23 dicembre 2015

Capire la Svizzera 11. Eppure il federalismo funziona!



Quando Flavio Cotti diceva che la Svizzera è un caso speciale, un «Sonderfall» (v. articolo del 16.12.2015), non diceva qualcosa che già non si sapesse. Prima di lui l’avevano già detto in tanti, fin dall’Ottocento, e non vi è storico serio che abbia mai sostenuto il contrario. In effetti l’evoluzione della storia svizzera non è lineare, secondo un piano logico che si realizza senza intoppi, senza contraddizioni, senza scontri, soprattutto all’interno, visto che dall’esterno gli svizzeri si sono sempre difesi bene, almeno dal 1815. Ancor oggi la Svizzera resta, sotto tanti aspetti, un Sonderfall, difficile da interpretare.



La Svizzera vista dall’esterno
Vista dall’esterno, la Svizzera moderna è facilmente riconoscibile, sia pure con molta approssimazione, grazie a una serie di luoghi comuni: è il Paese degli orologi, della puntualità, della pulizia, della cioccolata, naturalmente delle banche, del segreto bancario, ecc. Ai più attenti osservatori, pochi in realtà, non sfugge tuttavia che la Svizzera, pur essendo un piccolo Paese con poco più di otto milioni di abitanti, è anche un grande Paese esportatore di prodotti di alta tecnologia, uno dei Paesi più innovativi e competitivi del mondo, con ben due università tra le prime venti del mondo, un sistema di servizi (commerciali, finanziari, sanitari, previdenziali, turistici, formativi, ecc.) eccellente, una fitta rete di trasporti, ecc. E c’è chi ha voluto fare della Svizzera il Paese della cuccagna, della ricchezza, del benessere, dell’accoglienza per ricchi e anche poveri, insomma un’isola felice in mezzo a un mare burrascoso.

La Svizzera vista dall’interno
Vista dall’interno, invece, la realtà svizzera è meno idilliaca, molto più complessa e di non facile comprensione. Ha infatti i suoi problemi, i suoi conflitti, le sue povertà, i suoi difetti, le sue contraddizioni, le sue paure. Già, la paura. In Svizzera è di casa (v. articolo del 4.11.2015): paura del nuovo, del cambiamento, del rischio, di perdere il benessere duramente conquistato, di essere invasi dagli stranieri, una paura, diceva Max Frisch che rende la Svizzera «un Paese senza utopie», che appare «non come qualcosa in divenire, ma come qualcosa che è diventato eccellente e va difeso».
Un altro grande scrittore svizzero, Friedrich Dürrenmatt, ha paragonato la Svizzera addirittura a una prigione costruita dagli stessi svizzeri per sentirsi più protetti, «al riparo da eventuali aggressioni» (v. articolo del 14.5.2014). In più occasioni ne ha denunciato errori e difetti, mettendo in dubbio l’«identità svizzera» perché «gli svizzeri» non esistono, ma esistono gli svizzeri tedeschi, i romandi, i ticinesi, i retoromanci. Tutti gli svizzeri si sentono «svizzeri» nei confronti degli stranieri, ma tra di loro, tra le varie etnie, «il rapporto non è buono, anzi di per sé non esiste alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma non insieme».

Il federalismo elvetico funziona
Mosaico della cupola del Palazzo federale con al centro la croce svizzera e il motto
«UNUS PRO OMNIBUS /OMNES PRO UNO»  (uno per tutti, tutti per uno)
Le voci critiche sulla questione dell’identità svizzera sono numerose e tutte hanno in comune la difficoltà di trovare una spiegazione plausibile del Sonderfall svizzero. Eppure, è innegabile: la Svizzera esiste e funziona, forse non meglio, certamente non peggio di molti altri Stati, compresi quelli che l’attorniano. Funziona nonostante il federalismo, secondo alcuni, o proprio grazie ad esso secondo altri. Il federalismo, «questo strano concetto» (François Garçon) era già contestato quando la Svizzera divenne federale (1848), perché non era in linea col pensiero allora dominante degli Stati nazionali unitari, tanto più che doveva sembrare già allora paradossale che un piccolo Stato risultasse dall’unione o federazione di ben 22 Stati ovviamente ancor più piccoli. Eppure, il federalismo elvetico funziona ancora, pur con tutti i suoi difetti e gli aggiustamenti subiti in 167 anni di vita. Trovo legittimo chiedersi perché e azzardare alcune risposte.
1.     Il federalismo elvetico funziona perché si fonda su regole semplici e certe di rango costituzionale o convenzionale. La Costituzione del 1848 non lasciava dubbi: la Confederazione riconosce la sovranità dei Cantoni come Stati federati e garantisce il loro territorio, le loro costituzioni, ecc. Confederazione e Cantoni sono tenuti ad esercitare i loro poteri conformemente alla Costituzione, senza prevaricazioni né da una parte né dall’altra. Senza regole precise o accordi di principio (si pensi alla concordanza o alla tolleranza) il federalismo non avrebbe retto alle spinte centripete esercitate dai diversi Cantoni.

2.     Il federalismo funziona perché l’intervento delle istituzioni è basato sul principio di sussidiarietà. Ciò significa che la Confederazione (intesa come Stato centrale) lascia ai livelli istituzionali inferiori (Cantoni e Comuni) tutto ciò che a questi livelli può essere risolto; spetta al livello istituzionale superiore garantire il buon funzionamento e i risultati dei livelli inferiori.
3.     Il federalismo e la coesione nazionale s’ispirano anche al principio di solidarietà, secondo la massima «tutti per uno – uno per tutti», per cui ogni membro dell’unione è chiamato a produrre il massimo sforzo per il bene di tutti secondo le proprie possibilità, specialmente in caso di minaccia, pericolo, difficoltà, anche se concernesse solo una parte minoritaria del Paese.

Per rendere un Paese e le sue istituzioni funzionanti evidentemente non bastano i principi costituzionali o convenzionali: ben più importante è la loro applicazione pratica. In Svizzera, pur con tutti i difetti tipici di ogni organismo sano ma perfettibile, i buoni risultati rendono testimonianza che i principi sono (ancora) validi e la pratica incoraggiante. (segue)
Giovanni Longu
Berna, 23.12.2015