20 agosto 2014

1914-18: la Svizzera, la guerra e gli immigrati


E’ convinzione assai diffusa che la Svizzera, in quanto Paese neutrale fin dal 1815, sia stata risparmiata dalle distruzioni della prima e della seconda guerra mondiale e la sua popolazione non abbia patito le privazioni e le sofferenze a cui sono state sottoposte le popolazioni civili degli Stati belligeranti. E’ una convinzione che non trova riscontro nei fatti se non parzialmente e in ogni caso va ascritto a merito delle autorità federali l’aver scelto e salvaguardato la neutralità.
Va anche detto che se è vero che la Svizzera non ha subito le morti e le distruzioni dei Paesi in cui sono avvenuti scontri di eserciti e bombardamenti, è falso ritenere che gli svizzeri non abbiano risentito, anche pesantemente, della situazione di trovarsi completamente circondati da nazioni in guerra. Di fatto, con lo scoppio della prima guerra mondiale, per la Svizzera s’interruppe bruscamente un processo di sviluppo che durava ormai da alcune decine di anni e che aveva trovato una sorta di consacrazione nell'Esposizione nazionale di Berna, inaugurata festosamente il 15 maggio 1914. D’altra parte, gli svizzeri erano ben consapevoli che la neutralità armata comporta talvolta sacrifici e privazioni e le autorità politiche non lo nascosero quando il 1° agosto decretarono la mobilitazione generale.

Paura della carestia
L’inizio della guerra causò quasi immediatamente la perdita inaspettata di migliaia di posti lavoro, il crollo del turismo, il venir meno di una parte consistente della manodopera straniera, la contrazione delle esportazioni, difficoltà di approvvigionamento di materie prime e di derrate alimentari, razionamenti, ecc.
Già allo scoppio della guerra tra l’Austria-Ungheria e la Serbia (28 luglio 1914) e prima ancora che il Consiglio federale ordinasse la mobilitazione generale, ossia l’entrata in servizio attivo di circa 220.000 uomini per presidiare le frontiere, a Milano, ma anche a Berlino, si sparse la voce che a invadere la Svizzera sarebbe stata la carestia. Come infatti avrebbe potuto provvedere agli approvvigionamenti di materie prime e generi alimentari se anche la Francia e la Germania fossero entrate in guerra, come sembrava imminente, e se anche l’Italia avesse fatto altrettanto, anche se non subito?
Le autorità e la stampa cercarono di rassicurare l’opinione pubblica affermando, come riportava un quotidiano ticinese il 29 luglio, che «i magazzeni federali ed i magazzeni privati bastano non per delle settimane, ma per dei mesi e non è poi detto che, nel caso di guerra, tutte le frontiere siano chiuse ad uno Stato neutrale». Qualche giorno dopo lo stesso giornale precisava ottimisticamente che «la Svizzera, anche supponendo che da oggi in poi tutte le frontiere restino chiuse, ha vettovagliamento sufficiente per sei mesi almeno. E la guerra certamente non sì prolungherà più di tre mesi».
In effetti era opinione diffusa che il conflitto sarebbe rimasto localizzato e di breve durata. L’illusione però durò poco perché già il 1° agosto i giornali svizzeri cominciarono a parlare di «guerra europea» in seguito all’ultimatum della Germania alla Francia e alla Russia. Non ci fu più alcun dubbio dopo il 4 agosto, quando la Germania invase il Belgio e la Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania.
Non bastò a tranquillizzare la Svizzera il fatto che l’Italia (del tutto impreparata ad affrontare un’altra guerra dopo quella dispendiosa del 1911-12 per la conquista della Libia) avesse dichiarato la propria neutralità e sembrasse quindi garantita alla Svizzera la possibilità di approvvigionarsi di viveri dalla frontiera meridionale. Infatti, già ai primi di agosto l’Italia vietò l’esportazione, anche verso la Svizzera, di cereali, farine, caffè, zucchero, tessuti, oggetti di vestiario, cavalli, muli, bovini, veicoli di ogni genere e relative parti di ricambio, combustibili e carburanti, ecc.

Conseguenze immediate
Quando apparve chiaro che si era in presenza di un grave pericolo anche per la Svizzera neutrale, l’Assemblea federale conferì al Consiglio federale «pieni poteri di prendere tutte le misure necessarie per la sicurezza, l'integrità e la neutralità svizzera e per la difesa del credito e degli interessi economici del paese». Elesse anche quale «generale», ossia comandante supremo dell’esercito in circostanze eccezionali, il colonnello Ulrich Wille, col compito di «proteggere e difendere colle truppe a lui affidate con tutte le sue forze ed a costo della vita l’onore, la indipendenza e la neutralità della Patria».
Con la mobilitazione generale cominciarono anche le privazioni e le restrizioni per la popolazione sui posti di lavoro, nelle comunicazioni, nei consumi, nella vita quotidiana. La Festa nazionale del 1° agosto, che si svolgeva quell'anno «fra il fragore d’armi e l’accavallarsi di oscuri e minacciosi nembi all’orizzonte», come annotava un quotidiano ticinese, fu l’occasione per invitare tutti gli svizzeri a «un solenne e grandioso plebiscito di patriottismo e di solidarietà federale».
A Berna si pensò di chiudere in anticipo l’Esposizione nazionale, inaugurata con grandi festeggiamenti il 15 maggio ed effettivamente per due settimane rimase chiusa. I battenti vennero tuttavia riaperti quando sembrò preferibile mandare ai confederati un segnale di ottimismo.

