25 marzo 2015

Svizzera: ripresa con moderato ottimismo


A pochi mesi dalla decisione della Banca nazionale svizzera (BNS) di non più difendere a oltranza il tasso di cambio di 1,20 franchi per 1 euro, politici, economisti e soprattutto industriali s’interrogano sul futuro dell’economia svizzera se il franco dovesse ulteriormente rafforzarsi sull'euro. Già la quasi parità attuale (1 euro vale 1,05 franchi) preoccupa non poche aziende. E cosa accadrebbe, si chiedono in tanti, se il franco dovesse superare la parità? Eppure numerosi segnali inducono a un moderato ottimismo.

Cresce la fiducia
Per molti imprenditori il cambio più facilmente sopportabile sarebbe di 1,10 franchi per 1 euro, ma nessuno si fa illusioni, soprattutto dopo la decisione della BNS, ribadita ancora nei giorni scorsi, di non più sostenere artificialmente la moneta svizzera.
Quando fu dato l’annuncio, il 15 gennaio scorso, che la BNS avrebbe posto fine alla difesa del franco con massicci acquisti di euro, molte imprese furono prese dal panico. Si evocò persino lo tsunami prospettando una catastrofe economica, l’aumento della disoccupazione, la recessione, la diminuzione del PIL, ecc.
Oggi, nonostante si abbiano ancora pochi dati a disposizione, si comincia a ragionare con più serenità e sono molti gli analisti fiduciosi sulla capacità dell’economia svizzera di superare le difficoltà che indubbiamente il superfranco pone, ma anche sul miglioramento della situazione internazionale e specialmente dei grandi partner commerciali della Svizzera come la Germania e gli Stati Uniti.
Secondo la BNS e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) nel 2015 non dovrebbe esserci recessione e il prodotto interno lordo (PIL) continuerà a crescere, anche se a un ritmo nettamente inferiore rispetto alle stime precedenti. La BNS prevede una crescita dell’1%, la SECO dello 0,9%. Essa dovrebbe essere garantita sia dalla ripresa del consumo interno (ancora sottotono nel quarto trimestre 2014) e sia dalle esportazioni.

Motivi di ottimismo
Questo ottimismo, per quanto prudente, lascia ben sperare in un miglioramento del mercato del lavoro , che dovrebbe essere in grado nel corso dell’anno di riassorbire una parte dei disoccupati degli anni passati. Si spera che la tendenza alla crescita dell’occupazione, già osservata nel quarto trimestre del 2014 prosegua o quantomeno non rallenti nel corso di quest’anno.
Quanto alla disoccupazione, che non ha mai raggiunto punti critici nemmeno nel periodo più acuto della crisi tra il 2008 e il 2010, alcuni segnali la danno in diminuzione. Nel febbraio di quest’anno è leggermente diminuita sia la disoccupazione generale (attestandosi attorno al 3,5%, con 136.764 disoccupati) che quella giovanile con poco più di 19.000 disoccupati (7,7%, ben al di sotto della media europea e persino al di sotto di quella della Germania).
Si spera evidentemente che anche le esportazioni, fondamentali per l’economia svizzera, tengano, pur senza illudersi che possano raggiungere il record del 2014, quando il loro valore superò 208,3 miliardi di franchi e che la bilancia commerciale (differenza tra esportazioni e importazioni) possa registrare nuovamente un surplus di oltre 30 miliardi di franchi. Al riguardo non va nemmeno dimenticato che da tempo l’industria svizzera punta sempre più sull’esportazione di prodotti ad alto valore aggiunto e questi, si sa, risentono generalmente meno delle fluttuazioni dei cambi valutari.
Tra le principali ragioni del moderato ottimismo c’è anche una fiducia diffusa sulla solidità dell’economia svizzera e delle sue imprese. Negli anni scorsi, infatti, approfittando delle agevolazioni del cambio euro-franco bloccato, sapendo che il sostegno della BNS sarebbe stato limitato al massimo a tre anni, ossia fino all’inizio di quest’anno, molte imprese hanno approfittato dei tassi d’interesse straordinariamente bassi per ristrutturarsi e consolidarsi, in attesa di tempi migliori.
Alcuni osservatori fanno notare che l’ottimismo è più evidente nelle imprese che nel frattempo si sono ristrutturate e preparate al dopo crisi rispetto a quelle che non ne hanno approfittato per migliorare la propria struttura interna (riorganizzazione e riduzione dei costi aziendali, aggiornamento professionale del personale), adeguare l’offerta, rinnovare i prodotti. Queste ultime, evidentemente, saranno le imprese maggiormente a rischio.

Il ruolo dello Stato
L’ottimismo, che si nota con sempre maggiore frequenza nei media e nei comunicati ufficiali, dipende anche da un alto grado di fiducia degli imprenditori svizzeri nell'efficienza di uno Stato liberale che si preoccupa dei bisogni sia dei cittadini che dell’economia, che sa tenere i conti in ordine, che si adopera per valorizzare le potenzialità del paese attraverso un sistema di formazione (culturale e professionale) moderno, stimoli alla ricerca e all'innovazione, il rispetto della democrazia e dei diritti individuali. La fiducia nello Stato secondo molti imprenditori sarebbe ancora maggiore se gli adempimenti burocratici fossero meno gravosi.
Viene spontaneo chiedersi a questo punto se anche altri Paesi, magari confinanti con la Svizzera, con questi ingredienti potrebbero guardare già al futuro prossimo, non a quello lontano, con altrettanto ottimismo.
Giovanni Longu
Berna, 25.03.2015

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