02 dicembre 2015

Capire la Svizzera: 9. Eccesso di identità?




Uno degli elementi che hanno maggiormente contribuito al rafforzamento dell’identità nazionale in Svizzera è rappresentato dal rafforzamento ideale e materiale dei suoi confini nella loro doppia funzione di impedire eventuali aggressioni esterne e di proteggere tutto ciò che si trova al loro interno. Per capire la Svizzera è opportuno chiedersi quanto l’importanza dei confini ha pesato sulla determinazione dell’identità nazionale.

Confini come protezione
La Svizzera vista come un’isola di pace. Si era nel 1914!
Oggi, ha detto il ministro Maurer, «la Svizzera non è un’isola felice».
Il lungo processo aggregativo e d’identità nazionale, iniziato secondo la tradizione col Patto del Grütli nel 1291, ha avuto il suo coronamento formale e il suo riconoscimento internazionale nel 1848, quando i Cantoni e il Popolo svizzero si sono dati una Costituzione e organi federali centrali e quando gli altri Stati hanno riconosciuto l’indipendenza e la sovranità della Confederazione Elvetica entro confini certi (in gran parte fissati già nel 1815).
Parafrasando quel che venne attribuito qualche decennio più tardi a Massimo D’Azeglio (1798-1866) a proposito dell’unificazione dell’Italia, ora che la Svizzera federale era fatta si trattava di «fare gli svizzeri». Impresa tutt’altro che facile, nonostante la volontà consolidata dei confederati di trovare una convergenza tra nord e sud, tra est e ovest. Occorreva inculcare nei confederati un sentimento di «identità nazionale» in grado di conservare durevolmente la «coesione» come nazione.
Per riuscirci, inizialmente niente rimase intentato, seguendo due direttrici: verso l’interno rimuovendo quanti più ostacoli possibile all’accettazione dei principi e dei valori svizzeri, e verso l’esterno esigendo il rispetto dei confini nazionali. Tra i principi venne sancito, per esempio, che «tutti gli Svizzeri sono uguali innanzi alla legge. Nella Svizzera non vi ha sudditanza di sorta, non privilegio di luogo, di nascita, di famiglia o di persona» (art. 4 Cost. 1848). L’esempio più significativo fu dato dalla composizione del primo Consiglio federale, dove le varie parti del Paese, Ticino compreso, erano rappresentate.
Quanto ai confini, non c’erano dubbi: lo scopo primario della Lega era di «sostenere l’indipendenza della Patria contro lo straniero, […] di proteggere la libertà e i diritti dei Confederati, e di promuovere la loro comune prosperità» (art. 2 Cost. 1848). I confini andavano considerati sacri e pertanto difesi a costo della vita perché dovevano salvaguardare quello che i latini chiamavano il Sanctum, ossia tutto ciò che andava «protetto», «garantito», in particolare la libertà e la democrazia.

Confini per favorire l’identità
La funzione dei confini non era solo quella di proteggere la sovranità nazionale, ma anche quella di favorire il senso di appartenenza e l’«identità nazionale». Persino la prima carta nazionale svizzera, quella del generale Dufour, pubblicata negli anni tra il 1845 e il 1865, fu ritenuta per molto tempo «un’immagine di unità nazionale, nella quale le differenze tra i Cantoni scivolano in secondo piano». La stessa «neutralità armata» doveva contribuire a rafforzare l’identità nazionale, perché metteva tutti i confederati, anche grazie al servizio di milizia, sotto la stessa bandiera e uniti dagli stessi ideali.
La ricerca dell’identità nazionale si è protratta a lungo e forse non è ancora terminata se molti ancora s’interrogano: ma esiste davvero «la» Svizzera? E chi sono «gli svizzeri»? Qual è la «svizzeritudine»? Simili interrogativi, per quanto apparentemente provocatori, stanno ad indicare la difficoltà di definire in maniera esaustiva l’identità nazionale svizzera. Del resto grandi scrittori come Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt, nutrivano al riguardo più di un dubbio. Quest’ultimo, in un discorso del 1967, diceva a proposito dei rapporti tra i vari gruppi linguistici e culturali della Svizzera, che «il rapporto non è buono, anzi di per sé non esiste alcun rapporto». E Frisch, nel 1974 si chiedeva dubbioso: «fino a che punto possiamo identificarci con le istituzioni dello Stato e (inoltre) con la loro attuale amministrazione?».

Confine come divisione e pregiudizio
Il confine ha rappresentato certo una protezione, tant’è che nessun nemico ha nemmeno tentato di invadere la Svizzera, ma ha anche favorito un certo isolamento del Paese e la xenofobia. Esso ha infatti segnato per decenni nell’opinione pubblica una sorta di linea di demarcazione tra «noi e gli altri», «svizzeri e stranieri», «padroni di casa e ospiti», «datori di lavoro e forza lavoro». Tale divisione ha contribuito a generare pregiudizi, incomprensioni e persino un certo «odio verso lo straniero» (Max Frisch) oltre a un certo isolamento della Svizzera a livello internazionale.
Si è anche dimenticato che dalle popolazioni confinanti traevano origine e linfa vitale le lingue parlate, le culture e l’economia di questo Paese. Si è invece sviluppata a dismisura l’idea del «diverso» quale caratteristica principale degli «stranieri». Quell’orribile neologismo introdotto nel 1900, la Überfremdung (inforestierimento), ha pervaso buona parte della politica migratoria federale del secolo scorso e ingenerato nel popolo svizzero e in moltissimi stranieri una paura diffusa e profonda, di cui giungono fino ad oggi le conseguenze nefaste. Basti pensare al forte rallentamento del processo d’integrazione e naturalizzazione.
Purtroppo, ancora oggi, i confini e soprattutto i pregiudizi continuano a generare paure ingiustificate, specialmente nei confronti dell’Unione europea, senza considerare che l’integrazione europea può solo rallentare ma non fermarsi. Verosimilmente una ragionevole partecipazione della Svizzera potrebbe invece accelerarla senza che l’identità svizzera ne subisca alcun pregiudizio, anzi si rafforzi acquistando una nuova dimensione.
Giovanni Longu
Berna, 2.12.2015