16 dicembre 2015

Capire la Svizzera: 10. Federalismo svizzero, un «Sonderfall»



La Svizzera non sarà mai interamente comprensibile se non si capisce l’origine e la natura del federalismo, che costituisce un principio cardine dell’organizzazione e del funzionamento della Confederazione. Prima del 1848 i Cantoni erano giuridicamente veri e propri Stati sovrani, uniti solo da un patto di alleanza (la Lega dei confederati). Accettando nel 1848 la Costituzione federale (e con essa fondando la moderna Confederazione Svizzera), gli Stati-Cantoni non hanno inteso costituire un’entità sovracantonale a cui sottostare in tutto e per tutto, ma hanno voluto delegare alla Confederazione unicamente quei compiti che separatamente non avrebbero più potuto sostenere (difesa, politica estera, sviluppo economico, ecc.), senza tuttavia rinunciare totalmente alla loro sovranità.

Dalla Repubblica Elvetica alla Confederazione Svizzera
Per comprendere a fondo la portata dell’atto fondativo della nuova Confederazione non è necessario ripercorrere la lunga storia della formazione dello spirito federalistico (dal latino foedus, alleanza, patto) dei Cantoni svizzeri, dal mitico giuramento del Grütli (1291) al 1848. Basta accennare agli sconvolgimenti che hanno caratterizzato la storia svizzera nel cinquantennio precedente il 1848.
Dopo l’occupazione francese del 1798 Napoleone aveva imposto la «Repubblica Elvetica», «una e indivisibile», che aboliva i Cantoni e i poteri cantonali e li sostituiva in blocco con un nuovo Stato unitario in cui la sovranità apparteneva al popolo. La trasformazione fu non solo incomprensibile e sgradita alla maggioranza dei Cantoni, ma provocò anche una lunga serie di contestazioni, disordini, colpi di Stato, lotte tra sostenitori dell’unità nazionale e federalisti, tra liberali e conservatori.
Poiché la situazione rischiava di degenerare, lo stesso Napoleone ritornò sulla sua decisione e, con l’«Atto di Mediazione» del 1803, ristabilì i Cantoni con i loro poteri, non senza qualche innovazione rispetto al passato, soprattutto in materia di diritti civili. Tra le novità più importanti vi fu anche l’elevazione al rango di Cantoni indipendenti di quei territori prima sottomessi («baliaggi») di Argovia, Turgovia, Ticino, Vaud, San Gallo e Grigioni.
Con l’Atto di Mediazione la Svizzera cambiò nuovamente nome per assumere quello che costituisce ancor oggi la denominazione ufficiale: Confederazione Svizzera. Per un momento sembravano attenuarsi i conflitti politici e sociali tra conservatori e liberali, soprattutto dopo che il Congresso di Vienna (1815) aveva restaurato la vecchia Confederazione di Stati e garantito l'integrità dei 22 Cantoni (ai 19 del periodo della Mediazione erano stati aggiunti i Cantoni di Ginevra, Vallese e Neuchâtel).

La guerra del Sonderbund
Il ge. Dufour, vincitore della guerra
del Sonderbund (1847)
La relativa tranquillità rese possibile la revisione di molte costituzioni cantonali, introducendo quasi ovunque elementi di democrazia rappresentativa e maggiori libertà individuali e collettive. Le idee liberal-democratiche contrastavano tuttavia sempre più con quelle conservatrici di alcuni Cantoni, per lo più cattolici. Fu proprio il contrasto tra liberalismo e conservatorismo che mise in serio pericolo l’esistenza stessa della Confederazione Svizzera tra il 1845 e 1847.
Nel 1845, per impedire il propagarsi delle idee liberali e centralistiche (a cui si accompagnava talvolta anche un po’ di anticlericalismo, che si manifestava ad esempio nell’ostilità verso alcuni conventi e ordini religiosi, specialmente i Gesuiti) i sette Cantoni conservatori cattolici di Lucerna, Uri, Svitto, Untervaldo, Zugo, Friburgo e Vallese si unirono in una «Lega separata» (Sonderbund) che si proponeva in primo luogo di difendere la religione cattolica e la sovranità cantonale. La protezione accordata dal Cantone di Lucerna ai Gesuiti, dopo che i liberali ne avevano chiesto l’allontanamento, è sintomatica delle tensioni esistenti in quegli anni anche a livello confessionale. La pericolosità per la tenuta della Lega dei confederati era evidente.
La crisi si aggravò nel 1847 e sfociò in una vera guerra civile (la «guerra del Sonderbund»). Fortunatamente durò poco (25 giorni) e fece poche vittime (93 morti e 510 feriti), grazie anche all’abilità del generale Guillaume Henri Dufour (1787/1875). Incaricato dalla maggioranza dei Cantoni liberali di intervenire con un esercito preponderante di 50.000 uomini, riuscì dopo pochissimi scontri a far deporre le armi ai ribelli e ristabilire l’ordine.
Secondo Dufour, la maggioranza vincitrice non doveva tuttavia infierire sui vinti ed egli stesso si fece promotore di una riconciliazione, per non compromettere la riforma della Confederazione, di cui si discuteva in quegli anni. La posta in gioco era altissima, anche perché gli eventi svizzeri erano attentamente seguiti dalle potenze confinanti. Si riuscì pertanto ad evitare sanzioni umilianti e a costituire per la stesura del nuovo testo costituzionale una Commissione di moderati (anche se prevalentemente dell’area dei vincitori), attenta anche alle richieste dei Cantoni conservatori sconfitti.

