14 ottobre 2015

Capire la Svizzera: 3. Libertà e benessere



Che gli svizzeri abbiano sempre avuto un’alta considerazione della libertà non ci sono dubbi. Ma da dove nasceva, nel passato, tale considerazione? E nel tempo come è evoluto il concetto di libertà? Cosa intende oggi per libertà la maggioranza degli svizzeri?

Le prime esperienze
Secondo alcuni storici antichi, per secoli gli Elvezi erano vissuti pacificamente e nella parte occidentale dell’Altipiano svizzero. Quando, nel primo secolo avanti Cristo, si sentirono minacciati dai Germani, che premevano da nord nel tentativo di penetrare nell’Impero romano, cercarono rifugio e terre più fertili nella Gallia già conquistata dai Romani. Era forse la prima volta, in epoca storica, che gli Elvezi cercavano di difendere la loro libertà.
Si sa, il tentativo fallì e dovettero sottostare alle condizioni del vincitore, Giulio Cesare, che però, invece di umiliarli (come avevano fatto gli Elvezi nei confronti dei Romani nel 107 a.C.), offrì loro una pace onorevole, anzi un’alleanza (foedus), che garantiva agli «alleati» alcuni privilegi e piena libertà in quella che oggi si direbbe «politica interna». Gli antenati degli Svizzeri non potevano rifiutare l’offerta e forse si resero conto già allora che la libertà è quasi sempre un compromesso, seppur a condizioni accettabili.
Non sempre tuttavia i successori degli Elvezi fecero tesoro di quella lezione, forse perché rimasti a lungo vittime di quell’afflizione che attribuiva loro Cesare descrivendoli come «molto bellicosi» e «afflitti» dalla ristrettezza del territorio in cui vivevano, ritenuto «troppo piccolo rispetto al numero del loro popolo e alla gloria che avevano per il loro valore in guerra».

Svizzeri e liberi
C’è tuttavia dello straordinario nella storia svizzera fino alla nascita della moderna Confederazione (1848): le varie occupazioni subite, i tentativi espansionistici di alcuni Cantoni, le sconfitte sopportate, le divisioni e persino le lotte interne, non hanno fatto che rafforzare nella coscienza degli antichi confederati il binomio «Svizzeri e liberi». Nel frattempo, tuttavia, il concetto di «libertà» è evoluto.
In certi momenti, nel XIII e XIV secolo, la libertà, identificata con l’indipendenza di un popolo da una dominazione esterna, era ritenuta un bene prioritario da raggiungere con ogni mezzo. Soprattutto nei secoli XVIII e XIX i «miti di fondazione» hanno contribuito molto a inculcare negli svizzeri moderni questa accezione di libertà.
In altri momenti, invece, quando l’indipendenza e la sovranità apparivano garantite, soprattutto dopo la Pace di Vestfalia (1648), col termine libertà s’intendeva piuttosto l’insieme delle libertà individuali e collettive del popolo. Una grande spinta in questa direzione è venuta dalle idee rivoluzionarie francesi penetrate in Svizzera specialmente dopo l’occupazione francese del 1798.
Si sa che la successiva abolizione dei Cantoni e la creazione della Repubblica Elvetica sotto il protettorato francese non furono gradite né dai Cantoni né dal popolo svizzero, tanto che Napoleone fu in pratica costretto col famoso Atto di Mediazione (1803) ad abbandonare il principio della repubblica «una e indivisibile» e ridare alla Svizzera una costituzione che riprendeva la tradizione federale. Non si trattò tuttavia di un semplice ritorno al passato. Infatti molte idee «rivoluzionarie» erano state accolte bene nella maggioranza dei Cantoni cosiddetti «liberali» (al contrario di quanto avvenne nei Cantoni «conservatori»), come l’estensione delle libertà individuali, l’abolizione delle differenze fra i cittadini delle campagne e quelli delle città, il miglioramento dei rapporti tra cittadini e governi cantonali.
Risale a quest’epoca anche l’abolizione dei «baliaggi» (territori soggetti ad altri Cantoni sovrani), che consentì, ad esempio, ai baliaggi «italiani» a sud del Gottardo di divenire nel 1803 un cantone sovrano a tutti gli effetti col nome di Cantone Ticino.

Libertà in pericolo
Venuto meno nel 1813 il potere napoleonico, molte conquiste liberali e democratiche rischiarono di essere travolte nei decenni successivi dalle lotte interne a molti Cantoni tra riformisti liberali e conservatori. Il Congresso di Vienna (1815) era intervenuto solo a garantire a tutti i Cantoni l’integrità territoriale e la sovranità nell’ambito di una Confederazione anch’essa indipendente e neutrale, ma non si era intromesso nelle questioni interne. Se la libertà dalle influenze straniere era messa in salvo, non altrettanto si poteva dire delle libertà individuali e democratiche.
Le divergenze tra conservatori e riformisti e le rivalità tra diversi Cantoni si protrassero per alcuni decenni, rischiando addirittura di degenerare in una vera e propria guerra fratricida tra Cantoni cattolici e Cantoni protestanti (guerra del Sonderbund del 1847). Solo allora forse i confederati si resero conto che la libertà non è un bene conquistato una volta per sempre, ma si può perdere e richiede pertanto di essere condiviso e difeso da tutti. Furono in molti a ritenere che la garanzia migliore per preservare quel bene prezioso fosse il superamento degli individualismi cantonali e l’adozione di una forma di Stato federale.

