26 marzo 2014

Sardegna e Veneto, due casi di un malessere diffuso


1. Sardegna, 27° Cantone svizzero


L’esasperazione di molti sardi, che si sentono trascurati dallo Stato italiano, deve aver spinto un professionista cagliaritano a lanciare una specie di supplica via Web nientemeno che agli svizzeri: venite a salvarci perché non ne possiamo più delle promesse fatteci dai vari Silvio, Giorgio, Romano, Mario, Enrico, Matteo, ecc.
La Sardegna sta morendo, gridano in tanti. E chi meglio degli svizzeri potrebbe guarirla e ricondurla agli antichi splendori della mitica Ichnusa o Sandalion, come la chiamavano i greci? Ancora oggi questi nomi evocano l’idea di un’isola felice e prospera (Ichnusa = l’isola del grande verde) perché una qualche divinità l’aveva fatta emergere come una perla dal mare e vi aveva lasciato la sua impronta indelebile (Sandalion = orma di piede, impronta).

Partenariato, non svendita!
I sardi, purtroppo, hanno smesso di sognare da tempo, ma non rinunciano alla dignità di appartenere a un popolo fiero, nuragico, coraggioso, a condizione, tuttavia, che lo Stato, un qualche Stato dia loro fiducia e le risorse necessarie per ripartire. Ecco perché la Svizzera non va vista come un possibile acquirente (come alcuni hanno erroneamente interpretato, perché i sardi mai svenderebbero la loro terra e prova ne sia che neppure i potenti Romani riuscirono a conquistarla interamente), ma come un partner a cui cedere quel tanto di sovranità necessario, come del resto hanno fatto tutti i Cantoni svizzeri, in cambio di protezione, investimenti, rilancio economico.
I sardi, o almeno molti sardi, sono convinti che lo scambio sarebbe nell'interesse di entrambe le parti: la Svizzera supererebbe definitivamente la sindrome d’accerchiamento per non aver sbocchi sul mare e la Sardegna diventerebbe il 27° Cantone svizzero, il «Cantone marittimo», guadagnando in un colpo solo benessere e prestigio, perché in Svizzera i Cantoni sono nello stesso tempo Stati (repubbliche) e Cantoni (a sovranità limitata).

Perché la Svizzera?
Ma perché i sardi hanno pensato proprio alla Svizzera? Anzitutto perché la Svizzera ricca ed efficiente costituisce per molti europei una forte attrazione, nonostante recentemente abbia detto no all'immigrazione di massa. Basterebbe seguire le cifre sugli arrivi di questi ultimi anni, soprattutto dal Kosovo, dal Portogallo, dall'Italia, dalla Germania, dalla Francia, ecc. o il numero crescente di naturalizzazioni di cittadini italiani, tedeschi, kosovari, serbi, francesi, portoghesi, ecc. Ma non si tratta solo di un’attrazione dovuta alla forza economica e organizzativa di un Paese efficiente e rispettoso delle autonomie.
La vera ragione probabilmente risiede in una memoria recente e antica di ottimi rapporti tra la Sardegna e la Svizzera. Molti sicuramente sanno che i numerosi immigrati dalla Sardegna negli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso erano ritenuti ottimi lavoratori e molti di essi si sono integrati in questo Paese, pur continuando spesso a frequentare i Circoli sardi ancora in attività perché bene organizzati e accoglienti. Molti probabilmente non sanno invece che i legami tra la Sardegna e la Svizzera sono molto antichi.

Carouge, città «sarda»
Essi risalgano almeno a 260 anni fa, quando il Trattato di Torino (1754), ponendo fine ai frequenti conflitti tra la Repubblica di Ginevra e la Savoia, assegnò al Regno di Sardegna di Carlo Emanuele III il borgo di Carouge, vicino a Ginevra. Quel piccolo villaggio si sviluppò rapidamente, diventando dapprima «zona franca» (1781) poi «città reale» (1786). Importanti architetti piemontesi l’arricchirono di palazzi in stile neoclassico, piazze e giardini, per fare concorrenza a Ginevra. Non arrivò a tanto perché nel 1792 le truppe francesi l’occuparono interrompendo brutalmente lo sviluppo di Carouge e decretando il suo distacco definitivo dal regno di Sardegna.
Carouge conserva comunque ancora oggi il suo carattere di «città italiana» con un fascino meridionale, un’impronta indelebile di quel periodo «sardo», che i suoi abitanti non dimenticano. Nel 2001, in occasione della grande festa annuale di Carouge, «La Vogue», la Sardegna fu l’invitata d’onore. Molti manifesti portavano la scritta «Carouge accoglie la Sardegna».
Quel che è accaduto nel 2001 a Carouge potrà ancora succedere in altre parti della Svizzera perché la Sardegna gode nell'opinione pubblica di questo Paese di un grande fascino e sarà sempre bene accolta come ospite d’onore. Appartiene invece alla categoria dei sogni irrealizzabili poter leggere un giorno, per esempio a Berna, la scritta «La Svizzera accoglie la Sardegna» (quale suo 27° Cantone).

