01 gennaio 2014

2014: anno dello «jus soli»?


In Italia, la ministra dell’integrazione Cècile Kyenge ha affermato qualche giorno fa: «2014 verso una nuova cittadinanza: chi nasce e/o cresce in Italia è italiano». Penso che sia lecito dubitarne, anzi è più probabile che in quella direzione non si faccia alcun passo avanti. 
Non è infatti immaginabile che l’Italia, anche alla luce dei flussi immigratori recenti e in continua evoluzione, possa introdurre nel proprio ordinamento il diritto di cittadinanza degli stranieri in base allo «jus soli», ossia purché nascano sul territorio nazionale.

Richiamo al senso di realtà e di opportunità
E’ risaputo che la Kyenge ha fatto dello «jus soli» il suo cavallo di battaglia in seno al governo Letta, ma fin dal suo primo annuncio all’indomani dell’insediamento del governo Letta ha scatenato vivaci reazioni delle opposizioni e persino in alcuni settori della maggioranza. Non credo nemmeno che la maggioranza del governo Letta sia favorevole in questo momento a introdurre una così radicale e divisiva modifica nella legge sulla cittadinanza. Trovo pertanto incomprensibile che il presidente del Consiglio dei Ministri non sia ancora intervenuto per richiamare la ministra naturalizzata di origine congolese al senso della realtà e della coesione nazionale.
Su questo tema dello «jus soli» sono già intervenuto altre volte, suggerendo di affrontare l’argomento, estremamente delicato, osservando anche la storia di altri Paesi in condizioni simili a quelle dell’Italia di questi ultimi decenni, caratterizzate da tassi elevati d’immigrazione. Credo che ogni Paese debba risolvere questo problema in base alle proprie convenienze e non in base a principi astratti o a modelli esterni. Ma un caso come la Svizzera, che non riconosce lo «jus soli» nonostante affronti il problema da oltre 150 anni, dev’essere preso seriamente in considerazione.
Do per scontato, anche se per molti non lo è affatto, che il tema del «pieno riconoscimento» dello straniero è fondamentale per tutte le società confrontate con tassi d’immigrazione elevati. Ancora, ogni società ispirata a principi di umanità, rispetto, tolleranza, solidarietà non può fingere che gli «stranieri», soprattutto se bene integrati, possano o addirittura debbano tramandare lo statuto di «stranieri» anche ai loro discendenti, senza che lo Stato intervenga per riconoscerli pienamente come propri cittadini. I problemi veri che lo Stato deve affrontare e risolvere è disciplinare a livello legislativo quando e a quali condizioni tale riconoscimento possa o debba avvenire.

Affermazioni infondate e destabilizzanti
La Svizzera, come accennato, si è posta questi interrogativi fin dalla sua costituzione in Stato federale (1848), ma non è mai giunta alla conclusione, anche nei momenti più critici (pericolo di dipendenza dagli stranieri), che la soluzione consistesse nel riconoscere la cittadinanza svizzera a tutti i nati in territorio elvetico da genitori stranieri residenti. In diverse modifiche legislative ha precisato tempi e modalità, ma ha sempre ritenuto l’integrazione degli aspiranti o richiedenti la nazionalità la condizione essenziale per ottenerla.
La soluzione di riconoscere «italiano» chiunque nasca sul territorio nazionale essenzialmente in funzione del territorio in cui si nasce mi pare da scartare perché inconsistente e inaccettabile per quanti attribuiscono alla «nazionalità» la pienezza dell’appartenenza alla Nazione. E’ altresì tutto da dimostrare che «chi nasce e/o cresce in Italia è italiano». Che a dirlo siano una ministra della Repubblica e la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini non va certo a loro favore, perché proprio per il ruolo che rivestono dovrebbero andare cauti con affermazioni infondate e destabilizzanti.
Credo ormai che nessuno Stato moderno sia più disposto a introdurre nel proprio ordinamento uno «jus soli» alternativo o affiancato allo «jus sanguinis» oggi assolutamente predominante. Nemmeno l’Italia potrebbe introdurlo senza sollevare indignazione e ribellione. Tanto varrebbe non parlarne nemmeno e affrontare invece quelle tematiche ben più importanti e di non facile attuazione, specialmente quando le idee sono poco chiare, che concernono l’integrazione degli stranieri soprattutto di seconda generazione.

Integrazione via maestra
In Italia occorre anzitutto raggiungere la consapevolezza che la via maestra per ottenere la nazionalità italiana è l’integrazione. E’ quindi necessario adottare politiche d’integrazione serie, strutturate e orientate al conseguimenti di determinati obiettivi, ad esempio la conoscenza della lingua italiana, il rispetto delle leggi e delle tradizioni, la scelta se continuare a vivere in Italia o rientrare al proprio Paese d’origine, ecc. Né va ignorato che l’integrazione spesso richiede del tempo, solitamente anni. Questo tempo non vale ovviamente per i neonati, ma dovrebbe valere per i loro genitori, quando ne chiedessero la naturalizzazione, per cui sta a loro l’onere della prova dell’integrazione, ricordando anche che la nazionalità, per chi non ce l’ha, va sempre chiesta perché può essere solo una concessione, non essendo un diritto.

Giovanni Longu
Berna 1.1.2014

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