26 febbraio 2014

Voto svizzero e Accordi bilaterali


In Svizzera le reazioni negative all'esito della votazione del 9 febbraio 2014, che ha approvato la limitazione dell’immigrazione di massa, lentamente si stemperano. Nessuno crede più che si sia trattato di una disfatta per la Svizzera e che non ci siano vie d’uscita. Persino in Europa nessuno fa più la voce grossa, anzi si levano voci autorevoli, a cominciare dalla Merkel, che lasciano intravedere possibili soluzioni. Certo, anche i vincitori della votazione si rendono conto che i rapporti con l’Unione Europea (UE) non saranno più gli stessi, ma si dimostrano nonostante tutto ottimisti.
I più ottimisti sono ovviamente i vincitori della consultazione popolare, l’Unione democratica di centro (UDC) e la Lega dei Ticinesi. Entrambe le organizzazioni si rendono conto che i prossimi negoziati con l’Europa e con l’Italia saranno tutt’altro che facili, ma sanno di potersi battere col sostegno del voto popolare, risicato a livello nazionale, molto ampio in Ticino.

Svizzeri decisi e ottimisti
L’UDC, per bocca soprattutto dello storico tribuno Christopf Blocher, pur ritenendo che la partita con l’UE sarà difficile, ritiene persino che alla fine la Svizzera potrebbe ritrovarsi più forte come accadde nel 1992, quando venne respinto l’accordo sullo Spazio economico europeo. Con la votazione del 9 febbraio, ritiene Blocher, la Svizzera si è riappropriata della propria sovranità, sottraendosi a quel «rapporto di tipo coloniale con l’UE», che subiva da tempo anche per la debolezza della classe politica svizzera al riguardo. Bruxelles deve ora prenderne atto e riprendere i negoziati.
E’ opinione diffusa che tra la Svizzera e l’Europa, appena saranno archiviate le reazioni a caldo (e soprattutto dopo le elezioni europee di maggio), riprenderà il dialogo perché tanti sono gli interessi comuni: oltre alla libera circolazione, la ricerca, il programma di scambi universitari Erasmus, il mercato dell’energia, il sistema dei trasporti transalpini, ecc. D’altra parte nessuno dà per scontato che la via degli accordi bilaterali sia esaurita.

Difficoltà con l’Italia
Anche con l’Italia, il dialogo dovrebbe riprendere quanto prima, ma non sarà facile trovare nuovi accordi accettabili da entrambe le parti, almeno in tempi brevi, come forse s’illudevano il ministro Saccomanni e lo stesso capo del governo Enrico Letta pochi mesi fa.
La speranza di un accordo con Berna «entro maggio», appare irrealistico. A meno che il nuovo governo italiano non imprima alla trattativa una forte accelerazione e si riesca a concludere almeno l’accordo sulla fiscalità entro maggio, quando è prevista la visita di Stato in Svizzera del presidente Giorgio Napolitano.
L’accordo sulla fiscalità, in effetti, sembra essere ormai a portata di mano, perché la Svizzera è disposta ad abbandonare il modello Rubik e ad accettare lo scambio automatico delle informazioni. Restano tuttavia numerosi dettagli, alcuni non di poco conto, che devono essere ancora regolati. La Svizzera chiede, ad esempio, di essere cancellata dalle «liste nere» italiane, dove figurano i Paesi ritenuti «canaglia» in ambito fiscale (i cosiddetti «paradisi fiscali») e la garanzia di poter partecipare al mercato finanziario italiano. Inoltre, non è ancora ben chiaro se il trattamento fiscale delle persone e delle imprese italiane con conti in Svizzera sarà o meno discriminatorio rispetto a persone e imprese con capitali nei Paesi dell’UE.

Il problema dei frontalieri
Le difficoltà maggiori nella trattativa con l’Italia non riguardano tanto il negoziato sulla fiscalità, quanto gli altri accordi in discussione, soprattutto quello sui frontalieri. La Lega dei Ticinesi, forte del consenso ottenuto in Ticino dal fronte dei sì all'iniziativa sulle limitazioni dell’immigrazione di massa (quasi il 70%), insiste perché si metta mano in tempi brevi alla trattativa, per chiudere definitivamente il contenzioso.
E’ probabile che questa volta l’attivismo dei ticinesi la spunti sul presunto immobilismo di Berna, che probabilmente ha sottovalutato la questione dei frontalieri. Oltretutto oggi la classe politica ticinese è compatta nel chiedere a Berna d’intervenire su Roma e di disdire l’accordo sui frontalieri del 1974 (anche se proprio ieri il Consiglio federale, per bocca della ministra delle finanze Widmer-Schlumpf, ha fatto sapere che intende migliorarlo ma non disdirlo). Si è parlato persino di bloccare i ristorni fiscali dei frontalieri all’Italia (ma il Consiglio federale si è detto contrario), di aumentare le imposte dei frontalieri, di intervenire subito sugli autonomi italiani, i cosiddetti «padroncini», di controllare meglio i flussi dei frontalieri, almeno fino a quando la crisi occupazionale italiana non si affievolirà, ecc.
A questo punto è difficile prevedere la conclusione dei vari negoziati, ma una cosa è certa: gli scambi tra l’Italia e la Svizzera (specialmente il Ticino) non cesseranno mai, anzi sono destinati a crescere. Basti pensare all’interscambio tra i due Paesi, ai trasporti, ai rapporti culturali, all’Expo 2015 di Milano, alla forte presenza italiana in Svizzera. Tanto varrebbe che il dialogo riprendesse immediatamente perché la soluzione dei problemi appare indispensabile e urgente.

Giovanni Longu
Berna, 26.02.2014

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