05 febbraio 2014

Consumi culturali: Italia e Svizzera a confronto


Qualche giorno fa la Rete Due della RSI ha messo in onda una breve presentazione del consumo culturale in Italia e in Svizzera negli ultimi anni. Trattandosi di un tema e di un confronto molto interessanti, li ripropongo entrambi ai lettori di questa rubrica, avvertendoli tuttavia che i confronti in generale e in campo culturale in particolare sono sempre estremamente difficili per cui occorre molta prudenza nel trarre eventuali conclusioni.

Rapporto di Federculture
Già nel 2009 avevo trattato questo tema, ma non intendo qui aggiornare i dati di allora, anche perché è probabile che i metodi di rilevazione siano nel frattempo cambiati e i risultati ottenuti non siano più comparabili. Trovo invece più utile osservare quanto la crisi di questi anni abbia inciso nei consumi culturali degli italiani e degli svizzeri e quanto sia cresciuta o diminuita nelle istituzioni e nel privato la consapevolezza della cultura come fattore di sviluppo.
Il rapporto di Federculture 2013 fotografa
 la disastrosa realtà culturale italiana.
La Rete Due della RSI deve aver preso lo spunto per l’emissione dalla recente presentazione a Roma del «Rapporto Annuale Federculture 2013», una pubblicazione che fotografa i principali consumi culturali degli italiani, ma anche le spese destinate dalle amministrazioni pubbliche alla cultura.
Il conduttore della trasmissione, per introdurre il tema, ha citato pochi risultati ma alquanto significativi della «realtà disastrosa» italiana: «Sempre di più gli italiani rinunciano alla cultura. Netti i segnali della crisi: in aumento gli italiani che non si dedicano alla cultura…, in diminuzione i lettori di libri … in diminuzione anche gli investimenti pubblici nel settore… Insomma, l’Italia è nelle ultime posizioni in Europa».
Per un breve commento è stato interpellato il direttore di Federculture (Federazione delle Aziende e degli Enti di gestione di cultura, turismo, sport e tempo libero) dott. Claudio Bocci, il quale non ha esitato a dare un giudizio «molto critico» della situazione, alla luce non solo dei risultati, ma anche dei comportamenti del potere pubblico. La grave crisi economica che il Paese sta vivendo, ha infatti indotto non solo i privati ma anche le amministrazioni pubbliche a ridurre drasticamente le spese per la cultura. Nel bilancio dello Stato la riduzione è stata negli ultimi dieci anni di circa il 40 per cento. Il bilancio del Ministero dei Beni e delle Attività culturali è stato ridotto del 27%. La spesa dello Stato per la cultura è tra le più basse d’Europa: lo 0,11% del PIL (prodotto interno lordo).

Italiani penultimi in Europa
Nel 2012, si legge nel Rapporto, dopo un lungo periodo di crescita durato oltre dieci anni, la spesa per «cultura e ricreazione» delle famiglie italiane ha subito un significativo calo: -4,4%. Nell'arco dei dieci anni precedenti, dal 2002 al 2011, la spesa culturale degli italiani era cresciuta del 25,4%.
Di pari passo con la spesa, nel 2012 è crollato anche il consumo culturale, in tutti i settori: teatro (-8,2%), cinema (-7,3%), musei e mostre (-5,7%), concerti di musica classica (-22,8%), altri concerti di musica (-8,7%), siti archeologici e monumenti (-7,9%), partecipazione culturale (-11,8%).
In termini di spesa delle famiglie e di consumi, si allungano le distanze con l’Europa. L’Italia è al di sotto della media UE di spesa in cultura (8,9%) e tra gli ultimi in classifica prima solo di Grecia, Bulgaria, Romania e pochi altri. Ad esempio, sono solo 28 su cento gli italiani che visitano un museo all'anno, contro i 52 inglesi, e solo il 46% degli italiani legge un libro l’anno mentre lo fanno il 58,7% degli spagnoli e addirittura il 70% dei francesi.

Spesa pubblica in diminuzione
L'Italia è al 26° posto, cioè penultimo, tra i Paesi dell'Unione Europea rispetto alla spesa pubblica per istruzione e formazione (appena il 4,2% del PIL, contro una media europea del 5,3%). La strategia Europa 2020 prevede il 40% di laureati tra i 30 e i 40 anni: la media UE è vicina al 35% mentre in Italia è solo del 20%. Il numero degli immatricolati degli atenei italiani è in costante diminuzione: in dieci anni gli iscritti alle università sono diminuiti del 15%, negli ultimi venti anni addirittura del 25%.
Secondo Piero Fassino, presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), in Italia è diffusa l’idea che la cultura è un bene prezioso che ti puoi permettere quando ci sono tempi di vacche grasse, ma è il primo ad essere ridotto quando è tempo di vacche magre. Eppure, ha detto ancora Fassino alla presentazione del Rapporto di Federculture 2013, dovrebbe essere chiaro a tutti che «la cultura è un fattore costitutivo dello sviluppo, non aggiuntivo». Evidentemente tra il dire e il fare la distanza è enorme. Le conseguenze sono però gravi e allarmanti, perché, oltretutto, il cattivo esempio dato dal pubblico è seguito anche dal privato.

