04 febbraio 2015

La Svizzera s’interroga sul suo futuro


Il franco forte e le difficoltà ch'esso comporta a numerose imprese svizzere, soprattutto quelle turistiche e quelle orientate all'esportazione, pone a molti svizzeri l’interrogativo – in realtà non nuovo – sul futuro dell’economia svizzera e, più in generale, sul futuro della Svizzera.

Preoccupazioni per il franco forte
Finora il cambio franco-euro, che negli ultimi anni la Banca nazionale svizzera aveva mantenuto artificialmente sotto il livello di 1,20 franchi per un euro, garantiva soprattutto alle aziende esportatrici indubbi benefici. Ora che il franco si è apprezzato sull’euro e rischia di rimanere a lungo sopra la parità, molti economisti e imprenditori temono un indebolimento delle esportazioni nella zona euro (la più importante per la Svizzera) e un rallentamento della crescita del prodotto interno lordo (PIL).
Una delle peggiori conseguenze potrebbe essere l’aumento della disoccupazione, anche perché qualche segnale c’è già. Alla fine di dicembre 2014 il tasso di disoccupazione risultava salito al 3,4%, mentre a novembre era del 3,2% (anche se il numero dei disoccupati era leggermente inferiore a quello dello stesso mese del 2013). Mentre in qualunque altro Paese un livello così basso sia pure in leggera salita sarebbe motivo di grande soddisfazione, soprattutto in un periodo di crisi, in Svizzera comincia a preoccupare. Occorre infatti tener presente che gli svizzeri considerano la disoccupazione la maggiore preoccupazione e questo sentimento sembra condiviso anche dal governo federale.

Situazione preoccupante ma non drammatica
Per tranquillizzare i cittadini e gli ambienti economici, imprenditori e sindacati, ma soprattutto per dare un segnale della volontà del governo di monitorare la situazione e di intervenire se dovesse peggiorare, la settimana scorsa il consigliere federale Johann Schneider-Ammann, ministro dell’economia, ha incontrato i rappresentanti delle principali organizzazioni padronali e sindacali per una prima valutazione.
Johann Schneider-Ammann
Quando ha saputo che ci sono già stati licenziamenti e altri sono previsti a causa del franco forte, il ministro si è detto rammaricato «per ogni impiego che deve essere sacrificato a causa di questa situazione», ma ha aggiunto anche che è intenzione del governo, insieme alle parti sociali, «difendere i posti di lavoro in Svizzera». Ha anche ricordato che è già stata presa la decisione di introdurre la possibilità per le aziende in difficoltà di richiedere indennità per lavoro ridotto «da subito». Finora, ha aggiunto, la situazione è preoccupante ma non drammatica, non ci sono segnali che farebbero pensare di andare «in direzione di una forte recessione»; l'importante è che le parti sociali si avvicinino l'un l'altro, e ciò sta avvenendo.
Il governo federale non sta comunque ad aspettare inattivo l’evolvere della situazione. Già qualche settimana fa ha provveduto a una prima analisi, approvando un rapporto della Segreteria di Stato dell’economia (SECO), elaborato già prima dell’abolizione del tasso di cambio minimo, che pone le basi della nuova politica di crescita economica. «L’Esecutivo, si legge in un comunicato stampa, conferma gli orientamenti generali della propria strategia e intende promuovere ulteriormente la crescita economica, tutelare a lungo termine i posti di lavoro e la ricchezza nel nostro Paese».

Tutela dei posti di lavoro e formazione
Nell’ottica del governo svizzero, come si vede, la tutela dei posti di lavoro non è solo una componente di una politica sociale saggia specialmente in tempi di crisi, ma un fattore di crescita essenziale. In un Paese come la Svizzera senza materie prime e una situazione geopolitica non particolarmente favorevole, puntare soprattutto sulla qualificazione e la tutela del lavoro è fondamentale.
Il Consiglio federale ne è talmente convinto che considera la crescita economica come una delle condizioni essenziali proprio per tutelare i posti di lavoro e la ricchezza in Svizzera. Senza crescita sono a rischio i posti di lavoro. Pertanto il governo considera indispensabile continuare a creare «i presupposti migliori per un’economia prospera».
Uno di questi presupposti, che nella storia di questo Paese ha sempre goduto di un’attenzione particolare, è la formazione dei giovani. L’economia svizzera si regge principalmente sulla qualità della sua manodopera. Per questo in Svizzera è molto sviluppata la formazione, sia quella generale (dagli asili alle università), sia quella professionale (dalle varie forme di apprendistato alle scuole universitarie professionali e ai politecnici).
Il sistema di formazione professionale di base (caratterizzato da un apprendimento di tipo duale, teorico e pratico, a scuola e in azienda) è ben affermato da oltre un secolo, ma richiede continui adattamenti. Anche il sistema di formazione professionale superiore è ormai ben collaudato e diffuso in tutte le regioni della Svizzera. Il governo intende svilupparlo ulteriormente perché sa bene che l’economia svizzera potrà crescere solo investendo maggiormente nell’innovazione e nella ricerca e che solo un’economia florida e competitiva potrà garantire a lungo termine i posti di lavoro.

