15 aprile 2015

Formazione e disoccupazione giovanile


L’Italia ha molti problemi, ma ve n’è uno in particolare che dovrebbe preoccupare più di ogni altro quanti hanno responsabilità di governo: la carenza di un’adeguata formazione professionale dei giovani. Eppure le conseguenze sono disastrose e sotto gli occhi di tutti: in Italia oltre il 40% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è senza lavoro (il tasso di disoccupazione giovanile italiano è quasi doppio della media europea).

So benissimo che nel breve periodo è quasi impossibile raggiungere i tassi di due dei Paesi più virtuosi europei, la Germania e la Svizzera (attorno al 7,5%), ma bisognerebbe almeno proporsi di raggiungerli in un orizzonte temporale di medio periodo. Invece niente, a meno che i guru dell’attuale governo non abbiano ritenuto sufficienti gli incentivi all'occupazione giovanile (la cosiddetta «garanzia giovani») e il disegno di legge di riforma della scuola, approdato da poco in Parlamento.

Iniziativa a favore dell’occupazione giovanile
La «garanzia giovani», un ambizioso progetto concepito e finanziato in gran parte dall'Unione europea (UE), che prevede agevolazioni per i datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato lavoratori in età dai 18 ai 29 anni, può servire certamente a dare un lavoro a un certo numero di giovani disoccupati e a far diminuire di qualche punto il tasso di disoccupazione giovanile, ma, come si vedrà meglio in seguito, non può essere la soluzione risolutiva di questa piaga, che rischia di diventare cronica. Oltretutto, non tutti i posti di lavoro possono essere occupati da giovani disoccupati, ma solo se gli occupanti hanno i requisiti adatti.
E’ vero che i cospicui finanziamenti europei finalizzati a favorire l’occupazione giovanile non sono destinati solo ad agevolare chi assume, ma anche a sostenere programmi di orientamento, istruzione e formazione professionale, formazione continua, apprendistati, corsi di perfezionamento. Ma proprio sull'efficacia di questi programmi, per altro limitati nel tempo, sorgono i maggiori dubbi. Non è infatti chiaro di che tipo di offerta si tratti e quali caratteristiche debbano avere questi interventi riguardo a qualità, durata, controlli, ecc.

Formazione professionale e disoccupazione
Quando poi si parla di formazione professionale il dubbio aumenta perché con questa espressione non s’intende (più) il semplice e spesso abborracciato avviamento al lavoro, ma un impegnativo processo di apprendimento teorico e pratico di durata pluriennale, programmato e strutturato, che coinvolge l’ente pubblico e l’economia, le parti sociali, la scuola, l’università, la ricerca, l’innovazione, ecc. Non mi sembra che gli incentivi per la «garanzia giovani» riguardino questo processo formativo. E allora? Allora la soluzione del problema va cercata altrove e precisamente in una seria, moderna e sostenibile formazione dei giovani.
Anche per molti italiani emigrati in Svizzera negli anni '60 e '70
la formazione professionale rappresentò il trampolino di lancio
della carriera professionale (foto: allievi del CISAP, anni '80)
Non occorre essere statistici o studiosi del settore per rendersi conto che c’è una relazione molto stretta tra disoccupazione e formazione e che i rischi della disoccupazione sono tanto maggiori quanto più basso è il livello di formazione o quanto più inadeguata è la formazione professionale. Se la disoccupazione giovanile sopra il 25% diventa cronica (e la percentuale dei giovani senza lavoro in Italia è sopra il 40%) i rischi per il futuro dei diretti interessati ma anche del Paese sono enormi.
Penso che Matteo Renzi e il suo governo siano consapevoli della gravità della disoccupazione giovanile, quasi da primato a livello europeo, per cui non riesco a capire perché non abbiano ancora nemmeno impostato un’autentica riforma della formazione dei giovani. So benissimo che in questo campo le soluzioni non sono mai a portata di mano, ma proprio per questo andava avviata fin dal discorso programmatico d’insediamento una seria riflessione nel governo e nella società sul sistema scolastico italiano, non più competitivo, e soprattutto sul sistema particolarmente carente della formazione professionale.
Nel 1972 il pres. della Confederazione  Nello Celio visitò
con vivo interesse il centro di formazione professionale
per lavoratori immigrati CISAP di Berna. 
Credo che l’Italia dovrebbe prendere esempio dai Paesi in cui la disoccupazione giovanile è entro limiti «fisiologici» accettabili (ossia da 1,5 a 2 volte superiore a quello della disoccupazione generale). A ben vedere, in questi Paesi, specialmente Germania e Svizzera, la formazione professionale è molto sviluppata e non a caso il numero dei giovani senza lavoro (o che non studiano) è più ridotto che in Paesi, dove questa preparazione manca o è carente. Una buona formazione (professionale) è sempre un antidoto efficace contro la disoccupazione. Sebbene in situazioni di crisi si costati ovunque un aumento delle difficoltà d’impiego, di solito in questi Paesi sono sufficienti pochi interventi mirati per aiutare i giovani a trovare un posto di lavoro. E i risultati si vedono.

