20 aprile 2015

Ancora morti nel "Mare nostrum"


Il Mediterraneo, che dal tempo dei romani chiamiamo «Mare nostrum», nei giorni scorsi ha interrotto violentemente la fuga di centinaia di profughi alla ricerca di una vita migliore. Erano, come ha detto domenica scorsa Papa Francesco, «uomini e donne come noi, fratelli nostri, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerre, che cercavano una vita migliore, cercavano la felicità».
Non hanno fatto in tempo a goderne nemmeno un poco perché il «Mare nostrum» li ha inghiottiti brutalmente per aggiungerli alle migliaia di profughi già periti in questi ultimi anni. Non solo il mare, ma anche i morti dovremmo considerare «nostri» e piangerli con qualche senso di colpa.
Sono morti perché il barcone sovraccarico che li trasportava si è rovesciato, ma si trovavano su quel mezzo inadatto anche per la cattiveria umana, per la nostra insensibilità e l’irresponsabilità delle istituzioni competenti. Il nostro sentimento d’impotenza rischia di diventare un alibi miserevole se non siamo capaci d’indignarci e reclamare a gran voce dalle autorità responsabili soluzioni efficaci e sostenibili a lungo termine.

Per non dimenticare i morti di ieri e di oggi Piera Caponio ha scritto questa delicata poesia intitolata Vanno…,  «dedicata a tutti coloro che hanno sognato una vita diversa, in un mondo diverso, con persone diverse. Ma hanno perso».

Vanno

Vanno,
inseguono un fragile sogno,
guidati da un lieve spiraglio.

Ombre furtive nel buio
li scrutano senza parlare,
mani rapaci si accostano,
carpiscono senza pietà.

L’ora che incalza li inghiotte,
procedono a passi guardinghi
sospinti da altri che vanno.
Audaci viandanti del nulla.

Son soli nel cuor della notte,
son soli col cuore che batte,
ma breve sarà la paura,
la luce è già là all’orizzonte…..

Si portano dentro una fiamma,
una fiamma che brucia e riscalda,
che guizza leggera e tenace
incontro al destino che avanza.

Poi d’improvviso uno schianto,
un bagliore scatena l’inferno,
le grida trafiggono il cielo
ma l’eco si perde nel nulla.

Son tonfi di corpi avvinghiati,
la fiamma pian piano si spegne,
il gigante pietoso li accoglie,
li copre con l’umido velo
e assorto riprende a cantare
l’ennesima sua ninna nanna.

                               Piera Caponio




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