16 gennaio 2013

La Svizzera isola felice?


Per l’insieme degli Stati dell’Unione europea (UE) il 2012 si è concluso con una leggera ventata di ottimismo, ma molti Paesi dovranno ancora attendere prima di uscire definitivamente dal tunnel della crisi. Per questi, Italia compresa, il periodo dell’austerità non è affatto finito.
La Svizzera è certamente uno dei Paesi europei che ha meno sofferto della crisi e i principali indicatori lo dimostrano. Eppure anche per essa, secondo molti osservatori, il 2012 è stato un anno difficile. Ma non per ragioni interne, bensì per le conseguenze della crisi internazionale.

L’inquietante panorama europeo
Il maggiore quotidiano svizzero in lingua italiana, il Corriere del Ticino, a fine anno ha sintetizzato la retrospettiva 2012 in un articolo intitolato: «Quella piccola isola elvetica fra i marosi della crisi europea». E’ interessante riportare alcuni passaggi, che esprimono bene un sentimento assai diffuso nell'opinione pubblica: «La Svizzera si è trovata alle prese con un’Europa che appare vieppiù insofferente e ostile nei suoi confronti, sotto il peso di un indebitamento mostruoso e alla disperata ricerca di ogni possibile fonte di introito fiscale. Nonché di capri espiatori verso cui dirottare l’attenzione e allentare almeno un po’ la pressione sui governi, costretti ad una politica di risanamento, non solo impopolare, ma semplicemente devastante per larghe fasce dei loro cittadini. Un vero dramma, all'origine del quale non si trova sicuramente il segreto bancario elvetico».
«Eppure – proseguiva l’articolo – nel mezzo di questo inquietante panorama europeo, proprio quel piccolo Paese tanto preso di mira (e troppo poco a esempio) si presenta ancora una volta come un’isola di stabilità. Con un indebitamento contenuto, un’industria performante, un sistema politico ben lungi dall'essere perfetto ma comunque in grado di assicurare continuità ad un modello meno ambizioso di altri, ma sicuramente più democratico e che ha dato nel tempo prove tangibili della sua solidità. Una realtà cui non pochi (sicuramente più di quanti sembrano a prima vista) guardano anche dai Paesi vicini con rispetto e interesse. Chiedendosi se forse non sia il caso di trarre ispirazione dalla sue modeste ma collaudate istituzioni per riconfigurare un progetto europeo ben più ambizioso nelle intenzioni ma anche assai più incerto nel suo divenire…».

Rapporti tesi con i Paesi vicini
Quanto sia diffusa l’opinione di una Svizzera benestante sotto attacco di un’Europa in grave difficoltà lo dimostrano da una parte i rapporti non certo ottimi con i Paesi vicini e dall'altra le numerose prese di posizione di autorevoli commentatori e personalità politiche sulla necessità di non indebolire «la posizione della Svizzera nella guerra economica in atto».
Sono noti in proposito i dissapori con la Francia, dopo che il presidente François Hollande ha dichiarato di non voler trattare su qualunque progetto di accordo fiscale che rassomigli a un’amnistia fiscale e ha deciso di adottare misure severe nei confronti dei cosiddetti «esiliati» fiscali in Svizzera.
Nei confronti della Germania, dopo la bocciatura dell’accordo fiscale già sottoscritto da entrambi i governi, la Svizzera ha fatto sapere che non vi potrà essere un altro negoziato sulla stessa materia. La ministra delle finanze svizzera Widmer-Schlumpf, pur essendo disposta a qualche concessione, difende il sistema fiscale elvetico e il segreto bancario che vi sta alla base, mentre sembra escludere lo scambio automatico di informazioni bancarie richiesto dall’UE.
Nei confronti dell’Italia i rapporti in questo momento appaiono meno tesi, visto che il negoziato fiscale prosegue, ma non credo che il presidente della Confederazione possa ripetere le parole del suo predecessore Forrer, quando cento anni fa, alla fine del 1912, dichiarò che le relazioni con l’Italia erano ottime e cordiali. Potrà dire solo che i rapporti sono in progressione e che spera di giungere quanto prima a una conclusione soddisfacente per entrambe le parti di tutti i negoziati aperti.

