27 novembre 2013

«Gli Svizzeri» e l’identità nazionale


«Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?». Questi o simili interrogativi stimolano da sempre la ricerca umana e la filosofia, ossia l’«amore per la sapienza», secondo il significato originario greco della parola «filosofia». Sono anche domande fondamentali per chiunque voglia tentare di dare senso e valore alla propria vita su questa terra.
Gli stessi interrogativi, sicuramente validi per gli individui, possono essere utili anche per una riflessione collettiva alla ricerca o alla riconferma dell’identità nazionale di un Popolo e di uno Stato. Su questo terreno, la ricerca delle origini e del destino collettivo può essere opportuna o addirittura necessaria, quando si attraversano periodi storici caratterizzati, come il nostro, da profonde mutazioni geopolitiche, economiche, sociali e culturali. In questi momenti è possibile che nasca il dubbio della propria identità nazionale e l’incertezza sulla rotta da seguire.

La Svizzera periodicamente s’interroga
La Svizzera non fa eccezione. Negli anni Sessanta, è stata attraversata da una vera e propria crisi d’identità. Si parlò del «malessere svizzero» che si stava diffondendo soprattutto tra gli intellettuali. Pesava, ad esempio, come una specie di senso di colpa, l’atteggiamento eccessivamente «neutrale» avuto dalla Svizzera durante la seconda guerra mondiale, specialmente nei confronti di Hitler. Pesava, soprattutto, la mancanza di una chiara visione del futuro.
Anche Max Frisch ne fu in qualche misura contagiato quando nel 1960 scriveva degli svizzeri: «non abbiamo alcun progetto su noi stessi, e quindi nessun futuro. Da noi si tratta sempre e soltanto di difendere, preservare, aggiustare, perfezionare». E nonostante la Svizzera fosse nata da «nient’altro che un pensiero utopico», Frisch, osservava: «Oggi, invece, non solo le utopie ma anche e soprattutto tutti i desideri radicali vengono per così dire sottratti allo svizzero insieme al latte materno».
Un altro grande scrittore svizzero, Friedrich Dürrenmatt, in un discorso tenuto il 1° agosto 1967, parlando dei rapporti allora esistenti tra i vari gruppi linguistici e culturali che compongono oggi la Svizzera notava: «Il rapporto non è buono, anzi di per sé non esiste alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma non insieme. Quel che manca è il dialogo, il colloquio, la curiosità reciproca, l’informazione».
Quasi in contrapposizione al pessimismo di tanti suoi contemporanei, qualche anno più tardi un altro pensatore e scrittore svizzero, Denis de Rougemont, pubblicava «La Svizzera. Storia di un popolo felice» (1965). Voleva essere un segnale e un invito a guardare al passato, ma soprattutto al futuro.
Più vicini a noi, nel 1998, in occasione del 150° della Confederazione, il politico socialista Peter Bodenmann osservava un po’ sconsolato che mentre nel 1848 gli svizzeri in Europa erano politicamente i più rivoluzionari, oggi «la Svizzera è politicamente ed economicamente bloccata» e auspicava una maggiore apertura.
Come antidoto, lo stesso anno 1998, il presidente della Confederazione Flavio Cotti suggeriva di «proseguire il cammino intrapreso dai nostri avi, riconoscendo le circostanze storiche mutate ma fondandoci sui loro stessi valori». Non basta, infatti, proseguiva Cotti, «limitarci a contemplare gli indiscutibili successi del passato», ma dobbiamo saper «discernere la realtà attuale, progettare il futuro», ricordando che questo «in democrazia diretta, tocca indistintamente a tutte le cittadine e a tutti i cittadini».

La SSR suggerisce una riflessione
Non so qual è esattamente lo stato d’animo più diffuso oggi tra i cittadini svizzeri, ma non si può nascondere che molti non vedano davanti a sé un futuro roseo, che il dubbio e l’incertezza frenino il loro ottimismo, che le crisi internazionali facciano vittime anche in questo Paese, sebbene in numero minore che altrove, che un senso d’insicurezza serpeggi in diversi strati della popolazione.
In ogni caso, sono persuaso che ad ogni Popolo, periodicamente, giovi riflettere sulla propria solidità identitaria, sulla consistenza delle proprie forze, non solo materiali ma anche spirituali, e sulla propria collocazione nel mondo circostante. Bene dunque ha fatto la SSR (Società Svizzera di Radiotelevisione) a proporre in prima serata in tutte le reti televisive nazionali durante il mese di novembre una serie di quattro filmati (docufiction) allo scopo di stimolare una riflessione collettiva sulle origini della storia svizzera, dai miti di fondazione all’affermazione dello Stato federale moderno (1848).
Per raggiungere meglio lo scopo, oltre alle ricostruzioni cinematografiche di personaggi ed eventi della storia svizzera, sia all’interno dei filmati che negli studi televisivi esperti ed eminenti personalità hanno messo in evidenza il significato storico, politico, culturale e talvolta anche religioso delle singole narrazioni. Inoltre, per sottolineare l’attualità della riflessione collettiva, in tutti i media il tema «Gli Svizzeri» è stato ampiamente trattato in commenti, articoli di giornale, dibattiti televisivi e radiofonici, interventi in Internet.
Non so se sia possibile fare un bilancio in termini di numero di spettatori che hanno seguito tutti o parte dei quattro filmati e soprattutto in termini di «gradimento». Quel che mi pare certo è l’utilità di un simile esercizio, se non altro per stimolare la riflessione sui valori, in un’epoca in cui al riguardo sembrano regnare lo smarrimento e il relativismo: quali sono i valori? Chi lo decide?
Non credo che la SSR, nel proporre questi filmati, abbia inteso promuovere una sorta di esaltazione delle virtù elvetiche, ma ha sicuramente offerto una bella possibilità d’interrogarsi sull’identità nazionale, oggi e per domani, secondo il motto: «Solo chi sa da dove viene sa dove vuole andare». E un Popolo sano, uno Stato sano non vanno mai a casaccio, ma tendono sempre verso quegli ideali che generalmente sono sanciti nella Costituzione. Ebbene, gran parte dei grandi ideali iscritti nell’attuale Costituzione risale ai primordi della Confederazione. I vari filmati hanno cercato di metterne in evidenza più d’uno, incarnandoli nei personaggi-protagonisti.

