22 maggio 2013

Italia-Svizzera: integrazione e cittadinanza (seconda parte)


Nel precedente articolo su «Italia-Svizzera: integrazione e cittadinanza» (prima parte) del 15.5.20139 sostenevo che l’integrazione è la «principale condizione per la naturalizzazione», ossia per l’acquisizione della cittadinanza anche degli stranieri di seconda generazione. Per questo auspicavo per l’Italia un’efficace politica migratoria incentrata sull'integrazione. Mi suggeriscono queste considerazioni l’attuale dibattito sullo «jus soli», ma soprattutto la storia migratoria svizzera.

Per una politica d'integrazione efficace
La Svizzera è stata un Paese d’emigrazione ben prima dell’Italia. Fino al 1888 il suo saldo migratorio era negativo, ma anche nei decenni successivi si è continuato ad emigrare. Dalla fine dell’Ottocento, tuttavia, la Svizzera è divenuta un Paese d’immigrazione e ha dovuto confrontarsi col problema di un’alta percentuale di stranieri (attualmente 23,3%) sul suo territorio. Per cercare di risolverlo, da alcuni decenni ha adottato con successo una politica d’integrazione che sta dando i suoi frutti già nella seconda generazione di stranieri ma soprattutto in quelle successive.
L’Italia è stata molto più a lungo, per oltre un secolo, un Paese d’emigrazione di massa e solo da pochi decenni conosce il fenomeno inverso dell’immigrazione. Pur avendo (ancora) una bassa percentuale di stranieri, non c’è dubbio che anche in Italia gli immigrati (compresi i clandestini) costituiscono un serio problema che va ben gestito, con una efficace politica migratoria incentrata sull'integrazione. Quella tradizionale basata specialmente su misure di ordine pubblico e sul controllo delle frontiere dovrebbe essere quantomeno integrata e sostanziata con misure finalizzate all’integrazione degli stranieri presenti sul territorio.

Politica migratoria italiana
La politica migratoria italiana si basa essenzialmente sul «Testo unico sull’immigrazione» del 1998 e successive modifiche e integrazioni. In esso sono contenute le principali disposizioni «sull'ingresso, il soggiorno e l'allontanamento dal territorio dello Stato», sul riconoscimento dei «diritti e doveri dello straniero» e sulle finalità della politica d’integrazione degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia.
Nella parte riguardante l’immigrazione si tratta per lo più di disposizioni amministrative e penali introdotte specialmente dalla famosa legge Bossi-Fini del 1999 e dal decreto legge sulla sicurezza del 2008. Esse regolano in particolare il controllo delle frontiere, l’ingresso nel territorio nazionale («consentito allo straniero in possesso di passaporto valido o documento equipollente e del visto d'ingresso…»), la gestione delle «quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato», il contrasto delle «immigrazioni clandestine», l’espulsione («per gravi motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale», ma anche per ragioni amministrative), ecc.

Politica d’integrazione
Nella parte riferibile a una vera e propria politica d’integrazione, il Testo unico contiene alcune affermazioni di principio, che se attuate risulterebbero anche molto efficaci. Si parla ad esempio di un «accordo di integrazione» che lo straniero deve sottoscrivere al momento della presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per il conseguimento di «specifici obiettivi di integrazione» nel periodo di validità del permesso di soggiorno.
Nonostante venga precisato che in questo contesto «si intende con integrazione quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società», non è dato capire quali siano o possano essere concretamente gli «obiettivi specifici» dell’accordo e quali siano in definitiva gli obiettivi finali dell’integrazione.
Ci sono tuttavia nel Testo unico altre espressioni che contribuiscono a dare un’idea più precisa di questi obiettivi. Ad esempio là dove si parla di «interventi pubblici volti a favorire le relazioni familiari, l'inserimento sociale e l'integrazione culturale degli stranieri residenti in Italia, nel rispetto delle diversità e delle identità culturali delle persone, purché non confliggenti con l'ordinamento giuridico» (art. 3, comma 3).
Ancor più esplicito è l’articolo 42, in cui si precisano alcune «misure di integrazione sociale» quali: «la diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana in particolare riguardante i loro diritti e i loro doveri, le diverse opportunità di integrazione e crescita personale e comunitaria offerte dalle amministrazioni pubbliche e dall'associazionismo…» e ancora: «l'organizzazione di corsi di formazione, ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale e di prevenzione di comportamenti discriminatori, xenofobi o razzisti, destinati agli operatori degli organi e uffici pubblici e degli enti privati che hanno rapporti abituali con stranieri o che esercitano competenze rilevanti in materia di immigrazione».
Come si vede, il Testo unico sull’immigrazione può essere considerato una buona base di partenza per realizzare sul terreno gli obiettivi dell’integrazione. Si tratta di mettere in pratica tutte le misure indicate, coinvolgendo non solo gli enti pubblici (oggi in particolare il Ministero dell’integrazione), ma anche le associazioni professionali, istituzioni ecclesiastiche, associazioni ed enti privati attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati.

