09 ottobre 2013

1973: dopo Schwarzenbach… la crisi!


Il consigliere nazionale James Schwarzenbach (1911-1994) sarà ricordato nella storia dell’immigrazione italiana in Svizzera soprattutto come colui che tentò, invano, di rimandare al loro Paese di provenienza alcune centinaia di migliaia di stranieri immigrati (nell'arco di quattro anni), solo per effetto di un calcolo aritmetico, oltre che politico. Una iniziativa popolare da lui promossa prevedeva infatti di ridurre radicalmente la popolazione straniera residente a non oltre il 10% in tutti i Cantoni salvo Ginevra.


Via 310.000 stranieri?
Secondo i calcoli del Consiglio federale, se l’iniziativa fosse stata accolta dal popolo svizzero e dalla maggioranza dei Cantoni, almeno 310.000 stranieri avrebbero dovuto lasciare la Svizzera entro quattro anni. La quota a carico degli italiani sarebbe stata preponderante.
L’iniziativa, conosciuta come «Prima iniziativa Schwarzenbach» venne respinta dal 54% dei votanti (allora solo uomini, perché le donne non avevano ancora ottenuto il diritto di voto a livello federale), con uno scarto di meno di 100.000 voti rispetto a quanti l’approvarono.
La bocciatura dell’iniziativa non tranquillizzò gli immigrati stranieri (allora soprattutto italiani) e neppure le autorità federali e gli ambienti economici. Era infatti chiaro che i movimenti xenofobi sarebbero tornati presto nuovamente alla carica, com'era chiaro che il rigetto dell’iniziativa era dovuto soprattutto alla paura delle imprevedibili conseguenze che avrebbe comportato una sua accettazione, sia per il clima sociale che avrebbe inevitabilmente surriscaldato e sia per le negative previsioni sull'economia.
La paura era stata la vera protagonista di questa come di altre votazioni dello stesso tipo, non il desiderio di apportare finalmente un miglioramento significativo alle condizioni di lavoro e umane degli stranieri, tali da favorire la loro integrazione. Gli immigrati (italiani) si resero immediatamente conto di quanta poca considerazione godessero in molti strati della popolazione svizzera.

Una vittoria… amara
In gran parte degli stranieri l’esito della votazione lasciò molto amaro in bocca non solo per la proporzione elevata dei favorevoli, ma anche perché tra quelli che la rifiutarono molti lo fecero per opportunismo e per convenienza. Molti emigrati che vissero quella situazione ricordano ancora come all'interno delle fabbriche l’atmosfera fosse improvvisamente cambiata: la probabilità che ogni due colleghi di lavoro svizzeri uno avesse votato a favore dell’iniziativa Schwarzenbach e dunque contro gli stranieri era facilmente desumibile dall'esito della votazione.
J. Schwarzenbach
Quel che non riuscì a Schwarzenbach nel 1970 divenne inevitabile pochi anni più tardi durante la crisi economica che si abbatté anche sulla Svizzera sul finire del 1973, proprio quarant'anni fa, in seguito allo shock petrolifero caratterizzato dall'improvvisa impennata dei prezzi petroliferi.
Già nel mese di luglio, precauzionalmente, il Consiglio federale intervenne con un decreto per limitare il numero di nuovi immigrati. I permessi annuali a disposizione dei Cantoni vennero ridotti del 50% passando da 20 mila a 10 mila e il contingente federale fu ridotto a 5 mila permessi. Il numero degli stagionali fu portato invece a 192 mila e quello dei frontalieri lasciato come prima indefinito. A nulla servirono le proteste delle organizzazioni degli immigrati italiani e le espressioni di preoccupazione del Governo italiano.

I tagli della crisi
Ciononostante, la crisi si abbatté pesantemente anche sulla Svizzera, provocando chiusure di aziende, licenziamenti e disoccupazione. L’Ufficio federale dell’industria, delle arti e mestieri e del lavoro emanò direttive molto restrittive per il rilascio di nuovi permessi di lavoro agli stranieri, per favorire l’occupazione dei disoccupati svizzeri o domiciliati e per scoraggiare l’arrivo di nuovi immigrati. In Svizzera stava per finire un’epoca in cui il lavoro abbondava, la disoccupazione era pressoché sconosciuta e ognuno, con un po’ di buona volontà e qualche sacrificio, poteva realisticamente pensare di realizzare i propri sogni.
Per molti immigrati italiani il sogno era finito o stava per finire e il futuro appariva drammatico, tanto è vero che da quel momento coloro che decidevano di rientrare in Italia, spesso prima del previsto, erano più numerosi degli italiani che entravano per la prima volta come immigrati in Svizzera. Tra il 1973 e il 1977 oltre 220.000 italiani lasciarono la Svizzera. Gli arrivi furono solo 166.000. Il saldo migratorio per gli italiani sarà da quel momento e fino a pochi anni fa costantemente negativo, ossia i rientri in Italia superavano sempre i nuovi arrivi in Svizzera.