Formazione professionale in Svizzera: un sistema che funziona
Osservando più da vicino la situazione svizzera, non c’è dubbio che la disoccupazione in generale e quella giovanile in particolare è molto contenuta nel confronto internazionale proprio grazie a un sistema consolidato di formazione professionale che accompagna i giovani dal termine della scuola dell’obbligo al primo impiego e li segue anche dopo con la formazione continua sempre più generalizzata.
Per comprendere meglio il sistema di formazione professionale svizzero bisogna ricordare che è di tipo duale, ossia teorico (in una scuola professionale) e pratico (presso un’azienda), e fornisce a due giovani su tre una solida preparazione teorica e pratica corrispondente alle esigenze del mondo del lavoro. L’efficacia di un tale sistema non si esaurisce con l’acquisizione di un diploma o un certificato di capacità e l’avvio (quasi) immediato al lavoro, ma continua anche in seguito durante tutta la vita lavorativa. La formazione professionale costituisce infatti una solida base per ulteriori perfezionamenti o specializzazioni fino ai massimi livelli della ricerca (soprattutto nei politecnici) e della professionalità (nelle aziende) e per la formazione permanente.
Data l’importanza evidente di questo sistema formativo, frutto di un partenariato solido tra pubblico e privato, esso è costantemente monitorato e aggiornato. Dev'essere infatti in grado di far fronte alle esigenze dell’economia e della società in continua evoluzione. Un Paese come la Svizzera, privo di materie prime, deve puntare necessariamente sull'alta qualificazione delle risorse umane a tutti i livelli per garantire la sostenibilità e la competitività del proprio sistema produttivo e il grado di benessere raggiunto.

Ampio sostegno dello Stato e dell’economia
Per queste ragioni, tanto l’economia pubblica e privata quanto i poteri pubblici (Confederazione e Cantoni) attribuiscono grande importanza e i finanziamenti necessari alla formazione professionale. La Confederazione, ad esempio, ne ha fatto un apposito obiettivo quantificabile del programma di governo: «il sistema di formazione professionale duale contribuisce a mantenere basso il tasso di disoccupazione giovanile nel confronto internazionale». In particolare, il governo si propone di sostenere «la formazione di giovani leve in ambiti specialistici altamente qualificati della scienza e dell’economia» e di migliorare «l’attitudine dei giovani alla formazione e all'impiego».
Johann Schneider-Ammann
Recentemente, il ministro dell’economia Johann Schneider-Ammann ha affermato che in futuro la percentuale dei giovani che dopo la scuola dell’obbligo continuano una formazione scolastica o professionale deve essere aumentata al 95%.
Alla radice del sostegno incondizionato della Confederazione a questo sistema di formazione professionale (simile per altro a quello della Germania e dell’Austria) c’è una consapevolezza che è stata evidenziata l’anno scorso dall’allora presidente della Confederazione Didier Burkhalter: «Un Paese è una comunità di destini, la cui ragion d’essere sta nella capacità di creare prospettive future. E la Svizzera ne è capace». L’esempio è dato proprio dai giovani, la cui «buona formazione» permette loro di «accedere al mondo del lavoro». Non solo, «il nostro Paese crea opportunità lavorative e attira le giovani leve, non come in altre realtà, dove la disoccupazione è altissima e i giovani sono costretti a migrare».

Italia: insufficienza formativa
Difficile escludere che tra le «altre realtà» Burkhalter non pensasse anche all’Italia. Del resto è sotto gli occhi di tutti la gravità della disoccupazione giovanile italiana, soprattutto nel Mezzogiorno. Proprio per questo meraviglia che un governo dalle smisurate ambizioni come quello di Renzi non faccia nulla per aggredire alla radice il male che rischia di compromettere il futuro di un’intera generazione di giovani. Questo male si chiama insufficienza formativa.
Sono note dalle classifiche internazionali le scarse prestazioni degli alunni italiani della scuola dell’obbligo; il sistema scolastico italiano è bocciato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE); il sistema universitario italiano non riesce a piazzare un ateneo tra i primi 100 al mondo (la Svizzera ne piazza ben quattro); la ricerca scientifica è insufficiente nonostante alcuni centri di eccellenza.
I rimedi finora proposti dal governo Renzi (e dai precedenti governi) sono dei palliativi, non misure risolutive. La scuola avrebbe bisogno di una profonda riforma strutturale (e non solo di facciata) per diventare competitiva a livello europeo. Invece il disegno di legge presentato recentemente dal governo è illusorio a cominciare dal titolo: «disegno di legge sulla buona scuola». E illusoria è la presentazione che ne hanno fatto il presidente Renzi e la ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini, come pure il senatore del Pd Andrea Marcussi, presidente della Commissione Cultura del Senato, parlando del disegno di legge come di una svolta, anzi una «rivoluzione». Per rendersi conto di quanto invece sia mediocre basterebbe leggere sul Corriere della Sera il commento ragionato di Ernesto Galli della Loggia, intitolato «La scuola cattiva è questa». Chi vuole può facilmente ritrovarlo in Internet.

Mancanza di volontà politica
Per realizzare in Italia una «buona scuola», fra l’altro, occorrerebbe investire nel sistema scolastico molte più risorse di quelle assegnate attualmente, che sono sotto la media dei Paesi dell’OCSE. Una «buona scuola» sarebbe, inoltre, quella che «forma» mentalmente e culturalmente i cittadini di domani, ma anche quella che prepara adeguatamente i lavoratori di domani, in grado cioè di essere facilmente assorbiti, senza sussidi, dall'economia.
Non credo che porre mano a una seria riforma della formazione in Italia sia un’impresa impossibile e proprio per questo bisognerebbe non perdere altro tempo per avviarla, ma dubito che la classe politica attuale sia all'altezza del compito.

Giovanni Longu
Berna, 15.4.2015

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