11 giugno 2014

1914: 5.2 Naturalizzazioni in primo piano (seconda parte)


Nel novembre 1912, la «Commissione dei nove» aveva inoltrato al Consiglio federale una «petizione riguardante misure contro l’inforestierimento della Svizzera», proponendo fra l’altro una revisione della legge del 1903 sulla cittadinanza. Chiedeva in sostanza che nell’ambito della revisione si prevedessero nuove disposizioni per l’introduzione dello «jus soli» nella concessione della cittadinanza svizzera a chi nasceva in Svizzera.

Buon senso e opportunità
Alla base della proposta dei nove c’era una considerazione dettata dal buon senso oltre che dall’opportunità: chi nasce e cresce in Svizzera è di fatto già «assimilato» o potrebbero esserlo facilmente se solo gli si concedesse la naturalizzazione fin dalla nascita. In tal modo il numero di stranieri diminuirebbe e aumenterebbe quello dei cittadini.
Le proposte della Commissione dei nove furono generalmente benaccolte negli ambienti politici e sulla stampa. Anche il Dipartimento politico, incaricato del rapporto del Consiglio federale da presentare alle Camere federali, lo prese in seria considerazione. Il clima generale sembrava favorevole, nel senso che da più parti si chiedeva una soluzione urgente all'aumento degli stranieri, eventualmente agevolando le naturalizzazioni.
In Ticino, dove il problema dei «forestieri» era particolarmente acuto, il quotidiano Gazzetta Ticinese chiedeva una «soluzione radicale» sull'esempio di quanto avevano fatto i Paesi vicini, in particolare la Germania: «Mentre in Isvizzera si scrivono degli articoli di giornale, si costituiscono dei comitali parlamentari od extra-parlamentari o delle commissioni speciali per esaminare la scottante quistione della naturalizzazione dei forestieri, ed intanto il tempo passa e la piaga sociale svizzera che mina insensibilmente la nostra esistenza nazionale indipendente da ogni e qualsiasi corrente esotica la sproporzione cioè fra gli attinenti ed i forestieri minaccia dì divenire cancrenosa, negli Stati che ci circondano la cosa è già risolta in modo radicale, o sta per esserlo. E che anche da noi urgano provvedimenti energici, non fa più l'ombra del dubbio».

Dibattito aperto tra assimilazione e naturalizzazione
Nell’estate del 1914 il dibattito era particolarmente vivace nella stampa romanda, ma anche in alcuni quotidiani e periodici della Svizzera tedesca e della Svizzera italiana.
Molti articoli erano ancora dedicati al «problema degli stranieri», ma sempre più numerosi erano quelli che affrontavano specificamente il tema della «naturalizzazione degli stranieri». Nei primi si evidenziavano soprattutto i pericoli dell’aumento degli stranieri, sia in campo economico che in campo sociale. Nei secondi si discutevano le varie proposte per ridurre il numero degli stranieri ed evitare i rischi di «inforestierimento».
Una delle proposte più discusse e viste favorevolmente era quella di intensificare gli sforzi per «assimilare» il maggior numero possibile di stranieri e soprattutto «la parte più stabile e più sana della popolazione straniera». Questa attività doveva essere tuttavia svolta parallelamente a quella di facilitare la naturalizzazione, adottando «in parte» il principio dello «jus soli» ad esempio nel caso di stranieri nati in Svizzera, sia pure a determinate condizioni.
Sempre più spesso si parlava anche della necessità di introdurre nei confronti dei giovani nati e cresciuti in Svizzera e quindi «assimilati» una vera e propria «naturalizzazione obbligatoria». Non tutti gli osservatori, tuttavia, erano d’accordo sull’obbligatorietà e nemmeno sull’introduzione dello «jus soli».