Aumentare la produttività del lavoro
Un altro presupposto per la crescita è la produttività del lavoro. Questa è infatti non solo un fattore importante per stabilire il reddito pro capite (maggiore produttività = più reddito), ma anche un elemento determinante per la competitività delle imprese. Per questo motivo il Consiglio federale, si legge nello stesso comunicato, «attribuisce la massima priorità all’aumento della produttività», non solo perché «ritiene che una politica economica sostenibile e lungimirante deve mirare all'aumento costante del reddito pro capite», ma evidentemente anche per rafforzare la competitività dell’economia svizzera.
Il Consiglio federale non fa riferimento esplicito alle difficoltà che le imprese svizzere incontrano già oggi e che potrebbero incontrare maggiormente domani in Europa (se non verrà trovata una soluzione al problema della limitazione della libera circolazione posto dalla votazione del 9 febbraio 2014 sull’immigrazione di massa) ma evidentemente si tratta di una preoccupazione a cui non può sottrarsi.
In effetti l’attenzione del governo sembra alta e i rimedi che intende adottare efficaci. Dopo aver individuato che tra gli ostacoli che frenano gli sviluppi della produttività e dunque la crescita ci sono, ad esempio, come si legge nello stesso comunicato, «la prassi amministrativa e gli elevati costi di regolazione a carico delle imprese», ossia i costi della burocrazia, ma anche «la scarsa disponibilità di personale qualificato», il governo sembra intenzionato a intervenire su più fronti. Su uno sicuramente, quello dello sviluppo del personale qualificato, formato all’interno o reclutato all’estero. Ma è probabile che prossimamente interverrà anche sullo snellimento delle pratiche burocratiche come pure sugli stimoli alle imprese che intendono approfittare degli spiragli che i mercati esteri continuano ad offrire.

Difficoltà con l’Unione europea
Doris Leuthard
Le maggiori preoccupazioni del Consiglio federale, non sempre pubblicamente manifestate, sembrano tuttavia riguardare i difficili rapporti con l’Unione europea (UE). Il mercato di gran lunga più importante per le imprese svizzere è infatti quello europeo, che però sembra porre non poche difficoltà. La settimana scorsa i media hanno dato rilievo, ad esempio, al «piccolo spiraglio» per l’accesso della Svizzera al mercato europeo dell’elettricità, ma la consigliera federale Doris Leuthard ha riferito che «Bruxelles mette enorme pressione sui tempi». Da mesi i media non fanno che sottolineare le condizioni molto severe che l’UE impone a tutte le trattative bilaterali con la Svizzera a causa della votazione del 9 febbraio 2014.
Nessuno osa predire come finirà questa specie di braccio di ferro. Eppure basterebbe invertire l’ordine delle considerazioni. Perché invece di partire dai punti che separano le posizioni dell’una e dell’altra non si comincia a ragionale dai punti che per entrambe sono fondamentali e irrinunciabili, in una prospettiva veramente europea? Risulterebbe ad esempio evidente che come la Svizzera non potrebbe sopravvivere se non miseramente isolata dall'Europa, così l’Unione europea diventerebbe un controsenso senza la Svizzera.
Basterebbe anche solo pensare che tutto il processo di «Unione europea» mirante a una sorta di Stati Uniti d’Europa è stato ispirato dal modello della Confederazione Svizzera. Quando nel dopoguerra il progetto Europa era molto dibattuto, alla domanda pregiudiziale «Che cos’è l’Europa», Karl Jaspers, il filosofo tedesco, fuggito dalla Germania nazista per rifugiarsi in Svizzera, aveva detto nel corso di una risposta molto articolata anche questo: «Europa è la democrazia d’Atene, della Roma repubblicana, degli Svizzeri, degli Olandesi, degli Anglosassoni. Non giungeremmo mai alla fine se volessimo elencare tutto ciò che è caro al nostro cuore: una ricchezza immensa dello spirito, della morale, della fede…». Era convinto che l’Europa era anche la Svizzera e la Svizzera era inconcepibile senza l’Europa.
Per avviare finalmente un dialogo proficuo e liberatorio da tanti pregiudizi, forse basterebbe ricuperare da entrambe le parti la coscienza storica europea e il senso di appartenenza a un sistema comune di valori essenziali e intramontabili, che può garantire il futuro non solo alla Svizzera ma anche all’Europa.
Giovanni Longu
Berna 4.2.2015