«Gli Svizzeri»
Già nel primo filmato, dedicato al Patto del Grütli e alla battaglia di Morgarten, sono messi in luce i benefici dell’alleanza e della sua forza derivante dalla forma del giuramento «in nome di Dio onnipotente», ma soprattutto l’irrinunciabile voglia di libertà, da conquistare e difendere ad ogni costo.
E non ha molta importanza se nella rievocazione cinematografica quei valori appaiono incarnati in personaggi che per la storiografia moderna non sono nemmeno esistiti, perché è certo che comunque hanno avuto un’origine, verosimilmente proprio nelle epoche descritte nei filmati. Per questo, personaggi come Guglielmo Tell e Werner Stauffacher, benché appartenenti più alla leggenda che alla storia, possono continuare a sopravvivere nella coscienza popolare perché incarnano valori tuttora validi e irrinunciabili.
Basti pensare anche solo al motto che campeggia all'interno della cupola di Palazzo federale: «Uno per tutti - tutti per uno». Anche se ad ispirarlo non furono i tre confederati che giurarono di sostenersi a vicenda contro le pretese esagerate dell’imperatore asburgico nel 1291, non c’è dubbio che le origini storiche vanno ricercate nelle prime alleanze delle comunità montane che oggi vengono riconosciute come Cantoni primitivi. Così pure va ricercato nello spirito di quelle alleanze la voglia di emancipazione e di libertà dei confederati dalle origini ai giorni nostri.
Nel secondo filmato si tratta della politica di conquista degli svizzeri e delle lotte interne tra confederati e tra città e campagna. A giusta ragione è stato messo in evidenza il superamento dei conflitti sia verso l’esterno che verso l’interno grazie alla neutralità (secondo le esortazioni dell’eremita Nicolao della Flue di «non costruire il recinto troppo lontano» e di tenersi fuori dalla azioni del mondo) e mantenendo vivo lo spirito di conciliazione.
Nel terzo filmato, mentre si rievoca un momento molto critico della convivenza dei diversi Stati-Cantoni (1847), sull’orlo di una guerra civile, si mettono in luce attraverso il protagonista principale Guillaume Henri Dufour, anticipando persino alcuni concetti fondamentali della Rivoluzione francese, il senso della fraternità e dell’assurdità della guerra civile, che – afferma nel filmato - «porta con sé due sventure: la prima di essere stati vinti, la seconda di esserne stati vincitori». Nonostante fosse convinto che l’unità dei confederati dovesse prevalere contro il tentativo di separazione, era anche convinto che non si possono uccidere i propri fratelli. E qualora ciò fosse inevitabile, si dovesse aver cura di «non lasciare cicatrici al mio Paese».
In effetti, la brillante operazione di Dufour facilitò subito dopo la riconciliazione, che portò in breve tempo alla costituzione dello Stato federale con una Costituzione federale valida per tutti i Cantoni. A giusta ragione si dice nel filmato che mentre quasi tutte le rivoluzioni del ’48 sono fallite, quella svizzera ha prodotto lo Stato federale che resiste nel tempo ancora oggi.
Nel quarto ed ultimo filmato si parla della modernità. La Confederazione, ormai costituita e ben strutturata, si vide proiettata verso il futuro per agganciare il progresso già avviato nei Paesi del Nord e del Sud. I protagonisti indiscussi, nel filmato e in parte anche nella storia, sono Alfred Escher e Stefano Franscini. Il primo, uomo politico, imprenditore e banchiere, fondò il Credito Svizzero e, in collaborazione con Franscini, primo consigliere federale italofono, il Politecnico federale di Zurigo. La logica era chiara: senza la finanza non c’è impresa e quindi sviluppo economico, e senza formazione di alto livello non c’è innovazione e ricerca. La prima grande realizzazione d’importanza europea fu la Ferrovia del Gottardo, che venne battezzata come la via delle genti e della modernità. Un simbolo della Svizzera lanciata ormai con convinzione e con i mezzi necessari sulla via del progresso e dell’integrazione europea.
Giovanni Longu
Berna 26.11.2013