18 novembre 2015

Capire la Svizzera: 7. La neutralità «attiva»



La prova del fuoco per la «neutralità svizzera» arrivò durante la seconda guerra mondiale, quando la Svizzera, dopo il 1940 interamente circondata dalle forze dell’Asse (Germania-Italia), si sentì minacciata nella sua stessa esistenza.

La politica di buon vicinato
Gen. Guisan, convinto sostenitore della
resistenza armata della Svizzera durante
la seconda guerra mondiale.
Dall’inizio della sua esistenza (1848), la Confederazione aveva cercato di intrattenere rapporti di buon vicinato con i Paesi confinanti. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, il capo del Dipartimento politico federale (DPF), Giuseppe Motta (1871-1940), che non aveva nascosto le proprie simpatie per l’Italia e per lo stesso Mussolini, riteneva che il destino della Svizzera dipendesse ampiamente dal vicino del sud. Da parte sua, Mussolini, affermava pubblicamente di considerare «indistruttibile» l’amicizia tra i due Paesi. Per Motta era dunque vitale un buon rapporto con l’Italia.
I rapporti della Svizzera con il Terzo Reich erano invece meno distesi, anche se corretti, come esigevano gli ingenti scambi tra i due Paesi e i grandi investimenti svizzeri in Germania. Le opinioni di Hitler sulla Svizzera erano note: poiché riteneva il popolo svizzero «un ramo deforme» del popolo tedesco, ne auspicava lo smembramento secondo le regioni linguistiche. Motta dovette faticare non poco per ottenere dalla Germania il riconoscimento della neutralità svizzera.

Neutralità, ma non ad oltranza
Allo scoppio della guerra, prudenzialmente, la Svizzera mobilitò subito l’esercito perché fosse pronto a difendere non solo la sua sovranità nazionale, ma anche la sua specificità di nazione costituita da popolazioni differenti per lingua e cultura. Il Consiglio federale non sottovalutava infatti il pericolo che all’interno della Svizzera (dove il clima sociale era ancora molto teso dopo la grave crisi economica del 1929-32) si potessero costituire fazioni favorevoli all’uno o all’altro belligerante, che sarebbero state pregiudizievoli per la coesione nazionale.
Nel corso della guerra, la neutralità della Svizzera fu messa a dura prova, soprattutto dopo il 1940, quando fu completamente accerchiata dalle forze dell’Asse, non particolarmente benevole nei suoi confronti. Hitler aveva minacciato pesanti ritorsioni per l'abbattimento da parte della contraerea svizzera di 11 aviogetti tedeschi penetrati nello spazio aereo elvetico (1940), Mussolini non nascondeva le sue rivendicazioni (sebbene con poca convinzione) sul Ticino.
Dopo la capitolazione della Francia (25 giugno 1940) e la cessazione delle operazioni militari attorno alla Svizzera, considerazioni di ordine politico e militare (sembrava che Hitler fosse davvero intenzionato a invadere la Svizzera) indussero il Consiglio federale ad essere meno rigido nella difesa della propria neutralità e più accondiscendente nei confronti della Germania.

Compromessi per la sopravvivenza
Fu lo stesso consigliere federale Marcel Pilet-Golaz (1889-1958), successore di Motta a capo del DPF, a sostenere tale scelta (sebbene non condivisa dalla maggioranza del governo federale), ritenendo che in nome della Realpolitik in quel momento fosse prioritaria l’amicizia con la Germania e con l'Italia». Come dire, anche la neutralità è un mezzo da usare con proporzionalità. 
Mussolini e Hitler
In quel momento, la cosa più importante sembrava la sopravvivenza della Svizzera. Inoltre, si riteneva di gran lunga preferibile non urtare la suscettibilità di Hitler e Mussolini piuttosto che provocare le loro reazioni ricattatorie, con prevedibili ripercussioni in campo economico e sociale e persino militare.
In effetti la Svizzera accettò non pochi compromessi soprattutto con la Germania, prova ne sia, per esempio, il brusco cambio di direzione nell’esportazione di armi (nonostante il divieto per un Paese neutrale di fornirle a un paese belligerante). Se nel 1940 le esportazioni d’armi e munizioni dalla Svizzera erano abbastanza bilanciate tra Germania e Italia da una parte (meno di 70 milioni di franchi) e Francia e Gran Bretagna dall’altra (oltre 60 milioni), nel triennio 1941-1943 le esportazioni di armamenti verso la Germania e l’Italia salirono a oltre mezzo miliardo di franchi, mentre quelle verso la Francia e la Gran Bretagna si ridussero drasticamente ad appena 5 milioni.

Sensi di colpa e prammatismo
Una parte dell’opinione pubblica e dell’esercito era contraria ai continui cedimenti del Consiglio federale di fronte alle pretese specialmente della Germania, ed è perciò comprensibile il sollievo che provocò in Svizzera la notizia della morte dapprima di Mussolini e successivamente di Hitler. Ha tuttavia continuato a pesare come un senso di colpa, soprattutto tra gli intellettuali, l’atteggiamento eccessivamente arrendevole della Svizzera, soprattutto nei confronti del dittatore tedesco.
La spiegazione, meno ideale e molto prammatica, è semplice: la Svizzera per garantirsi la sopravvivenza aveva bisogno di certe materie prime (specialmente carbone, ferro, metalli nobili e generi alimentari) che poteva ottenere solo in cambio di esportazioni soprattutto di armamenti. Ciononostante, quel cedimento le verrà spesso rinfacciato come un’onta. Ancora oggi mi sembra difficile esprimere un giudizio storico definitivo. Preferisco fare mia l’osservazione che nel 2002 espresse l’autorevole rivista «La Civiltà Cattolica»: «In quel periodo, la Svizzera accerchiata salvò un briciolo di autonomia soltanto al prezzo di compromessi, che, da allora, le vengono regolarmente rimproverati da coloro che dimenticano la storia».