Donne, siate econome!
Alcune organizzazioni femminili, per evitare danni insopportabili conseguenti alla mobilitazione di circa 220.000 uomini, fecero appello alle donne, invitandole, invece di lamentarsi sulle misure restrittive imposte dal governo, ad accettare «con coraggio e serietà i sacrifici che la guerra impone». «Siate econome - si leggeva in un appello pubblico - onde le risorse del nostro paese in derrate alimentari ed in combustibili non vengano troppo rapidamente esaurite. Assumete in tutti i rami dell’umana attività, ma specialmente nei lavori della campagna, quei servizi a cui gli uomini, chiamati sotto le armi, non possono più attendere e scegliete fra essi quelli che più sono necessari alla prosperità del nostro paese. Non pensate soltanto alla vostra famiglia, ma a tutta la nazione. Ora più che mai è il caso di essere uno per tutti, tutti per uno […].Per quanto terribile sia una guerra colle sue conseguenze, essa può però insegnarci una grande lezione: la solidarietà».
Il clima di guerra era maggiormente sentito nei Cantoni di frontiera. Il 16 agosto 1914 un quotidiano ticinese annotava: «un Ferragosto in perfetta sintonia con i tempi che corrono (…) Lugano non ricorda un Ferragosto così misero».

Limitazioni per tutti, anche per gli stranieri
Anche gli stranieri furono sottoposti a restrizioni e privazioni, talvolta attenuate dalla solidarietà generale. Intanto vennero praticamente chiuse le frontiere e sospesi tutti i trattati d’immigrazione. Gli immigrati, richiamati in patria dai Paesi in guerra o desiderosi di ritornarvi per evitare le misure restrittive adottate dalla Svizzera, potevano lasciare il Paese. Solo a Chiasso nei primi giorni di agosto transitarono, non senza difficoltà, non meno di 40.000 operai italiani spesso con le loro famiglie.
In una cronaca dei primi di agosto 1914 da Chiasso si legge dell’arrivo quotidiano di «pietosi eserciti di lavoratori, molti dei quali con moglie e con bambini in stato compassionevole» senza alcuna garanzia di poter proseguire in giornata il tragitto verso la destinazione. L’Autorità locale faceva del suo meglio «con vero senso di solidarietà umana» per organizzare loro un ricovero fino alla partenza «nelle scuole, nella palestra, nel Politeama, nel vecchio Cinematografo ed in altri locali». Da parte sua, «la popolazione chiassese ha dato pure una prova di gran cuore e generosità prestandosi spontaneamente e volontariamente a soccorrere questi sventurati con cibarie e bibite d'ogni sorta e con indumenti».
E’ facile immaginare il danno economico subito dalla Svizzera, che dalla fine dell’Ottocento allo scoppio della guerra aveva costruito il suo benessere soprattutto grazie agli immigrati. Allo scoppio della prima guerra mondiale risiedevano in Svizzera circa 220.000 tedeschi e oltre 200.000 italiani. Molti di essi dovettero o decisero comunque di rientrare al loro Paese. Decine di migliaia di posti di lavoro andarono persi.
Tra i doveri che comportava la neutralità svizzera c’era al primo posto quello di difenderla. Ma ce n’erano anche altri, che incombevano «a tutti i cittadini svizzeri», primo fra tutti quello di «astenersi da qualsiasi manifestazione di simpatia verso l’una o l'altra delle parti belligeranti». Le manifestazioni non dovevano essere tollerate nemmeno da parte degli stranieri. «Siano essi francesi, tedeschi o italiani devono tenere i loro sentimenti per sé; non hanno alcun diritto di sventolarli sul nostro territorio neutro in un momento di guerra».

Verso lo sciopero generale
Il grosso dell’esercito venne inviato nel Giura perché i primi combattimenti tra Germania e Francia stavano avvenendo in Alsazia. Nessuno dei belligeranti doveva oltrepassare impunemente la frontiera con la Svizzera. E poiché si riteneva che prima o poi anche l’Italia sarebbe entrata in guerra, per presidiare il confine sud alcuni contingenti vennero dislocati nella Bassa Engadina (Grigioni) e nel Ticino, dove si cominciò a preparare alcune fortificazioni. Si sa che nel 1915 anche l’Italia cominciò a fortificare un buon tratto della zona di confine con la Svizzera, la Linea Cadorna. L’Italia non pensava a un improbabile attacco svizzero, quanto a un possibile attacco dell’esercito austro-tedesco qualora la Confederazione fosse stata costretta a rinunciare alla sua neutralità e a concedere il passaggio alle truppe austro-germaniche. Fortunatamente queste fortificazioni non vennero mai utilizzate.
Ben difficilmente la Svizzera avrebbe potuto mantenere in armi un numero così importante di uomini. In effetti, dopo la mobilitazione generale, si stabilì una sorta di rotazione, ciò che non impedì che ogni soldato prestasse servizio in media per 500 giorni, con un soldo ridotto e senza alcuna indennità per perdita di guadagno. Molti soldati persero il lavoro cadendo con le loro famiglie nella povertà. Circa 3000 soldati morirono durante il servizio. Purtroppo la guerra spesso non risparmia nemmeno chi cerca di evitarla.
Verso la fine della guerra, la Svizzera fu attraversata da violenti conflitti sociali che culminarono nello sciopero generale dell’11-14 novembre 1918. Era un segnale che anche in Svizzera il mondo (sociale) era cambiato o stava decisamente cambiando. La fine della guerra segnò anche, per gli italiani, la fine di un’epoca di grande emigrazione verso la Svizzera.

Giovanni Longu
Berna, 20.08.2014