18 febbraio 2015

Evasione fiscale italiana: colpa della Svizzera?


Sull'onda di una lista di presunti evasori fiscali con depositi in una banca svizzera, i media italiani non hanno perso l’occasione per additare ancora una volta la Svizzera come il paradiso degli evasori fiscali italiani. Secondo certi censori e moralisti la Svizzera avrebbe addirittura prosperato grazie ai capitali esteri sfuggiti alle autorità fiscali di mezzo mondo. Evidentemente la conoscono molto poco. Ignorano soprattutto che la ricchezza di questo Paese è frutto delle virtù della stragrande maggioranza degli svizzeri e non dei vizi di alcuni di essi.

Le responsabilità della Svizzera
Sia ben chiaro, nessuno può negare che dal dopoguerra fino ad oggi sia affluito nelle banche svizzere moltissimo denaro «sporco» (secondo le varie legislazioni straniere, ma non di quella svizzera). In certi periodi proveniva a fiumi, non solo dall'Italia ma anche e soprattutto dagli altri grandi Paesi industrializzati dell’occidente, Stati Uniti, Germania, Francia. Gli organi di vigilanza della Confederazione evidentemente non hanno vigilato a sufficienza, anche se in molti casi non sarebbe stato difficile appurare la provenienza illecita di certi depositi intestati a dittatori e trafficanti o loro prestanome. Dalla fine degli anni Novanta la diligenza delle banche è cresciuta, ma la recente inchiesta giornalistica «SwissLeaks» dimostra che almeno in una banca, nella filiale ginevrina del colosso bancario britannico HSBC, è stata perlomeno insufficiente. Un esempio che non può essere generalizzato all’intero sistema bancario svizzero, ma che getta un’ombra sulla proverbiale accuratezza delle procedure elvetiche, tanto più che dal 1998 le banche avevano l’obbligo di vigilare accuratamente sulla provenienza del denaro dei clienti.
Occorre però riconoscere che a favorire l’arrivo indiscriminato di capitali dall'estero non è stata soltanto la carenza dei controlli ma anche il segreto bancario, considerato fino a qualche anno fa una caratteristica fondamentale della piazza finanziaria elvetica. Allora erano pochi a mettere in dubbio l’intangibilità del segreto bancario. Per fortuna in questi ultimi anni, anche grazie alle pressioni americane ed europee, esso si è non solo allentato, ma è quasi scomparso e scomparirà comunque nei prossimi anni nelle relazioni internazionali e probabilmente anche per i residenti in Svizzera.
La scomparsa del segreto bancario sarà un bene anche per le casse federali, perché esiste pure in Svizzera l’evasione fiscale, sebbene in misura meno accentuata che nei Paesi vicini. Con maggiori controlli gli attuali evasori saranno forse incentivati ad approfittare dei benefici concessi già da alcuni anni a chi si autodenuncia.

Le responsabilità dell’Italia
Pur ammettendo un deficit di diligenza da parte degli organi di controllo svizzeri, sarebbe tuttavia paradossale ritenere che la causa principale dell’evasione fiscale in Italia, dal dopoguerra ad oggi, sia dovuta alla facilità di depositare i soldi in Svizzera. Eppure sono ancora in molti a pensarlo, dimenticando che all'origine dell’evasione c’è non solo un malcostume diffuso di molti italiani ma anche un’esagerata pressione fiscale da parte di uno Stato ritenuto sprecone e inefficiente.
Ormai gli italiani, grazie a innumerevoli denunce ampiamente mediatizzate, sono sufficientemente edotti sui costi esagerati della politica, sui privilegi ingiustificati della casta, sulla corruzione miliardaria (l’Italia è superata in Europa solo dalla Bulgaria e dalla Grecia), sulla lontananza della politica dai reali problemi della gente, ecc. Di fronte a tanti scandali, spesso sbattuti giustamente in prima pagina, come possono gli italiani pagare senza batter ciglio le imposte pretese da un fisco esoso che sta dissanguando il ceto medio, i lavoratori, la piccola e media impresa?
Forse il governo Renzi, invece di privilegiare le riforme costituzionali (a mio parere fatte male, senza una previo disegno di Stato moderno, democratico e ampiamente condiviso), avrebbe fatto meglio a cercare di rispondere seriamente alle attese della maggioranza degli italiani: il rilancio dell’economia, l’abbattimento della disoccupazione soprattutto dei giovani, la sicurezza contro i rischi della povertà vistosamente in aumento, la lotta agli sprechi nel settore pubblico, l’abolizione di tanti privilegi ingiustificati della classe politica (non risparmiando nemmeno il Quirinale), la riduzione generalizzata del livello di tassazione e contestualmente la lotta senza quartiere alla corruzione e all'evasione fiscale (che permetterebbe di recuperare decine e forse centinaia di miliardi di euro sottratti illegalmente alla disponibilità dello Stato). Non sarà un compito facile, ma il governo deve fare di più e meglio.