Neutralità: bilancio decisamente positivo
Pur rinunciando a giudizi storici che non mi competono, ma volendo ugualmente tirare un po’ di somme, non mi pare contestabile che la neutralità abbia procurato alla Svizzera numerosi vantaggi, pur con qualche innegabile svantaggio. Anzitutto ha consentito alla Svizzera fin dal 1848 di veder salvaguardati i propri confini (a parte episodici sconfinamenti e sorvoli del suo spazio aereo da parte di tutti i belligeranti) e la propria indipendenza. Essa è inoltre servita per garantirsi le vie di comunicazione per provvedere al proprio approvvigionamento di viveri e materie prime durante la prima e la seconda guerra mondiale. Il fatto che questa neutralità fosse anche «armata» ha contribuito quantomeno a dissuadere eserciti stranieri a violare impunemente i suoi confini, soprattutto durante la prima e seconda guerra mondiale.
Un altro indubbio vantaggio, che non va affatto minimizzato, è stato l’aver salvaguardato nell’essenziale la coesione nazionale. Senza la neutralità sarebbe stato probabilmente difficile scongiurare le lotte tra fazioni favorevoli all’uno o all’altro belligerante, con conseguenze imprevedibili.
La politica di neutralità perseguita dalla Svizzera ha anche contribuito ad evitare il contagio dell’ideologia fascista prima e di quella nazista dopo, ma in generale di qualsiasi ideologia a rischio di violenze e di forti contrapposizioni (ritenute particolarmente pericolose nel periodo della «guerra fredda»). La Svizzera, in base al suo principio di neutralità, non voleva schierarsi né con gli USA né con l’Unione sovietica, ma mantenere una sorta di equidistanza.
Questo atteggiamento riservato e non schierato della Svizzera spiega, almeno in parte, anche l’atteggiamento severo adottato dalla Confederazione nei confronti delle ideologie che avrebbero potuto compromettere la pace sociale o le relazioni amichevoli con altri Paesi. Nonostante la tolleranza tradizionale della Svizzera verso le fedi religiose, le idee politiche e le ideologie non violente, appena un’ideologia veniva ritenuta «pericolosa», interveniva duramente per impedirne la diffusione. Così avvenne all’inizio del Novecento con l’anarchismo, più tardi col fascismo e il nazismo, infine col comunismo. Com’è noto, molti interventi repressivi della Confederazione hanno riguardato immigrati italiani, sia quando facevano propaganda anarchica, sia quando facevano propaganda per il Partito comunista italiano.

La Svizzera potrebbe fare di più
Berna, Palazzo federale, sede della politica svizzera
Sebbene il bilancio della politica di neutralità della Svizzera sia senz’altro positivo, non trovo esagerato affermare che questo Paese potrebbe fare di più sia nel campo della sicurezza (collaborazione multilaterale) che nel campo della pace (politica dei buoni uffici). La Svizzera ha già fatto tesoro delle esperienze soprattutto della seconda guerra mondiale, riorientando la sua politica di sicurezza, insistendo più che sulla neutralità «armata» sulla neutralità «attiva», cercando di legare maggiormente la neutralità alla «solidarietà», come suggeriva già Max Petitpierre , consigliere federale dal 1944 al 1961. In effetti, oggi la Svizzera interpreta il suo ruolo di Paese neutrale sempre più in questa direzione, come risulta anche dagli obiettivi del Consiglio federale nel «Programma di legislatura 2015-2019». Il 10° obiettivo è così indicato: «la Svizzera sviluppa il suo ruolo di Paese ospitante di organizzazioni internazionali e rafforza il proprio impegno a favore della collaborazione internazionale». Il 16° obiettivo è ancor più esplicito: «la Svizzera si impegna attivamente a favore della stabilità internazionale».
Eppure, la Svizzera potrebbe fare di più, evitando ad esempio alcuni errori del passato, come il ritardo che una neutralità eccessiva ha comportato nell’adesione all’Organizzazione delle Nazioni Unite o il rifiuto di adesione dapprima allo Spazio Economico Europeo e ancora oggi all’Unione Europea, per paura di essere «spennati come un pollo e perdere la libertà», come si diceva in un manifesto anti-adesione nel 2001.
Una politica federale più attiva e più convinta dovrebbe comportare, a mio parere, un maggior impegno della Svizzera a fornire il suo prezioso contributo per una integrazione europea più sostenibile, democratica e rispettosa delle autonomie locali. Le esperienze del passato dovrebbero anche sviluppare la consapevolezza che è sempre meglio prevenire piuttosto che essere costretti più tardi a fare di necessità virtù. In questo senso, i prossimi mesi mi sembrano per la Svizzera un’occasione da non perdere. (Segue)
Giovanni Longu
Berna, 18.11.2015