Politica migratoria svizzera
Come detto, la Svizzera ha una lunga storia, fra l’altro interessantissima, di emigrazione e immigrazione. Per molti decenni ha sofferto per la partenza di molti suoi figli come mercenari e come lavoratori emigranti, fra l’altro anche in Italia, poi verso la fine dell’Ottocento è divenuta un Paese di immigrazione. Per lungo tempo la sua politica migratoria è consistita quasi esclusivamente nel controllo delle frontiere e nella gestione dei flussi immigratori attraverso accordi internazionali e leggi specifiche sull’ingresso e il soggiorno degli stranieri. Solo dagli anni Settanta del secolo scorso ha intrapreso la strada di una sempre più mirata politica d’integrazione.
I due testi fondamentali della nuova politica migratoria svizzera sono la legge federale del 2005 sugli stranieri e l’ordinanza del 2007 sull’integrazione degli stranieri. Alcuni articoli in particolare meritano di essere espressamente menzionati. Anzitutto l’articolo 4 della legge, intitolato «Integrazione»:
«1. L’integrazione mira alla convivenza della popolazione residente indigena e di quella straniera, sulla base dei valori sanciti dalla Costituzione federale, nonché sulla base del rispetto reciproco e della tolleranza.
2. L’integrazione è volta a garantire agli stranieri che risiedono legalmente e a lungo termine in Svizzera la possibilità di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società.
3. L’integrazione presuppone la volontà degli stranieri di integrarsi nella società e un atteggiamento di apertura da parte della popolazione svizzera.
4. Occorre che gli stranieri si familiarizzino con la realtà sociale e le condizioni di vita in Svizzera, segnatamente imparando una lingua nazionale».
L’ordinanza è ancora più esplicita e all’articolo 2 precisa:
1. L’obiettivo dell’integrazione è di garantire agli stranieri pari opportunità di partecipazione alla società svizzera.
2. L’integrazione è un compito trasversale svolto dalle autorità federali, cantonali e comunali assieme alle organizzazioni non governative, comprese le parti sociali e le associazioni degli stranieri.
3. L’integrazione avviene in primo luogo mediante le strutture ordinarie quali segnatamente la scuola, la formazione professionale, il mondo del lavoro e le strutture della sicurezza sociale e della sanità pubblica. È tenuto conto delle esigenze speciali di donne, bambini e giovani. Misure specifiche per stranieri sono adottate solo a titolo di sostegno complementare».

Sistema di indicatori e di verifiche
Come si può osservare, gli articoli citati definiscono in modo chiaro non solo gli obiettivi dell’integrazione, ma anche gli strumenti e le modalità di realizzazione. Ma quali sono i risultati? La chiarezza delle leggi e l’indicazione degli strumenti di applicazione non bastano infatti a definire una buona politica. Per questo è indispensabile una verifica ed è interessante osservare che, proprio in riferimento all’efficacia della politica migratoria svizzera, l’Ufficio federale di statistica ha elaborato e attuato un sistema di «indicatori dell’integrazione».
In un prossimo articolo presenterò alcuni risultati interessanti sicuramente per una valutazione della politica d’integrazione svizzera e forse per un confronto con la situazione italiana, anche se le popolazioni straniere nei due Paesi sono assai diverse.
Giovanni Longu
Berna, 22.05.2013