23 ottobre 2013

70° della FCLIS: 2. Primi anni


La fondazione della Federazione delle Colonie Libere Italiane nel novembre 1943 fu salutata con grande interesse non solo dagli ambienti antifascisti, ma anche – secondo il resoconto fattone dal quotidiano socialista ticinese Libera Stampa – da «scuole, società ricreative, mutue, cooperative, gruppi sindacali, ecc.». In breve tempo, alle prime dieci Colonie se ne aggiunsero altre quindici, che giustificarono ben tre convegni federali, due a Zurigo (1944) e uno a Berna (1945), e un Congresso a Lugano (1945).

Consolidamento
Si trattava soprattutto di rafforzare la Federazione (con statuti, presidenza, comitato federale, un organo di stampa, ecc.), coordinare le attività delle Colonie nell'ambito dell’antifascismo e della Resistenza, seguire una linea comune nei confronti delle istituzioni fasciste e neofasciste presenti in Svizzera, sensibilizzare il maggior numero possibile di lavoratori emigrati ai valori democratici che avevano guidato la Resistenza.
Il nuovo organismo, sentendosi come investito di un compito arduo ma non impossibile, rivendicava per sé «la rappresentanza unitaria di tutti gli italiani dimoranti in Svizzera e rimasti fedeli alle grandi tradizioni di libertà e di umanità». Questa «rappresentanza» venne sancita ufficialmente dal Terzo Convegno delle Colonie Libere della Svizzera, tenutosi a Berna nel marzo 1945, a cui parteciparono i delegati delle 25 Colonie esistenti, approvando all'unanimità la seguente risoluzione: «La Federazione delle C.L.I. della Svizzera, riunita a convegno in Berna il marzo 1945, rivendica anzitutto alle Colonie libere e alla loro Federazione costituitasi a Olten il 21 novembre 1943, il merito di aver preso un'iniziativa che ha valso a trarre l'emigrazione italiana in Svizzera dallo stato di disorientamento e di inerzia successo agli avvenimenti del luglio e settembre del 1943 [e] riconferma, e per questa iniziativa e per l’autorità morale e politica che le Colonie Libere hanno saputo acquistarsi, la sua qualità di unica rappresentante dell’emigrazione italiana nella Svizzera».

Attività di assistenza e impegno culturale
Nasceva anche da questo sentire l’entusiasmo delle prime Colonie, almeno fino alla fine della guerra, nel fornire assistenza ai fuorusciti e agevolare gli scambi d’informazioni tra questi e gli ambienti della Resistenza in vista del rientro in Italia degli antifascisti per «preparare in libera terra la vita dell’Italia di domani».
Grande era anche l’impegno informativo e culturale delle Colonie nell'ambiente dei lavoratori immigrati. In ogni CLI si organizzavano incontri, dibattiti, scambi di idee sul nuovo modello di Stato da realizzare in Italia, sulla democratizzazione delle istituzioni dell’emigrazione, sulla tutela dei diritti dei lavoratori immigrati, ecc.
Le Colonie si distinsero tuttavia fin dall'inizio soprattutto nell'attività di assistenza. Fra tutte si distingueva quella di Zurigo che nel 1944 costituì l’«Assistenza italiana di Zurigo», per «soccorrere i cittadini italiani indigenti o colpiti da sventura, che hanno stabile dimora in Zurigo o vi sono di passaggio».
Solidarietà ai nuovi immigrati, ma anche cultura
Le CLI dimostrarono grande sensibilità e solidarietà quando nel 1946 cominciarono ad arrivare i «nuovi immigrati». Si prendevano cura di loro ben sapendo delle difficoltà iniziali che avrebbero incontrato sul lavoro e nella società. E perché fossero maggiormente tutelati nella loro dignità e nei loro diritti li consigliavano, molto saggiamente, di «prendere immediato contatto con le organizzazioni sindacali del paese che li accoglie perché in esse potranno più profondamente conoscere i problemi del lavoro ed avere più esatta coscienza della posizione che come uomini e come cittadini essi hanno nel processo della produzione». Considerando poi la triste esperienza che avevano vissuto in Italia sentivano il dovere di «invitarli a delle conferenze, procurar loro dei libri che elevino lo spirito, aiutarli nelle difficoltà pratiche, stringere con essi fraterni rapporti di amicizia» in modo che, tornati ai loro paesi d'origine, potessero così portare con sé «qualche cosa di più dei loro risparmi».
In effetti, la FCLIS intendeva caratterizzare la propria attività in Svizzera non solo politicamente, ma anche socialmen
te e culturalmente. Ebbe, ad esempio, notevole successo, nel 1944, una grandiosa esposizione di opere dell’Ottocento (provenienti in gran parte dalla prestigiosa Collezione Balzan di Zurigo), organizzata a Bellinzona su iniziativa della locale CLI. Accompagnavano l’esposizione anche conferenze a carattere artistico e storico, alcune delle quali tenute da personalità ben note alla FCLIS e al grande pubblico quali Egidio Reale, Fernando Schiavetti, Bruno Caizzi, Luigi Menapace e altri.