Il coinvolgimento dei cittadini
L’accordo recente con la Svizzera sulla doppia imposizione (vedi L’ECO n. 4 e 5 del 21 e 28 gennaio 2015) rappresenta indubbiamente un buon esempio di tentativo di favorire l’emersione dei capitali evasi con l’autodenuncia e il pagamento del dovuto allo Stato, ma guai illudersi che l’evasione fiscale si combatta solo con gli accordi internazionali. Essa va combattuta specialmente in casa, giustificando le spese dello Stato per la collettività, affrancate da ogni forma di corruzione e di spreco, e col coinvolgimento più ampio possibile dei cittadini.
La Svizzera, che da alcuni anni non può più essere considerata un paradiso fiscale perché le tasse qui si pagano e non solo sui redditi ma anche sui patrimoni (!), ha un basso tasso di evasione (su scala internazionale) perché anche il livello di tassazione è relativamente basso e il grado di consapevolezza dei cittadini è abbastanza alto. Nella maggior parte dei Cantoni (perché la tassazione in Svizzera è soprattutto a base cantonale) il livello della tassazione è determinato col contributo del popolo, che può intervenire con un referendum sulle decisioni del parlamento cantonale. Sono convinto che nemmeno i cittadini svizzeri paghino volentieri le imposte, ma sono certo che la maggior parte di essi è consapevole non solo delle finalità per cui vengono raccolte ma anche del loro livello. E in Italia?
In Italia il cittadino è ancora visto dallo Stato come un potenziale evasore, per cui l’evasione va combattuta soprattutto con la repressione, sebbene sia utopico pensare di estirpare in questo modo un vizio praticato su vasta scala da nord a sud. Gli evasori, infatti, non sono solo grandi imprenditori, commercianti, liberi professionisti, facoltosi proprietari, ma anche artigiani, lavoratori autonomi in generale, lavoratori in nero, ecc. Già a metà degli anni ’70 si parlava di «evasione di massa».

Cambiare è possibile e… conveniente
Credo di sì, ma occorre tempo e molto impegno. Mi piace concludere queste considerazioni attingendo da un articolo dell’avvocato Edy Salmina sul quotidiano socialista ticinese Libera Stampa del 1980. Come si vedrà, esso conserva ancora gran parte della sua attualità. E poiché non si riferiva a un pubblico determinato, molte osservazioni si addicono bene anche al pubblico italiano.
Scriveva l’autore: «L’atteggiamento del cittadino nei confronti del creditore-Stato è poco condiscendente. Chi può inganna, chi non lo può fare se ne rammarica, chi paga per convincimento si guarda dal farlo risapere. La subdola nube di consenso o di complice benevolenza che avvolge il cittadino-evasore rende la situazione davvero seria. Perché, bisogna ammetterlo, chi non froda il fisco raramente lo fa per singolare virtù e spesso per paura o per mancanza di alternative. Ed è questo che preoccupa e avvilisce, al di là del più o meno spregevole comportamento degli evasori fiscali classici e abituali…».
L’autore si sofferma poi su alcuni atteggiamenti tipici di cittadini e politici per lo più di destra che periodicamente contestano l’aggravio fiscale, lanciano più o meno velati inviti all'obiezione di coscienza fiscale e sono pronti a legittimare anche l'evasione. E sono sempre molti coloro che volentieri applicano la teoria del meno-Stato anche nella denuncia dei redditi. Ma allora, si chiede Salmina, «perché lo Stato è creditore tanto detestato?». La risposta è immediata: «Proprio perché in esso la gente ha visto spesso e soltanto il potere nemico, il poliziotto, l'esattore, ma mai un'entità democratica, riassuntiva, pur nella conflittualità, della società civile. Capace quindi di operare anche a favore dei più poveri e degli esclusi, garantendo loro un pur piccolo e precario spazio di dignità e di libertà».
Avviandosi alla conclusione, l’autore sembra non aver dubbi: per battere l'evasione fiscale occorre anzitutto sconfiggere questi pregiudizi, «a tutto vantaggio della possibilità di una maggior partecipazione alla vita democratica». E poi: «trasparenza nell'amministrazione, controllo democratico, politicizzazione diffusa: ecco i deterrenti di lungo respiro alla frode fiscale».

L’autoriciclaggio è un azzardo
A distanza di trentacinque anni lo stesso Salmina, in un recente articolo intitolato «autoriciclaggio: non è mai troppo presto», sul Corriere del Ticino, commentando l’introduzione nella legislazione italiana della nuova norma penale sull’autoriciclaggio, scrive: «lo scopo della nuova norma penale italiana, per quanto attiene ai capitali depositati in Svizzera, è fin troppo evidente: spingere verso il rientro delle disponibilità non dichiarate rendendo ogni altra scelta un azzardo. Bastone e carota, insomma». In altre parole, evadere sta diventando finalmente un rischio che per nessuna ragione conviene più correre.

Giovanni Longu
Berna, 18.2.2015