La Costituzione del 1848
Alla Commissione non occorsero molte sedute per trovare un compromesso sulla nuova forma di Stato. Se la «Confederazione» era la forma più ovvia e in continuità col passato, meno evidente era la ripartizione dei poteri. Si trattava infatti di conciliare i principio democratico-liberale della sovranità popolare e il principio della sovranità cantonale. L’equilibrio fu trovato nell’adozione del bicameralismo (quasi) perfetto, per cui nel Consiglio degli Stati (paritetico rispetto al Consiglio nazionale) anche i piccoli Cantoni cattolici avrebbero avuto una rappresentanza equa e persino superiore alla loro effettiva consistenza. Avevano infatti lo stesso numero di rappresentanti, due per Cantone, dei Cantoni numericamente più grandi e più importanti.
Berna, Palazzo federale: scorcio dell'aula del Consiglio degli Stati
Il bicameralismo, tuttavia, se assicurava, una buona rappresentanza alle minoranze, non poteva evitare che nelle sedute comuni (soprattutto per l’elezione del governo e dei giudici federali) la rappresentanza popolare del Consiglio nazionale prevalesse. Fu così, per esempio, che i liberali-radicali, dominanti in questo Consiglio, per diversi decenni fino al 1891 occupassero tutti i sette seggi del Consiglio federale.
A ben vedere, dunque, l’origine del federalismo svizzero non fu né un fatto casuale né il frutto naturale di una lenta evoluzione, ma il risultato di un’attenta valutazione di due situazioni drammatiche (Repubblica Elvetica e Sonderbund) e soprattutto di un atto di volontà comune, pena l’autodistruzione della Confederazione. Senza questa volontà e senza il federalismo l’attuale Confederazione non sarebbe mai esistita, anche perché prima o poi a smembrare la Svizzera sarebbero intervenuti i Paesi confinanti, ai quali la Confederazione interessava solo se unita (non unitaria) e neutrale.
Nella Costituzione del 1848 manca una dichiarazione esplicita della Svizzera come «Stato federale», ma il concetto risulta assolutamente chiaro fin dal titolo («Costituzione federale della Confederazione Svizzera») e dal Preambolo (in cui sono indicati alcuni dei principali compiti della Confederazione). I primi articoli fanno capire chiaramente la natura del federalismo svizzero, che resterà inalterato nella sostanza, e con poche modifiche nella forma, fino ai giorni nostri.

Federalismo svizzero: Sonderfall
L’articolo 1 contiene implicitamente il riconoscimento del doppio principio della sovranità popolare e della sovranità cantonale: «Le popolazioni dei ventidue Cantoni sovrani… costituiscono nel loro insieme la Confederazione Svizzera».
L’articolo 2 precisa, necessariamente in forma generica, le principali competenze attribuite alla Confederazione: «La Lega ha per iscopo: di sostenere l’indipendenza della Patria contro lo straniero, di mantenere la tranquillità e l’ordine nell’interno, di proteggere la libertà e i diritti dei Confederati, e di promuovere la loro comune prosperità». Il fatto che la difesa del Paese figuri al primo posto non è casuale, ma risponde a una precisa esigenza dei tempi che non apparivano propizi per il nuovo Stato.
All’articolo 3, qualsiasi eventuale dubbio sul federalismo svizzero scompare del tutto. Infatti è detto chiaramente che «I Cantoni sono sovrani, fin dove la loro sovranità non è limitata dalla Costituzione federale, e come tali, esercitano tutti i poteri, che non sono devoluti all’Autorità federale». Anche l’attuale Costituzione del 1999 riconferma in modo esplicito che «la Confederazione adempie i compiti che le sono assegnati dalla Costituzione» (art. 42 cpv. 1). Il carattere federativo della Svizzera è stato persino rafforzato sottolineando a più riprese che la sovranità appartiene al Popolo e ai Cantoni e che «il Popolo svizzero e i Cantoni… costituiscono la Confederazione».
L'ex consigliere federale Flavio Cotti,
grande sostenitore del federalismo elvetico.
Questo intreccio di sovranità tra Confederazione, Cantoni e Popolo ha dato luogo a un sistema istituzionale complesso e strutturato a più livelli che è unico. Per questo è anche difficile comprenderlo pienamente e soprattutto imitarlo. A giusta ragione, nel 1994 il consigliere federale ticinese Flavio Cotti, riconosceva nel federalismo le vere ragioni del «caso particolare» (Sonderfall) svizzero: «Federalismo, convivenza di lingue e culture diverse, diritti delle minoranze sono elementi distintivi essenziali e profondi della nostra identità culturale, sociale e politica. Sono il risultato di un lungo processo storico. Sono dunque (…) gli unici elementi essenziali che giustificano la definizione di un "Sonderfall" svizzero». E aggiungeva: «[…] il nostro attuale sistema federalista rappresenta la migliore garanzia d'esistenza per le nostre minoranze. La loro rappresentazione in seno alla Camera alta [Consiglio degli Stati], la facoltà d'inoltrare iniziative cantonali, il principio della maggioranza degli Stati nelle votazioni popolari, la capillarità del nostro sistema di diritti politici sono tutti esempi di strumenti creati a questo scopo». (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 16.12.2015