30 agosto 2014

1965: la tragedia di Mattmark


49 anni fa, il 30 agosto 1965, accadde in Svizzera, nel Vallese, una delle più gravi catastrofi della storia dell’emigrazione italiana. Una parte imponente di uno dei più grandi ghiacciai della Svizzera precipitò improvvisamente su un grosso cantiere di montagna allestito per la costruzione di una grande diga, quella di Mattmark, travolgendolo e uccidendo 88 lavoratori, 56 dei quali italiani.

Perché ricordare?
Lapide a ricordo della tragedia del 30 agosto 1965
Il fatto che si continui a ricordare quella tragedia umana (e lo si farà soprattutto il prossimo anno in occasione del 50° anniversario) è dovuto non solo all'alto numero di vittime che ha provocato, ma anche alla portata storica di quell'evento che ha sconvolto l’opinione pubblica svizzera, italiana ed europea.
Purtroppo è in atto da qualche tempo un tentativo malcelato di archiviare definitivamente il passato, soprattutto quando esso si tinge di tinte fosche o assume le caratteristiche della tragedia. Soprattutto per le giovani generazioni incalzate dalle spinte del progresso e preoccupate del loro futuro anche il passato recente può sembrare un fardello da cui conviene liberarsi. Credo invece che la memoria di eventi come quello di Mattmark meriti di essere continuamente alimentata, perché è ancora oggi piena di insegnamenti e resta comunque una parte integrante della storia migratoria soprattutto italiana.
Anzitutto, a memoria d’uomo, non era mai capitata in Svizzera una disgrazia così grave nel mondo del lavoro. Fu l’ampiezza del danno provocato - 88 morti in un attimo, decine di famiglie colpite violentemente negli affetti, un intero cantiere completamente distrutto, enormi difficoltà nel recupero delle vittime sotto tonnellate di ghiaccio e detriti - che richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica svizzera, italiana ed europea. Tutti i media, compresa la televisione, per giorni e settimane informarono nei dettagli di quanto era accaduto e stava ancora succedendo.

Non solo forza lavoro
Grazie alla straordinaria copertura mediatica, l’opinione pubblica svizzera cominciò a rendersi conto del fenomeno migratorio anche sotto l’aspetto umano. Fino ad allora gli immigrati erano visti soprattutto come numeri, percentuali, addetti a questa o quella produzione. Di essi si parlava per lo più in termini negativi, raramente erano associati ai protagonisti del progresso che la Svizzera stava compiendo dalla fine della seconda guerra mondiale. Erano visti, per dirla con Max Frisch, tutt’al più «manodopera», forza lavoro, sia pure indispensabile. L’aspetto umano era trascurato e perciò ignorato. In pochi, ad esempio, si rendevano conto della pericolosità dei lavori che spesso erano chiamati a svolgere in supplenza alla mancanza di lavoratori svizzeri disposti a compierli.
La catastrofe di Mattmark mise a tacere, almeno provvisoriamente, le voci che cominciavano a levarsi in diverse parti della Svizzera contro gli stranieri. Una violenta campagna denigratoria aveva appena tentato di impedire l’accordo di emigrazione tra l’Italia e la Svizzera dell’anno precedente. Si voleva far credere che agli italiani era stato concesso troppo!
L’ampiezza della tragedia, che aveva coinvolto soprattutto italiani, ha contribuito a far vedere i lavoratori immigrati in una luce diversa da quella in cui venivano osservati prevalentemente fino ad allora. Tutti gli svizzeri hanno avuto modo di rendersi conto del tipo di lavori che erano chiamati a svolgere gli stranieri, del perché in certi cantieri e a certe altitudini c’erano soprattutto italiani e pochi svizzeri.
Mattmark ha fatto aprire gli occhi a molti, anche alle autorità e ai sindacati: i sistemi di protezione si erano dimostrati insufficienti, occorreva rafforzarli e controllarli meglio. In questo senso fu una lezione positiva per l’intero mondo del lavoro.

Solidarietà e riconoscenza
Tra gli effetti benefici di quella tragedia, perché anche dal male può scaturire il bene, mi piace ricordare l’ondata di solidarietà che suscitò in tutta la Svizzera. A dispetto di quanti tentarono di trasformare l’accaduto in motivo di contestazione e di scontro ideologico in una dialettica di tipo marxista-leninista, l’opinione pubblica svizzera seguì quasi unanimemente il richiamo alla solidarietà e alla generosità. Nonostante le vittime avessero tutte la piena copertura assicurativa del sistema previdenziale svizzero, vennero immediatamente avviate raccolte di denaro per le spese non coperte e per le famiglie sfortunate.
Molti, probabilmente, si sono resi conto per la prima volta che gli stranieri per quello che facevano, a vantaggio di tutti, meritavano non solo il giusto salario e le giuste assicurazioni, ma anche un po’ di riconoscenza e di solidarietà.
Giovanni Longu
Berna, 30.08.2014