Quanti furono i disoccupati?
Superata la crisi, sul finire degli anni ‘70, molti si posero la domanda: quanti furono i disoccupati e quanti di essi dovettero lasciare la Svizzera? Le risposte furono molteplici e discordanti a seconda delle fonti utilizzate e della definizione di «disoccupato». Per le statistiche ufficiali, che consideravano disoccupati solo coloro che avevano i requisiti per annunciarsi agli uffici della disoccupazione e decidevano di fatto di iscriversi, i disoccupati erano poche decine di migliaia e il tasso di disoccupazione sotto l’1,0%. Pertanto non rientravano nelle statistiche, ad esempio, i molti lavoratori stranieri, che pur avendone i requisiti, non s’iscrivevano preferendo, piuttosto che restare senza lavoro, tornarsene al proprio paese.
Trattandosi di un’evidente distorsione della realtà, alcuni studiosi cercarono di quantificare il numero dei posti di lavoro persi in quegli anni dall'economia svizzera. Ma anche al riguardo non esistono a tutt'oggi statistiche attendibili. Secondo l’associazione degli imprenditori svizzeri (Vorort), nell’arco di un anno, fra il 1974 e il 1975, «si stimano a circa 200.000 (compresi gli stagionali) gli impieghi soppressi o non più occupati durante questo intervallo di tempo». Secondo una stima dell’Ufficio federale di statistica (UST), invece, tra il 1974 e il 1978 sarebbero andati persi circa 300.000 posti di lavoro. Secondo fonti sindacali e giornalistiche i posti di lavoro persi in quegli anni furono invece non meno di 350.000. Forse la stima più attendibile è quella dell’UST.

Quanti i disoccupati stranieri?
Quanti dei posti soppressi erano occupati da stranieri? E quanti furono gli stranieri che lasciarono il Paese in seguito alla disoccupazione? Anche al riguardo non esistono risposte attendibili. Secondo le fonti sindacali e giornalistiche a dover partire furono fra 230.000 e 350.000 persone. Nel 1979 queste ultime cifre scatenarono però una viva reazione del segretariato della Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri, che contestò sia l’espressione spesso utilizzata dai media di «esportazione della disoccupazione» sia le cifre fornite, argomentando che non tutti i posti di lavoro soppressi erano occupati da stranieri e che il calo di stranieri registrato in quegli anni di crisi non era imputabile (solo) alla disoccupazione e alla presunta «esportazione della disoccupazione».
In effetti è incontestabile che i posti di lavoro soppressi non fossero tutti occupati da stranieri ed è pure corretto affermare che dal punto di vista politico-giuridico non fu esercitata alcuna pressione sui disoccupati stranieri per il loro rientro. Ma è anche incontestabile che la recessione abbia creato grande insicurezza presso molti lavoratori stranieri e che ciò abbia spinto numerosi dimoranti annuali e anche domiciliati a tornare nel loro Paese, anche senza esservi costretti per motivi di lavoro. E’ inoltre vero e riconosciuto anche dalla Commissione federale consultiva per il problema degli stranieri che gli stranieri in Svizzera svolgevano in un certo senso una funzione di «cuscinetto congiunturale» che stava diventando sempre più insopportabile.

Dramma dei rientri
Detto questo, ammettendo pure che direttamente a causa della crisi occupazionale siano rientrate in Italia poche decine di migliaia di persone, non si può ignorare che quelle partenze rappresentavano molto spesso altrettanti drammi personali e familiari.
Proprio in quegli anni scrisse al riguardo Piera Caponio, allora segretaria del centro professionale CISAP di Berna, che si occupava della formazione professionale dei lavoratori immigrati:
«L’emigrante affronta il suo secondo viaggio, ancora più incerto del primo, quello che lo aveva portato in territorio elvetico con tanta voglia di darsi da fare, di costruire un destino “diverso” per lui e per la sua famiglia, su un treno che era stato definito “della speranza”. Come si potrebbe chiamare il treno che lo riporta indietro? “della zavorra” o “degli scarti”? Eppure fino a ieri l’emigrante era l’ospite gradito, gran lavoratore, pieno di buona volontà, disposto a impegnarsi fino in fondo ed ottimo acquirente. Forse si è trattenuto troppo a lungo e, come tutti sanno, dopo un certo tempo, l’ospite è come il pesce. Gradito prima fin che è servito e sgradito appena la crisi ha fatto capolino. A quel punto bisogna sbarazzarsene e al più presto (…). Si obietterà che il sistema industriale quando vacilla travolge e stritola chiunque. Sarà anche vero, ma perché la realtà del lavoratore emigrante dev’essere sempre deteriore e più precaria di tutti gli altri? Certo, anche i lavoratori svizzeri stanno soffrendo della recessione, seppure in misura molto limitata, ma al lavoratore straniero disoccupato non viene data nemmeno la possibilità di restare dove è, magari arrangiandosi per un po’ di tempo con i suoi risparmi, alla ricerca di una altro lavoro. No, lo straniero, nel giro di pochi mesi, deve sparire…».
E’ doveroso tuttavia sottolineare che anche la discussione provocata in quegli anni dalla situazione di crisi ha contribuito ad accelerare quel processo di cambiamento della politica migratoria svizzera già annunciato dal Consiglio federale all'integrazione degli stranieri, soprattutto quelli della seconda generazione, sempre più numerosi e impossibile da considerare «cuscinetto congiunturale».
indomani dello scampato pericolo dell’iniziativa Schwarzenbach. Da allora il problema centrale è diventato l’

Giovanni Longu
Berna, 9.10.2013