11 novembre 2015

Capire la Svizzera: 6. La neutralità armata



«Il Consiglio federale ritiene che la neutralità sia un pilastro importante della nostra identità». Questa recente affermazione della presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga lascia intendere non solo quanto sia stata fondamentale la neutralità nella storia moderna della Svizzera, ma anche quanto sia ancora ritenuta importante per la politica estera svizzera e persino per l’identità nazionale. Eppure sono ancora molti, basta navigare in Internet, a ridurre la neutralità svizzera a puri interessi economici, a una forma di egoismo e di disimpegno internazionale. Per capire la Svizzera è indispensabile cercare di capire anche le vere ragioni della sua neutralità, quella di ieri e quella di oggi.

Dalla dominazione romana all’occupazione francese del 1798
Gli svizzeri hanno dovuto lottare dapprima per conquistare e poi per conservare la libertà. Essi tuttavia non l’hanno conquistata e conservata solo con le armi, ma anche con la diplomazia (politica di buon vicinato con i Paesi confinanti) e soprattutto con la neutralità «armata». Fin dal tempo della dominazione romana gli antenati degli svizzeri cominciarono a capire che un Popolo piccolo in un Paese piccolo, tra le montagne e senza sbocchi sul mare, poteva sopravvivere in pace e in libertà solo garantendosi il rispetto e l’approvazione dei Paesi vicini.
I Cantoni svizzeri che fornivano numerosi potentati europei di mercenari se ne resero maggiormente conto solo dopo la sconfitta di Marignano (1515) da parte dei francesi, quando i confederati avvertirono che le loro ambizioni di divenire una grande potenza erano finite probabilmente per sempre. Ma i tempi non erano ancora maturi né per uno Stato unitario né per instaurare un rapporto equilibrato con gli Stati vicini. Non è dunque sostenibile la tesi secondo cui gli svizzeri fossero divenuti neutrali nel 1515.
Dovranno passare alcuni secoli prima che tra i confederati maturasse l’idea di una forma di Stato che, superando il vecchio sistema di alleanze tra i Cantoni, si concretizzasse in un vero Stato federale, e prima che si ponesse concretamente la questione della neutralità. La moderna «Confederazione» nacque con l’approvazione della Costituzione federale del 1848, ma della sua neutralità si discusse già mezzo secolo prima dopo l’occupazione francese del 1798.
Con l’occupazione della Svizzera (gennaio-marzo 1798), le truppe rivoluzionarie francesi posero fine non solo alla «vecchia Confederazione» (allora composta da 19 Cantoni) ma anche alle libertà e alle sovranità cantonali. La Francia impose infatti una nuova costituzione (entrata in vigore il 12.4.1798) e anche una nuova denominazione dello Stato, «Repubblica Elvetica» e non più Confederazione. Essa doveva essere «una e indivisibile», ma soprattutto fedele alleata della Francia. La firma di un’alleanza offensiva e difensiva (19.8.1798) pose fine alla guerra, ma anche all’indipendenza e alla sovranità della Svizzera. Divenuta Stato satellite della Francia, «l'Elvetica dovette rinunciare alla propria neutralità e perse ogni margine di autonomia in politica estera». Il suo territorio divenne teatro di operazioni belliche e attraversato impunemente da truppe delle grandi potenze interessate al controllo delle trasversali alpine.

Il Congresso di Vienna garantisce la neutralità della Svizzera
I confederati cominciarono forse solo allora a pensare seriamente alla difesa della propria libertà e indipendenza, ma anche a come sostenere efficacemente la neutralità della Svizzera. Sta di fatto che giunsero preparati al Congresso di Vienna e al successivo Trattato di pace di Parigi, dove chiesero e ottennero il riconoscimento ufficiale della sovranità e della neutralità della Svizzera.
Il Congresso di Vienna (18.9.1814-9.6.1815), organizzato dalle principali potenze europee per rimettere ordine in Europa dopo gli sconvolgimenti avvenuti in seguito alla Rivoluzione francese e alle guerre napoleoniche, era chiamato a risolvere anche la questione della Svizzera, fino ad allora Paese satellite della Francia. I delegati svizzeri rivendicarono di fronte ai rappresentanti delle grandi potenze il diritto della Svizzera come Paese neutrale all’integrità e all’inviolabilità del suo territorio. 
Non appena concluso il Congresso di Vienna e prima ancora che il successivo Trattato di Parigi del 20 novembre 1815 (seguito alla definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo) sancisse per la prima volta secondo il diritto internazionale la neutralità perpetua della Svizzera, i 22 Cantoni che allora la componevano (ai 19 preesistenti il Congresso aveva aggregato i territori sottratt alla Francia di Ginevra, Vallese e Neuchâtel) stipularono, «in nome di Dio onnipotente», il Patto federale del 7 agosto 1815.
Dopo aver indicato all’articolo 1 la finalità del Patto («per il mantenimento della loro libertà e della loro indipendenza contro ogni attacco da parte dell’estero» e garantirsi reciprocamente il loro territorio) i 22 Cantoni stabiliscono all’articolo 2 che «per assicurare l’effetto di questa garanzia, e per sostenere efficacemente la neutralità della Svizzera, sarà formato un contingente di truppe con uomini abili al servizio militare in ciascun Cantone, nella proporzione di due soldati sopra cento anime».

