse che le relazioni tra nativi e italiani fossero «poco buone».  L’inchiesta mise in luce anche che il 62% degli interrogati e addirittura il 93% dei datori di lavoro ritenevano gli italiani «lavoratori operosi e attivi» e solo il 3% non voleva più aver niente a che fare con manodopera italiana.

Il tema dell’emigrazione sempre in primo piano
Erano soprattutto i problemi dell’emigrazione/immigrazione al centro dell’interesse del giornale. Essi venivano spesso sottoposti ad analisi puntuali e trattati rigorosamente tenendo sempre conto dell’impatto sui diretti interessati, anche quando implicavano accordi bilaterali tra l’Italia e la Svizzera o l’applicazione di trattati e convenzioni.

Una delle caratteristiche dell’ECO era la serietà con cui certi temi «scottanti» venivano affrontati, senza fare sconti nemmeno agli immigrati. Con un pizzico di sarcasmo nel febbraio 1967 D. B. (Domenico Bianco) bollava il susseguirsi, dalla fine del 1966, di convegni e consulte sui problemi dell’emigrazione, perché producevano solo slogan in «funzione puramente propagandistica con ben definiti scopi politici». Con ben altro stile, in una serie di articoli del 1967, D. B. affrontò «il problema di noi emigrati», che identificava nell’«isolamento», definendolo «il vero problema degli emigrati in Svizzera». Non so quanto sia sostenibile tale tesi, ma probabilmente oggi non riusciamo più ad avere la percezione della profondità del disagio di moltissimi immigrati italiani che si sentivano «mandati allo sbaraglio», abbandonati non solo dalla Svizzera ma anche dall’Italia. A più riprese L’ECO denunciava come gli immigrati italiani giungessero spesso impreparati, non conoscendo praticamente nulla della Svizzera, disposti a svolgendo qualsiasi lavoro pur di far soldi e ritornarsene quanto prima al loro paese. 


Oggi qualcuno potrebbe dire che il vero problema era la xenofobia nascente, mentre per D.B. era semmai l’inazione delle autorità, sia italiane che svizzere, ma anche degli stessi immigrati. Ci si doveva accorgere, secondo il giornalista, che la forte presenza di stranieri («nel 1964 le presenze italiane in Svizzera si aggiravano sulle settecentomila unità») poteva creare qualche problema sociale, tanto è vero che erano sempre più frequenti i «battibecchi» tra italiani e svizzeri e cominciavano a manifestarsi i primi movimenti xenofobi. Ma nessuno reagì. Non l’Italia, interessata «ad alleggerire la sua iperbolica disoccupazione e sottoccupazione». Non la Svizzera, che lasciava mano libera all’economia che necessitava di forza lavoro. Ma nemmeno gli stessi immigrati.

La responsabilità degli immigrati
La franchezza del giornale non lasciava dubbi: «Non reagimmo agli xenofobi che descrivevano la nostra presenza come un pericolo per l’unità della Confederazione consci di quale fosse stato l’apporto del nostro lavoro alla sua stessa economia. Non reagimmo perché ben sapevamo che una certa colpa era da addebitare a noi. Infatti eravamo consci che l’italiano in genere non ha mai approfittato di quei vantaggi che, oltre alla stabilità del lavoro e del soldo, la Svizzera gli offriva. Corsi di lingua, corsi di specializzazione, corsi in genere sono in gran parte disertati dagli italiani. Spinti il più delle volte dalla diffidenza reciproca ci si aliena dall’ambiente sociale svizzero. Gran male, per noi! Perché non ci decidiamo, come molti già fanno, ad entrare nel loro ambiente? Perché non cerchiamo di comprenderli, di farci comprendere?».
Pur non lesinando critiche anche alle autorità svizzere, D.B. riconosceva in qualche modo alla Svizzera di aver preso finalmente coscienza del problema e della necessità di «arrivare ad una stabilizzazione dell’emigrazione» (come chiedevano da tempo anche i sindacati). Con grande perspicacia e lungimiranza L’ECO aveva ben capito il problema dell’«integrazione del lavoratore ospite», quando attorno alla metà degli anni Sessanta del secolo scorso persino il termine «integrazione» era pochissimo usato e non erano ancora emersi sufficientemente i problemi della seconda generazione.
L’ECO non solo si rendeva conto dei problemi, li analizzava e li trattava, ma suggeriva in qualche modo alla Svizzera anche le soluzioni, che in un articolo del 1967 venivano così sintetizzate: «Amalgamare il fattore psicologico e pensare finalmente che anche i figli degli emigrati diventeranno svizzeri e contribuiranno al loro progresso. Trapiantare quei lavoratori cui l’industria svizzera non può rinunciare. Salvaguardarsi, in futuro, quando l’Italia e le altre nazioni, raggiunta la piena occupazione, non rappresenteranno più pozzi da cui si attingono lavoratori».
Anche al riguardo, tuttavia, L’ECO non rinunciava a richiamare la responsabilità degli immigrati: «Pesa su noi, non sui governi, la responsabilità di unirci e confonderci con loro armoniosamente. Dipende da noi soltanto il futuro dei nostri figli e di noi stessi. La Svizzera ci ha offerto i vantaggi di una patria adottiva. A noi saperli sfruttare».