Una Costituzione federale per la libertà
Costituzione federale del 1848
In effetti, questo decisero con grande chiaroveggenza e realismo i confederati nel 1848 con l’approvazione della Costituzione federale (1848), all’origine della moderna Confederazione. Che la libertà rappresentasse una priorità assoluta e la condizione indispensabile per il progresso civile dei confederati appare evidente fin dall’articolo 2: «La Lega ha per iscopo [si noti il singolare!]: di sostenere l’indipendenza della Patria contro lo straniero, di mantenere la tranquillità e l’ordine nell’interno, di proteggere la libertà e i diritti dei Confederati, e di promuovere la loro comune prosperità».
Dallo stesso articolo risulta anche evidente, a ben vedere, che la libertà come indipendenza da poteri stranieri, pur essendo ritenuta prioritaria, già allora non era intesa come un fine in sé, ma piuttosto come un mezzo o condizione indispensabile per conseguire nel tempo altre finalità quali le libertà individuali dei confederati, la pace sociale e la comune prosperità. E’ sintomatico che l’articolo 2 citato sia rimasto invariato nella revisione totale della Costituzione federale del 1874 e che anche l’attuale Costituzione (entrata in vigore il 1° gennaio 2000) ne abbia recepito se non la lettera certamente lo spirito, con un opportuno adeguamento alle sensibilità moderne. 

Cambio di priorità
Costituzione federale del 1999
Dall’articolo 2 «Scopo» dell’attuale Costituzione risulta ancor più chiaramente il cambio di priorità:
«La Confederazione Svizzera tutela la libertà e i diritti del Popolo e salvaguarda l'indipendenza e la sicurezza del Paese.
2 Promuove in modo sostenibile la comune prosperità, la coesione interna e la pluralità culturale del Paese.
Provvede ad assicurare quanto possibile pari opportunità ai cittadini.
4 Si impegna per la conservazione duratura delle basi naturali della vita e per un ordine internazionale giusto e pacifico».
Si può osservare anzitutto uno spostamento significativo delle priorità: se prima (1848) era considerata prioritaria «l’indipendenza della Patria contro lo straniero», ora al primo posto vengono «la libertà e i diritti del Popolo». Inoltre, la successione dei paragrafi indica chiaramente ulteriori obiettivi imprescindibili dell’attività di uno Stato moderno come vuole essere la Svizzera, ad esempio lo sviluppo sostenibile, la coesione interna, l’uguaglianza tra i cittadini, ecc.
Evidentemente le paure e le preoccupazioni vissute dagli svizzeri dallo scoppio della prima guerra mondiale alla fine della seconda (non solo la paura di essere invasi, ma anche di essere soffocati economicamente) erano considerate almeno in buona parte superate. E in effetti, dagli anni ’50 del secolo scorso ad oggi, anche grazie a milioni di immigrati, la Svizzera ha  puntato decisamente sullo sviluppo economico e sulla diffusione del benessere. 

Qual è la situazione oggi?
Se confrontata con quella del 1848 o anche solo con quella del secondo dopoguerra, l'attuale situazione generale, anche sotto il profilo delle libertà, è ritenuta generalmente più che soddisfacente. Infatti, nel frattempo la Svizzera non solo ha consolidato la propria indipendenza, ma ha anche conseguito in favore dei propri cittadini notevoli traguardi nei campi delle libertà democratiche, del progresso economico e sociale, della comune prosperità. Ciononostante, in Svizzera non è raro sentir parlare ancora di minacce, rischi, pericoli contro cui stare in guardia.
Alcune domande al riguardo mi appaiono pertanto lecite. Anzitutto: è fondata la paura evocata da alcuni politici, specialmente di destra, ma anche da gente comune, quando parlano di rischi per la democrazia nel caso di adesione all’Unione europea (UE) o di rischi per la prosperità raggiunta qualora la Svizzera accettasse le condizioni poste dall’UE sulla libera circolazione e sull’applicazione del diritto europeo? Ancora: non è possibile che dietro la paura dell’«immigrazione di massa» o di una «invasione di profughi» si nasconda in realtà la paura di dover condividere il benessere conseguito con altri «stranieri» ritenuti ancora, come negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, essenzialmente «estranei» e «diversi»? Benessere e solidarietà sono davvero incompatibili?
Domande non semplici alle quali, forse, non esistono risposte semplici, ma alle quali, probabilmente presto, gli svizzeri dovranno rispondere. Per facilitarsi il compito, una riflessione sulla propria storia anche a riguardo delle vicende attorno alle libertà mi sembrerebbe quanto mai utile, ricordando in particolare che i compromessi hanno spesso giovato agli antichi Elvezi come ai moderni confederati e diventano quasi inevitabili in un mondo sempre più globalizzato. (Segue)
Giovanni Long
Berna 14.10.2015