Una Svizzera «sicura di sé»
Ueli Maurer, Presidente
 della Confederazione 2013
In una serie d’interventi del neopresidente della Confederazione per il 2013 Ueli Maurer mi sembra ben riassunto un atteggiamento che se non fa l’unanimità degli svizzeri raccoglie sicuramente moltissimi consensi.
In un’intervista al Corriere del Ticino del mese scorso, ad esempio, dopo aver ricordato la necessità della coesione nazionale secondo il motto «uno per tutti, tutti per uno», ha detto chiaro e tondo che nei rapporti con l’UE non c’è altro che la via bilaterale («tutto il resto è escluso»), richiamando anche la condizione fondamentale: «da questa via bilaterale la Svizzera deve ricevere come minimo quanto dà. E’ la condizione principale, e tutti gli accordi dovrebbero tenerne conto, tuttavia purtroppo non è sempre il caso».
Per maggiore chiarezza, il neopresidente faceva questo esempio nell'ambito del traffico: «se davvero vogliamo costruire per gli italiani gli accessi ad AlpTransit che ci hanno promesso da anni, allora dobbiamo anche richiedere qualcosa in cambio. La Svizzera deve essere cosciente di quanto vale». E poi, restando nel tema delle comunicazioni, ha insistito ricordando che se la Svizzera ha bisogno dell’UE, anche l’UE ha bisogno della Svizzera, ad esempio, se vuole raggiungere l’Italia attraverso il Ticino, o raggiungere la Germania partendo dall'Italia.
Ueli Maurer ha poi dato un carattere per così dire di ufficialità nazionale alle sue idee nel corso del discorso di Capodanno: «La Svizzera deve presentarsi "sicura di sé, cosciente di essere uno stato forte": essa è un fattore essenziale per la stabilità in Europa, grazie alla sua moneta solida, ai suoi investimenti sul continente, agli impieghi che offre ai cittadini europei e alla sua posizione centrale per i trasporti. La Svizzera - ha aggiunto il neopresidente - ha fatto molto per l'Europa, costruendo per esempio la galleria ferroviaria di base del San Gottardo; l'UE, invece, non ha fatto niente per quanto riguarda le vie d'accesso alle nuove trasversali alpine. Nei negoziati internazionali si tratta sempre di dare e di ricevere, non è il caso di cedere ogni volta di fronte a una forte pressione, "se si cede sempre, ci si dichiara vinti"».

La via bilaterale: «dare e avere»
Non c’è dubbio che in questo momento di grazia per la Svizzera («il miglior posto al mondo per nascere», secondo una classifica internazionale stilata dalla rivista Economist per il 2013) e di grande debolezza strutturale e finanziaria per l’UE alzare i toni non giova né all'una né all'altra parte, per cui la via del dialogo è obbligata. Del resto, recentemente anche l’UE ha mostrato una maggiore disponibilità al dialogo. 
Widmer-Schlumpf e José Manuel Barroso
In un incontro tra il presidente della Commissione dell’Unione europea José Manuel Barroso e la ministra elvetica Widmer-Schlumpf sembra si siamo poste le premesse per i prossimi negoziati partendo dagli accordi bilaterali esistenti. Si dovrebbe giungere (quando non si sa) ad un accordo quadro di tutti gli accordi esistenti e futuri e all'istituzione di un'istanza internazionale di controllo.
Molti svizzeri sono convinti che la Svizzera deve «tener duro» nel difendere i suoi ideali e le sue istituzioni (compreso il segreto bancario, insieme al federalismo, alla neutralità, all'indipendenza e quant'altro). Altri, invece, non si nascondono le difficoltà che un piccolo Paese come la Svizzera, per quanto solido e florido, dovrà affrontare nei confronti di un colosso come l’UE, soprattutto se la moneta unica europea si rafforzerà e gli Stati meno virtuosi riusciranno a mettere in campo misure efficaci per risanare il micidiale debito pubblico.
Purtroppo il futuro dell’UE e degli Stati uniti d’Europa dipenderà da quel «se». Nel corso dell’anno dovremmo saperne di più, osservando la tenuta dell’euro (confrontando le voci più pessimistiche con quelle più ottimistiche), l’andamento dello spread, il controllo delle finanze pubbliche, l’evoluzione dell’occupazione e della disoccupazione e anche le prime mosse del prossimo governo italiano.
A questo punto mi viene spontanea, come si usa dire, una domanda: sarebbe tutto più facile se di questa UE, nel bene e nel male, facesse parte anche la Svizzera, magari con uno statuto speciale per salvaguardare le sue prerogative storiche, culturali e istituzionali essenziali? Ebbene, la mia risposta è senz’altro sì.

Compromessi «utili»
E’ vero che, come scriveva il giornalista Marc-Andre Miserez su Swissinfo.ch qualche mese fa («Svizzera-UE: una vecchia coppia che non vuole sposarsi», in questo momento «l’Europa non è più attraente. Con la crisi del debito, il crollo della moneta unica, i Paesi del sud sull'orlo del fallimento, i piani d’austerità e una disoccupazione alle stelle, l’UE versione 2012 non ha più molti argomenti per sedurre la Svizzera, rimasta un’isola di prosperità relativa in mezzo alla tormenta…».
Eppure Svizzera e UE hanno moltissime cose in comune. Tanto varrebbe metterle davvero in comune per la buona e cattiva sorte, ben sapendo che la sorte, come la felicità, è mutevole. Ma se anche di comunione dei beni e di matrimonio proprio non vogliono nemmeno sentir parlare, è urgente che entrambe le parti trovino nel dialogo quei compromessi che sono spesso più utili di quella rigidezza di principi astratti che non porta alcun beneficio concreto.
Giovanni Longu
Berna 16.1.2013


Ueli Maurer, Presidente della Confederazione 2013


Rapporti bilaterali Svizzera-UE