Progetto riuscito?
Sarebbe molto interessante ripercorrere le varie fasi editoriali dell’ECO da «Giornale per gli Italiani in Svizzera» a «Settimanale d’informazione», mettendo in evidenza ciò che è cambiato e ciò che è rimasto immutato. Per farlo occorrerebbe tempo e spazio sufficiente che esula dalle possibilità di questa rubrica, ma potrebbe essere l’oggetto di una tesi di laurea.
In questo articolo ho cercato di evidenziare le intenzioni alla base del progetto editoriale di 50 anni fa, che si proponeva di cogliere l’«eco» proveniente dal mondo dell’immigrazione italiana, per molti aspetti diverso da quello svizzero, ma non così distante da rendere impossibile la costruzione di un ponte «tra Italia e Svizzera, tra svizzeri e italiani». E’ difficile a questo punto dire se quel progetto è stato pienamente realizzato, ma ritengo comunque che il contributo dell’ECO in quest’impresa è stato notevole.


Giovanni Longu
Berna, 23.11.2016

2 commenti:

  1. In quell'epoca ci fu un incontro/scontro fra due culture molto diverse fra loro..Questo incontro non poteva essere esente da tensione.Ignazio Silone nel suo romanzo "Fontamara" scrive di un cafone abruzzese emigrato in Argentina che si capiva benissimo con un cafone argentino sordomuto sostenendo che altrettanto non è possibile fra il mondo contadino ed il mondo industriale. Nella Svizzera di quegli anni l’incontro fu fra un mondo agricolo,latino, cattolico ed un mondo industriale,tedesco e protestante.
    Un contadino trapiantato in un mondo industriale, cattolico in cui il perdono è fondamnetale ed un mondo protestante in cui non c’ grazie senza penitenza, e l’amore per l’ordine e le regole o più esattamente il terrore per il disordine ed il caos non poteva non finire nei pregiudizi reciproci. Il pre-giudizio è un giudizio dato ancor prima di conoscere, un giudizio avventato, da non informato e per combattare il pregiuìdizo, che di danni ne fa parecchi, cìè una sola arma: la cultura che è figlia dell’informazione che è il frutto dell’uomo, non occorre essere una grande testata per fare buona informazione, buona cultura cui segue un giudizio inormato, occorrono persone che ci mettono l’anima.
    Tanti italiani,forse,non si impegnarono appieno perché era lì per poco…”Si pensava di rimanere per poco..”

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  2. In quell'epoca ci fu certamente uno scontro di culture molto diverse, ma con tutta evidenza non si trattava solo di cultura. Basti pensare all'economia, alla politica, ai rapporti bilaterali, ecc. Ritornerò su questi temi fra qualche settimana con una serie di articoli sull'immigrazione italiana in Svizzera. Spero che interessi molte persone. A presto.

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