30 aprile 2014

F35, Gripen e «credibilità» della Svizzera


Parafrasando Machiavelli si potrebbe dire che se gli uomini fossero tutti buoni…non si farebbero le guerre e non ci sarebbe quindi bisogno né di eserciti né di aerei da combattimento. Purtroppo non tutti gli uomini sono buoni e non tutti hanno la buona consuetudine di rispettare gli altri, ne convengono anche i pacifisti.
Sta di fatto che, tranne pochissime eccezioni, tutti gli Stati del mondo prevedono nei loro bilanci una voce di spesa rilevante destinata al proprio esercito e agli armamenti.
Non per nulla, anche in tempi di crisi, il commercio delle armi è sempre fiorente, tanto da suscitare qualche legittimo sospetto. Se ne è fatto portavoce qualche settimana fa Papa Francesco, il quale, parlando della guerra fratricida in Siria, ha affermato che «rimane sempre il dubbio se sia una guerra per qualcosa o una guerra del commercio illegale per vendere armi».
Negli Stati democratici, tuttavia, le spese militari sono sempre più oggetto di contestazioni, soprattutto quando la crisi crea grandi difficoltà economiche ed esistenziali a molti cittadini. Perché spendere in costosissimi armamenti, si chiedono in tanti, quando con quei soldi si potrebbe alleviare la sofferenza di milioni di persone? Tant’è che nessuno Stato vi rinuncia, anche se talvolta qualcuno è costretto dalle circostanze a ridimensionare la spesa.

Italia e Svizzera a confronto
Due degli Stati in cui attualmente si discute di spese militari e in particolare dell’acquisto di costosissimi aviogetti sono l’Italia e la Svizzera. L’approccio è però alquanto diverso. In Italia, ancora alle prese con una profonda crisi economica e sociale, il problema si pone essenzialmente in termini di opportunità e di risparmio. In Svizzera, invece, l’aspetto finanziario è tutto sommato secondario rispetto a un aspetto più politico e ideologico.
Anzitutto va ricordato che l’Italia, essendo inserita in un sistema di alleanze ben diverso da quello della Svizzera, non è confrontata con la necessità di provvedere da sola alla propria sopravvivenza nell'eventualità di un’aggressione. Il sistema NATO (Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord), di cui fa parte l’Italia, prevede infatti una «difesa collettiva». E’ vero che ogni membro deve contribuire proporzionalmente alle spese complessive dell’alleanza, ma è evidente che sono possibili deroghe, ritardi, forme di compensazione ecc.
F/A-18 in volo sulle Alpi
Il caso della Svizzera è diverso. Non volendo far parte di alcuna alleanza militare in virtù del suo statuto di Paese neutrale (fin dal Congresso di Vienna del 1815), ha sempre dovuto provvedere da sé alla salvaguardia della propria sovranità nazionale, senza delegarla ad altri.
Una prima conseguenza di questa diversità fondamentale tra i due Paesi riguarda le spese da sostenere, proporzionalmente inferiori per l’Italia e superiori per la Svizzera. Basti ricordare la flessibilità dimostrata da vari governi italiani circa l’acquisto dei cacciabombardieri F-35, di cui si discute da anni. Il loro numero, previsto inizialmente in 131, è stato ridotto a 90 dal governo di Mario Monti e non è escluso che l’attuale governo di Matteo Renzi apporti altri tagli.
Oltretutto molti obiettano a Renzi che l’acquisto di costosissimi bombardieri mal si concilia col principio costituzionale secondo cui «l’Italia ripudia la guerra» (Costituzione, art. 11). Nelle motivazioni del Governo ovviamente non ci sono solo considerazioni di ordine finanziario o ideologico, ma anche di politica internazionale (vincoli NATO).
In Svizzera, invece, alla base delle decisioni di grandi spese militari ci sono solitamente motivazioni di principio (credibilità della difesa nazionale) e secondariamente considerazioni di ordine finanziario. Prima ancora di chiedersi quanto costano gli aviogetti prescelti, politici e cittadini si domandano se sono quelli più adatti al ruolo che dovranno svolgere come elemento strategico di una difesa credibile.
Un’altra differenza, di non poco conto, tra i due Paesi nell’affrontare le grandi spese militari è che in Italia le decisioni dipendono essenzialmente dal governo e dalla sua maggioranza in Parlamento. In Svizzera, invece, anche riguardo agli investimenti per la difesa nazionale l’ultima parola spetta al popolo, come avverrà anche fra meno di un mese.