Responsabilità dei media
Da mesi, se non da anni, i media italiani mettono al centro dell’informazione lo spettacolo politico (talvolta persino disgustoso, come di recente alla Camera dei deputati) e il crescente disagio sociale, ma non sono in grado di metterli in relazione e di individuarne le cause profonde.
Nessuno sembra avere il coraggio di stimolare la vera democrazia partendo dal basso (responsabilità individuali), di additare ideali e valori per far crescere il Paese, di valorizzare la professionalità, l’intraprendenza, la competitività, lo studio, la formazione continua, la cultura. Nonostante gli scarsi risultati a livello internazionale del sistema formativo Italia, chi davvero si sta preoccupando della scarsa produttività (in termini di ricerca, brevetti, studi di punta) delle università italiane e della mediocre formazione scolastica dei quindicenni? Chi parla ancora di scuola, di meritocrazia, di responsabilità?
Credo che l’Italia ritroverà la sua anima e la considerazione in Europa e nel mondo solo quando avrà rimesso al centro dei suoi interessi la formazione e la cultura, condizioni indispensabili di sviluppo e di prosperità.

Consumi culturali in Svizzera
La Svizzera ha superato la crisi di questi ultimi anni certamente meglio dei Paesi vicini. Ciononostante anche in questo Paese «fortunato» (come direbbe ancora oggi Denis de Rougemont) i consumi culturali sono leggermente calati, ma restano pur sempre molto elevati nel loro insieme.
La spesa per la cultura si è mantenuta al livello ragguardevole di oltre 270 franchi al mese per famiglia. Ovviamente la pratica di attività culturali o la loro fruizione aumentano o diminuiscono parallelamente al reddito delle famiglie e, in maniera ancora più netta, al livello di formazione. Essi vanno considerati comunque su scala internazionale piuttosto elevati.
Due terzi della popolazione della Svizzera si reca regolarmente a concerti e proiezioni cinematografiche, visita città storiche, musei ed esposizioni. Anche le biblioteche, i teatri e i festival riscuotono un buon successo di pubblico.
Nel 2011 ogni famiglia ha speso mediamente circa 150 franchi al mese nel settore audiovisivo (acquisti e abbonamenti): televisori, apparecchi radiofonici e acustici, computer e Internet, dischi, DVD, cinema, ecc.; 53 fr. per giornali e periodici, libri e stampati vari; 18 fr. per teatri e concerti; 11 fr. per corsi di musica e di danza; 5 fr. per visite a musei, mostre, biblioteche e simili; ecc. Internet, che permette di accedere a una serie di media e contenuti culturali, viene utilizzato ormai dall’80% della popolazione.

Collaborazione tra pubblico e privato
Il fatto che la spesa per la cultura e il tempo libero delle famiglie sia elevata sta ad indicare non solo un diffuso benessere che consente senza difficoltà di destinare una parte delle disponibilità finanziarie ad attività culturali e al godimento di beni e servizi culturali, ma anche quanto la cultura in senso ampio sia percepita dalla stragrande maggioranza della popolazione come un valore da conservare e sviluppare. Quanto detto da Fassino, ma poco realizzato in Italia, in questo Paese è una convinzione diffusa tanto nel pubblico che ne privato: la cultura è un fattore costitutivo dello sviluppo.
Lo Stato (Confederazione, Cantoni e Comuni) è molto impegnato in questo settore considerato basilare per le sfide globali che attendono la piccola Svizzera. La cultura e la formazione, sono infatti i presupposti per poter spingere la ricerca e l’innovazione ai massimi livelli, in parte già raggiunti da molte aziende svizzere. Occorre pertanto garantire loro condizioni possibilmente ottimali, dalla scolarità obbligatoria alla formazione universitaria e postuniversitaria, senza trascurare per nulla la formazione profession
ale, un campo in cui pubblico e privato collaborano intensamente.
Il 31 gennaio scorso, nel corso della cerimonia di premiazione di circa 160 giovani professionisti che si sono distinti nei campionati svizzeri e mondiali delle professioni del 2013, il consigliere federale Johann N. Schneider-Ammann, capo del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca ha tenuto a sottolineare che se la Svizzera intende rimanere tra i primi Paesi al mondo nel settore della formazione, della ricerca e dell’innovazione, deve continuare ad offrire ai giovani percorsi formativi vari e ben combinati, orientati alla ricerca di punta a alla promozione dell’innovazione. Il ministro della formazione ha inoltre precisato che «per far mantenere florida la nostra economia servono talenti a tutti i livelli».

Giovanni Longu
Berna, 5 febbraio 2014

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