Il bilancio della FCLIS, già dopo solo un anno di vita era ritenuto alquanto positivo. La Federazione si era rafforzata, aveva cercato di «allargare i quadri della vecchia lotta antifascista» in modo da «render partecipe il più grande numero possibile di italiani della responsabilità e dell'onore di lottare per la libertà del paese». Aveva anche cercato di contrastare, talvolta però senza riuscirvi, la riorganizzazione «sotto mentite spoglie» delle organizzazioni fasciste «in presunte associazioni apolitiche, aperte all'influenza e al dominio di tutte le vecchie figure delle colonie fasciste». Si trattava di un impegno della FCLIS che andava proseguito per liberare «la grande massa degli italiani, disorientata e disillusa dal disastro fascista (…) dalle insidie che ancora le tendono i superstiti nuclei fascisti».

Contrasti e incertezze
Dall'inizio del 1945 l'epurazione dei fascisti è un tema ricorrente
nei dibattiti della FCLIS  (estratto da Libera Stampa del 20.01.1945
Al suo interno, tuttavia, la FCLIS era meno solida di quel che voleva apparire. Furono notevoli, infatti, fin dall'inizio le divergenze e i motivi di contrasto.
Uno dei punti più controversi riguardava l’epurazione dei fascisti dalle organizzazioni e istituzioni fasciste o che in qualche misura erano state compromesse col regime (Consolati, Dante Alighieri, Case d’Italia, Istituti di cultura, scuole, gruppi sportivi, ecc.). In Svizzera si voleva «sfascistizzare» gli apparati del regime o vicini al regime per dare l’esempio di come «ripulire tutta la società italiana dal sudiciume fascista» e «prepararsi a compiere i doveri e a esercitare i diritti di un popolo libero». Si riteneva necessario «dare un ordinamento democratico alla vita delle collettività italiane», nelle quali il fascismo era profondamente penetrato. Ma come riuscirvi?
Qual era in particolare l’atteggiamento giusto da tenere nei confronti dei funzionari statali (consoli e dipendenti pubblici)? Le divergenze erano notevoli. Mentre in alcune CLI dominavano i fautori di una radicale epurazione e di un totale ricambio del personale soprattutto nei consolati, in altre predominava uno spirito più conciliante, soprattutto nei confronti dei funzionari meno compromessi col fascismo.
Un altro elemento di contrasto all’interno della FCLIS, destinato ad avere conseguenze pesanti sull’evoluzione della Federazione, sull’efficacia della sua intensa attività e sui rapporti con le istituzioni e le autorità svizzere, fu sin dall’inizio l’incertezza della sua linea politica, nei fatti più che nelle parole o negli Statuti. Alla FCLIS avevano infatti aderito molte persone con orientamenti politici diversi e non erano disposte a vedere che qualcuno in particolare prevalesse sugli altri. Si trattava di trovare il giusto equilibrio e preservare il carattere pluralistico della Federazione. Un compito che si rivelò per la FCLIS più difficile del previsto.

La FCLIS vista dall’esterno
All'esterno del mondo delle Colonie, oltre a quello dei fascisti o neofascisti, non tutti condividevano la (presunta) pretesa della FCLIS di considerarsi l’unica vera depositaria dei valori della Resistenza e di rappresentare l’intera emigrazione italiana antifascista. Già in occasione dell’esposizione a Bellinzona del 1944 l’Unione Operaia Ticinese non aveva gradito di essere stata in qualche modo scavalcata dalla FCLIS.
Fernando Schiavetti
Anche il mondo cattolico si mostrò piuttosto diffidente nei confronti delle CLI non tanto per divergenze sull’antifascismo e sui metodi per democratizzare le istituzioni quanto per l’atteggiamento di contrapposizione delle CLI alle Missioni, considerate sommariamente fin dall’inizio (forse a causa dei Patti Lateranensi?) in qualche modo conniventi col regime fascista. Già in occasione della riunione costitutiva del 21 novembre 1943, il primo presidente Fernando Schiavetti aveva indicato quale scopo della Federazione quello di «entrare a contatto con le masse emigrate, influenzate fino a quel momento dall’attivissima propaganda fascista e clericale, di sottrarla alla politica ambigua delle nostre rappresentanze consolari e di orientarle verso generici ideali di democrazia e libertà».
Alla fine della guerra gran parte dei fuorusciti durante il fascismo rientrarono in Italia e molte Colonie si trovarono improvvisamente prive dei promotori e animatori che avevano favorito la costituzione e il rafforzamento della FCLIS. In molte Colonie dev’esserci stato un momento di smarrimento e probabilmente alcune di esse persero totalmente lo slancio iniziale.

Disappunto di Egidio Reale
Egidio Reale
I dissidi interni in alcune Colonie e la perdita di slancio un po’ in tutte, non sfuggirono a quell’attento osservatore che fu e sarà (perché tornerà in Svizzera a rappresentare la Repubblica Italiana) Egidio Reale, uno dei protagonisti della nascita della FCLIS. Nel settembre 1946 confidava all’amico Chiostergi: «Ho l'impressione che le colonie "nostre", cioè quella parte delle colonie che difesero i valori dell'italianità durante gli anni del fascismo, languano, mentre riprendono vigore coloro che sostennero l'antico regime e ora si propongono di sfruttare quello nuovo. Le sezioni della Dante di Ginevra, Basilea, Zurigo hanno scarsa efficienza e sono insidiate da altre organizzazioni culturali che già esistono o che si tenta di creare. Le colonie libere vivono una vita grama. I contrasti tra italiani non mancano e le autorità consolari non sono in grado di creare quella unione di spiriti che sarebbe più che mai necessaria […]».
Per la FCLIS s’imponeva un rilancio non solo delle attività, ma anche dello spirito delle Colonie.
(Continua nel prossimo numero)
Giovanni Longu
Berna, 23.10.2013


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