Gripen al vaglio popolare
Il 18 maggio 2014 il popolo svizzero è infatti chiamato a decidere sul referendum promosso contro  la legge istitutiva del «Fondo Gripen», ossia un fondo per l’acquisto di 22 moderni aerei da combattimento svedesi Gripen. Questi dovrebbero servire per sostituirei 54 aviogetti F-5 Tiger, ormai obsoleti e prossimi ad essere abbandonati (2016), e per integrare la flotta dei 32 F/A-18, che dovrebbero essere messi fuori servizio verso il 2030.
Prototipo di cacciabombardiere Gripen 
Il ricorso al voto popolare sta ad indicare che la spesa prevista per avere i costosissimi velivoli è contestata da una parte della popolazione, sebbene il loro acquisto sia stato deciso democraticamente dal Governo e dal Parlamento. Ma la consultazione popolare sta ad indicare soprattutto un elemento della democrazia elvetica ben più importante dell’oggetto specifico su cui si voterà. La difesa in questo Paese è sentita come un problema «nazionale» per cui è giusto che sia il Popolo sovrano a dire l’ultima parola non tanto sul sistema specifico di protezione da adottare, quanto sulla sua validità e credibilità.
Nei dibattiti sulle spese militari, anche in Svizzera si è sempre discusso sulla loro opportunità. Ricordo, ad esempio, una discussione al Consiglio nazionale alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, in cui il capo del Dipartimento militare federale Rudolf Gnägi sosteneva che il bilancio del suo dipartimento non poteva essere ulteriormente ridotto (come chiedevano alcuni) se non si voleva rinunciare alla «credibilità» dell’esercito: «o si mantiene un esercito degno di questo nome oppure è meglio abbandonare tutto!».
Dai banchi degli oppositori si levò la voce del socialista autonomo Werner Carobbio che disse: non sarebbe poi tanto male, visto che un esercito moderno costa caro e per la Svizzera è in fin dei conti inutile. Oggi, riteneva, non vi è alcun rischio di una aggressione armata e, se dovesse verificarsi, la Svizzera non sarebbe comunque in grado di opporsi alle grandi potenze.
Quella volta il Parlamento non fu dello stesso avviso e forse non lo sarà nemmeno il popolo svizzero fra meno di un mese, soprattutto dopo l’avvertimento del ministro della difesa Ueli Maurer secondo cui stavolta non si tratta del semplice acquisto di un aereo da combattimento ma di molto di più: «Il voto del 18 maggio è cruciale per l’indipendenza e la sicurezza del nostro Paese».

Credibilità ed efficacia
Sul tema della «credibilità» delle forze armate svizzere e specialmente dell’aviazione si può discutere ma non si può negare ch’esso sia ritenuto fondamentale. Esso è stato al centro delle scelte della politica militare svizzera fin dagli inizi della moderna Confederazione. L'esistenza di un esercito svizzero efficiente e quindi la necessità delle spese per il suo mantenimento sono da sempre incontestate dalla massa della popolazione e dai grandi partiti che determinano la politica elvetica.
Quando all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia (1981) qualche politico italiano aveva auspicato l’annessione del Cantone Ticino, il generale svizzero Guillaume-Henri Dufour aveva rassicurato i politici svizzeri e la popolazione perché «l’esercito è pronto!» («Die Armee ist da!») e poteva disporre di 100.000 uomini (compresi i riservisti) più 50.000 uomini della milizia territoriale (Landwehr). Tutti ben equipaggiati, istruiti e ben armati, che avrebbero impedito a chiunque di violare impunemente la frontiera svizzera. La Svizzera non è mai stata attaccata.

Origini e sviluppo dell'aviazione militare svizzera
Alla vigilia della prima guerra mondiale, mentre tutti i Paesi confinanti avevano già almeno un embrione di aviazione militare, la Svizzera ne era totalmente priva perché la Confederazione non aveva i soldi nemmeno per addestrare i piloti. Per sopperire a questa mancanza, nel 1914 venne promossa una colletta nazionale privata che apportò circa 1,7 milioni di franchi. Con questa somma ebbe inizio, per volontà popolare, il primo nucleo dell’aviazione militare svizzera, che quest’anno celebra il suo primo centenario. Venne organizzata la prima centrale di addestramento (nove piloti in tutto) in un’area vicino a Berna (Beundenfeld ) e vennero acquistati o presi in affitto i primi otto velivoli.
Tra le due guerre mondiali l’aviazione militare svizzera si sviluppò notevolmente colmando la distanza che la separava da quelle dei Paesi vicini. Durante la guerra intervenne solo poche volte, ma lasciò intendere di essere credibile ed efficace. Molti aerei erano tenuti pronti ad intervenire in enormi cavarne ricavate nelle montagne, dove furono anche allestite molte piste.

Svizzera: né agnello né superlupo
La Svizzera, in quanto Paese neutrale, ha sempre sperato di non essere attaccata, ma ha sempre ritenuto di doversi difendere efficacemente se attaccata.. Molti anziani ricordano ancora la paura di un attacco tedesco (la cosiddetta «operazione Tannenbaum») durante la seconda guerra mondiale e la volontà della piccola Svizzera di resistere a tutti i costi.
Max Frisch ricordando quegli anni, ha scritto: «La nostra volontà di difesa si fondava sulla speranza che la semplice esibizione della nostra volontà di difesa dissuadesse il nemico».
Un altro scrittore svizzero, Friedrich Dürrenmatt, ha riassunto questo atteggiamento con una immagine presa dal mondo animale: «La Svizzera è un superlupo che, nel momento in cui afferma di essere neutrale, dichiara di essere un superagnello. In altre parole: la Svizzera è un superlupo che proclama di nutrire intenzioni aggressive nei confronti degli altri superlupi. Il successo è sorprendente: nemmeno il superlupo Hitler divorò il superlupo Svizzera travestito da agnello».
Non credo che la Svizzera sia un superlupo, come non sono sicuramente superlupi gli altri Paesi dell’Unione Europea. Pertanto, fuori metafora, non sarebbe il caso di credere piuttosto in una Unione europea meno aggressiva e più solidale? Trasformando le spese militari, almeno quelle più consistenti, in spese sociali e di progresso, insieme si potrebbe andare molto lontano ed essere ancor più credibili.

Giovanni Longu
Berna, 30.04.2014