Dubbi e timori
Gazzetta Ticinese, per esempio, riteneva tale misura inadeguata, anche se fosse adottata solo per gli stranieri nati nella Svizzera, «i quali, giunti all'età maggiore, non avrebbero neppure il diritto di opzione, fra le due patrie (quella d'origine e quella di domicilio) ma sarebbero dichiarati svizzeri senz'altro». Francamente, continuava il quotidiano, «questo sistema di fabbricare gli svizzeri ci sembra un rimedio peggiore del male. Non già che intendiamo opporci alla più larga applicazione delle leggi sulla naturalizzazione, e neppure alle eventuali nuove leggi che presentassero facilitazioni maggiori. Ma noi non vediamo nell'atto officiale della naturalizzazione, se non il battesimo del catecumeno, la ricognizione cioè della completa assimilazione del nuovo cittadino».
Era tuttavia unanime l’opinione che si dovesse intervenire con misure risolute « imperocché la questione si pone coi criteri della gravità e della urgenza per effetto delle intense correnti emigratorie e immigratorie».
Alle difficoltà di natura non solo giuridica, Gazzetta Ticinese faceva anche notare qualche difficoltà di ordine amministrativo e pratico all’introduzione della naturalizzazione «obbligatoria» o «d’ufficio» a causa del diverso grado di competenza e di interesse in materia dei Comuni, dei Cantoni e della Confederazione. I Comuni, ad esempio, nel concedere o rifiutare la naturalizzazione «non sono guidati da considerazione di alta politica nazionale, ma più spesso da considerazioni fiscali, e ciò è naturale, inquantoché i Comuni cercano nelle loro naturalizzazioni di evitare di far entrare nei ranghi dei loro cittadini degli individui che un giorno potrebbero cadere a carico dell’assistenza comunale».
L’osservazione non era senza fondamento. Un giornale satirico aveva pubblicato nella primavera del 1914 una vignetta in cui era raffigurata la signora «Helvetia» intenta a selezionare i richiedenti la naturalizzazione non certo in maniera imparziale: preferiva gli stranieri ben dotati economicamente e lasciava andare a mani vuote i propri cittadini bisognosi.
Il numero di naturalizzazioni è stato per un secolo piuttosto basso, salvo in
alcuni anni, ad es. nel 1917-18, nel 1953 e nel 1978, per circostanze particolari 
Ai primi di luglio 1914 il rapporto del Dipartimento politico era terminato. Il Consiglio federale, dopo discussione approfondita, lo approvò con poche modifiche per essere inviato al Parlamento. La stampa nazionale ne diede ampia informazione, mettendo ancora in evidenza non solo i diversi aspetti del problema degli stranieri, ma anche la necessità di misure per ridurne il numero, aumentando contemporaneamente il numero delle naturalizzazioni, ritenute fino ad allora troppo poche. Bisognava passare da una media di 3700 a 10.500 naturalizzazioni l’anno, introducendo eventualmente la «naturalizzazione forzata» per gli stranieri nati in Svizzera, purché in possesso di determinati requisiti.

Inforestierimento e naturalizzazione
Per capire l’approccio del problema della naturalizzazione cento anni fa, basta ricordare che il rapporto del 30 maggio 1914 del Consiglio federale non riguardava espressamente il problema delle naturalizzazioni, ma le «misure da prendere contro l’inforestierimento», anzi «contro l’invasione della Svizzera da parte degli stranieri».
Emerge chiaramente che non era tanto prevalente l’interesse dei giovani stranieri alla naturalizzazione, quanto l’interesse dello Stato e dell’opinione pubblica a ridurre il numero degli stranieri e il rischio dell'inforestierimento. Questo spiega, forse, perché il tema della cittadinanza è ancora oggi (più precisamente la settimana scorsa) molto contrastato e non si ha il coraggio di dare una soluzione al problema di tanti giovani «stranieri» per passaporto, ma «svizzeri» per nascita, formazione e integrazione.
Lo scoppio della prima guerra mondiale interruppe momentaneamente la discussione parlamentare sugli stranieri e sulla naturalizzazione, ma il tema dell’«inforestierimento» non venne mai abbandonato e gli furono dedicati studi universitari, discussioni di giuristi, conferenze, giornate di studio.

La discussione continua
Come accennato, la discussione è ancora in corso. Se dura da cent’anni può proseguire per qualche tempo ancora, purché ci si renda conto della necessità e dell’urgenza di trovare una soluzione giusta. Lo meritano i numerosi stranieri naturalizzabili, integrati o integrabili, ma anche la Svizzera come Paese proiettato in un sistema d’integrazione europea ormai irrinunciabile e consapevole della propria storia e del proprio futuro.
Trovo pienamente condivisibile l’osservazione di un politico luganese che, durante un dibattito pubblico a Lugano, invitava a riflettere che «la crescita della nostra Patria, lo sviluppo della nostra Nazione, il costante miglioramento del nostro tenore di vita, il benessere, il progresso e la prosperità, ha potuto aver luogo non solo, ma anche grazie al contributo di stranieri diventati successivamente nostri concittadini».

Giovanni Longu
Berna, 11.6.2014