La neutralità «armata»
Da quel momento la neutralità svizzera ha costituito e ancora costituisce uno dei più solidi capisaldi della politica estera della Confederazione, anche se nel tempo le modalità d’interpretazione e di applicazione sono mutate. Sono rimasti invece immutati i principi in base ai quali la Svizzera ha sì un obbligo di astensione (dalla partecipazione a una guerra tra altri Stati, compiendo atti di ostilità nei confronti dell’uno o dell’altro belligerante, come pure dall’adesione ad alleanze militari, anche se difensive), ma anche un obbligo di prevenzione e di sostegno della propria neutralità. Due obblighi che sono significativamente sintetizzati nell’espressione «neutralità armata».
Il concetto di neutralità già presente nel Patto federale del 1815, fu ritenuto fondamentale anche dalla moderna Confederazione, ma non venne inserito esplicitamente nella Costituzione del 1848. Era per così dire implicito perché era ormai praticato da tempo e le grandi potenze avevano garantito al Congresso di Vienna la neutralità perpetua della Svizzera. Doveva però apparire chiaro a tutti che la Confederazione, pur essendo decisa a rimanere neutrale, non voleva essere disarmata e avrebbe respinto con le armi qualsiasi violazione della propria sovranità.
Per capire bene il senso di queste affermazioni non va dimenticato che si era in un periodo particolarmente travagliato della storia europea (il 1848 fu caratterizzato da numerose rivoluzioni in diversi Paesi europei). Disporre di un esercito efficiente e credibile dovette apparire giudizioso agli estensori della prima Costituzione federale, tanto più che l’articolo 2 assegnava allo Stato come primo compito quello di «sostenere l’indipendenza della Patria contro lo straniero». La neutralità doveva quindi essere «armata».
La determinazione con cui negli anni immediatamente successivi alla proclamazione del Regno d’Italia (1861) la Svizzera fece chiaramente intendere agli irredentisti italiani che ogni tentativo d’invasione anche solo di una parte del proprio territorio sarebbe stato contrastato efficacemente è forse servita a salvaguardare la pace al confine meridionale con l’Italia. La stessa determinazione deve aver scongiurato qualsiasi sconfinamento di truppe in territorio svizzero durante la guerra franco-prussiana del 1870-71. La neutralità non ha tuttavia impedito alla Svizzera di accogliere sul proprio territorio numerosi esuli italiani e l’armata francese del generale Bourbaki, che rischiava di essere annientata dalle armate tedesche nel 1871. La neutralità, in certi casi, è anche accoglienza.

La neutralità svizzera fino alla prima guerra mondiale
Dal 1848 la Svizzera ha sempre dichiarato di essere decisa a difendere anche con le armi il proprio territorio e la propria sovranità. Effettivamente gli svizzeri si sono preparati, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, ma soprattutto durante la prima e seconda guerra mondiale, a difendere il proprio territorio. Moltissime opere di difesa (bunker, casematte, ostacoli anticarro, alloggiamenti sotto il piano stradale per minare ponti e gallerie, ecc.), da est a ovest e da nord a sud, stanno ancora oggi a testimoniarlo.
In verità, la Svizzera si sentiva in qualche modo protetta dalla neutralità (alla Conferenza dell’Aja del 1907 aveva firmato tutte le convenzioni sui diritti e i doveri degli Stati neutrali), tanto è vero che agli inizi del 1914 non avvertì subito i venti di guerra che agitavano l’Europa e allo scoppio della prima guerra mondiale giunse totalmente impreparata. Non aveva predisposto né il dispositivo militare di difesa né il necessario approvvigionamento economico e non disponeva ancora di una vera difesa aerea.
Ciononostante, nel Messaggio del Consiglio federale all’Assemblea federale del 2 agosto 1914, si affermava che la neutralità, l’indipendenza e l’integrità della patria presuppongono la ferma risoluzione del popolo svizzero a respingere con la forza delle armi ogni attacco straniero da qualunque parte provenga. Con questa presunzione, il 4 agosto 1914 la Svizzera notificava alle Potenze europee la propria neutralità, ottenendo da ciascuna di esse la garanzia del rispetto «scrupoloso».
Da parte sua, la Svizzera s’impegnava (ordinanza del 4 agosto 1914) a osservare «la più stretta imparzialità nei confronti di tutti i belligeranti», evitare ogni atto ostile nei confronti dei Paesi belligeranti, autorizzare il trasporto sul proprio territorio di feriti o malati, ecc. Non poteva invece assumere impegni ulteriori, soprattutto nei confronti della Germania (blocco totale delle importazioni ed esportazioni, se il caso), come richiesto alla fine della guerra dalle Potenze vincitrici. (Segue)
Giovanni Longu
Berna 11.11.2015