2. Il Veneto verso l'indipendenza?

La Sardegna non è l’unica regione italiana a manifestare una gran voglia di distacco dal centralismo romano. Una voglia di scollamento, di ribellione e addirittura di indipendenza serpeggia ormai in diverse regioni del Nord Italia, segno evidente di un malessere che si sta estendendo sempre più, alimentato soprattutto da un partito denominato, per chi l’avesse dimenticato, «Lega Nord per l’indipendenza della Padania».
Dopo il racconto fantapolitico messo in onda qualche mese fa dalla televisione della Svizzera italiana sulla «cessione della Lombardia alla Svizzera», nelle scorse settimane è stata la volta di un’altra regione del Nord, il Veneto. Dopo essere stato per quasi un secolo una delle regioni italiane a più alto tasso di emigrati, da diversi decenni era considerato uno dei principali motori dell’economia italiana con un reddito pro-capite nettamente superiore a quello medio italiano e vicino a quello delle regioni più avanzate d’Europa.
Oggi il Veneto incontra grosse difficoltà, cresce poco, vede il tessuto industriale indebolirsi sempre più, con numerose imprese che chiudono o spostano la produzione all’estero e la disoccupazione in aumento. Purtroppo cresce anche, nuovamente, l’emigrazione. Nell’opinione pubblica, ben orchestrata da gruppi imprenditoriali e dalla Lega, crescono il malcontento, l’opposizione all’euro e il sentimento di ribellione nei confronti di Roma e di Bruxelles accusate d’incapacità a gestire la crisi di questi anni e d’impoverire il Veneto che, su 70 miliardi di euro d’imposta versati, 20 non li vede più tornare sul territorio.

Un grido di guerra
A differenza del quesito posto per il sondaggio sulla Sardegna, con cui si chiedeva in sostanza un’opinione (nella versione lanciata dal quotidiano online Libero.it: «Secondo voi l'Italia dovrebbe vendere la Sardegna alla Svizzera?»), la domanda posta ai veneti chiedeva un’espressione di volontà: «Vuoi tu che il Veneto diventi una Repubblica federale indipendente e sovrana?».
La differenza è notevole. Tanto è vero che, mentre l’appello rivolto ai sardi per esprimere il loro dissenso da Roma è sfociato in una sorta di «supplica» inesaudibile alla Svizzera, i veneti sono stati chiamati al voto, per il momento solo telematico (virtuale) senza alcun effetto legale, con l’intenzione di inviare a Roma e a Bruxelles un avvertimento preciso e come tale, penso, è stato almeno in parte recepito.
Anche i toni della propaganda dei due sondaggi erano differenti, pacato il primo, appassionato il secondo. I veneti si sono mossi, in massa, a quanto sembra, sotto la spinta di un grido di guerra: «Liberiamo il Veneto!» (titolo de La Padania, organo ufficiale della Lega Nord, del 2-3 marzo scorso). Il termine guerra non è una forzatura. E’ lo stesso Matteo Salvini, europarlamentare e segretario federale della Lega Nord che dichiarava qualche settimana fa: «La guerra è iniziata. L’elmetto indossato… Il Nord vuole tornare a correre». E, come titolava ancora La Padania appena citata, «la Lega avverte Roma e Bruxelles: pronti a riprenderci la libertà».
L’esito della votazione, com’è noto, è stato sorprendente anche per l’alto numero dei votanti, quasi 2,4 milioni. Più che un sondaggio per saggiare gli umori della gente, si è rivelato un referendum, anzi un plebiscito contro Roma (ladrona e sprecona) e per l’indipendenza del Veneto. Un’indipendenza, che verosimilmente non avrà mai, ma non per questo le questioni sollevate dai sardi, dai lombardi, dai veneti e da altri italiani possono essere archiviate come velleitarie e irricevibili.

Roma e Bruxelles riflettano!
La «supplica» dei sardi ha fatto sorridere molti (svizzeri e italiani), come quando a manifestare una qualche voglia di adesione alla Svizzera era stata la Lombardia, e la rivendicazione dei veneti farà storcere il naso a più di un burocrate a Roma e a Bruxelles, ma non c’è dubbio che sollevano non pochi interrogativi sulla geopolitica nazionale e internazionale, che meriterebbero molta più attenzione sia dal parlamento e dal governo italiani e sia dagli organismi comunitari di Bruxelles.

L’Italia è un Paese troppo grande per essere centralistico e le Regioni sono troppo deboli per sottrarsi al centralismo romano (con buona pace dei veneti). Se non si troverà quanto prima una soluzione ragionevole alla relazione centro-periferia, ponendo mano seriamente alla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, l’esasperazione di tante Regioni e di troppi cittadini non faranno che aumentare.
Anche l’Europa, nei prossimi anni, dovrà cercare di superare gli egoismi nazionali e l’eccesso di burocrazia per estendere l’idea di una patria comune e il rispetto delle autonomie dei popoli e delle regioni. Non so se la Svizzera, col suo sistema di Cantoni e Regioni ormai consolidato possa rappresentare un modello imitabile, ma sicuramente meriterebbe di essere studiato. Dopo tutto qui non ci sono Cantoni che aspirano all’indipendenza da Berna o Cantoni che vorrebbero abbandonare il franco per adottare un’altra moneta.
Giovanni Longu
Berna, 26.03.2014