19 dicembre 2012

Italianità del Ticino e della Svizzera: 10. Osservazioni e suggerimenti conclusivi


L’italianità in Svizzera è non solo un valore costituzionalmente riconosciuto e irrinunciabile, ma anche una realtà diffusa su tutto il territorio nazionale. Eppure è sotto gli occhi di tutti che non sia sufficientemente valorizzata in tutti i suoi aspetti, alcuni dei quali, come l’italiano, addirittura in profonda crisi. Analizzarne le cause e il contesto generale mi è sembrato una condizione prioritaria per poter individuare rimedi e giustificare rivendicazioni adeguate.

Negli articoli precedenti ho cercato di mettere in luce il contesto storico ed evolutivo delle problematiche che ruotano intorno ad alcune espressioni tornate di grande attualità in questi ultimi anni come «italianità», «italofonia», «Svizzera italiana», «rappresentanza italofona» e simili. Ne è risultato che a parte l’espressione «Svizzera italiana», rimasta pressoché immutata nel tempo a causa del suo riferimento a un territorio ben definito, la portata delle altre espressioni ha subito un’evoluzione notevole. Altra costatazione è che la principale spinta a questa evoluzione soprattutto sul piano nazionale è dovuta all'immigrazione italiana.

Chiarezza di concetti e di linguaggio
Tener conto anche nel linguaggio di queste costatazioni è a mio modo di vedere una condizione pregiudiziale per affrontare seriamente qualsiasi discorso e qualsiasi rivendicazione importante riguardante l’italianità della Svizzera.
Negli articoli precedenti ho tentato di apportare alcuni elementi di chiarezza, richiamando ad esempio il contesto storico e la delimitazione geografica del concetto di «Svizzera italiana», ho cercato anche di individuare gli ambiti non coincidenti di validità delle espressioni «lingua nazionale» e «lingua ufficiale» come pure la non equivalenza dei termini «italofonia» e «italianità».
Solo a queste condizioni ritengo possibile superare «vecchi pregiudizi e incomprensioni … tra svizzeri e italiani e soprattutto tra ticinesi e italiani» e raggiungere tra tutti i protagonisti e simpatizzanti dell’italianità un’ampia convergenza di idee, di intenzioni e di azioni per migliorare la situazione e vincere qualche battaglia circa la visibilità e rappresentanza di una delle tre principali culture svizzere.
Anzitutto a livello di linguaggio occorre a mio avviso molta più attenzione di quanta ne sia stata prestata finora, soprattutto quando si rivendicano diritti e non si vuole correre il rischio di essere incompresi o addirittura mal compresi. Mi offrono lo spunto per le osservazione seguenti alcuni resoconti di eventi recenti che hanno avuto un’ampia copertura mediatica.
A scanso di equivoci desidero premettere che provo grande stima per quanti si prodigano in favore dell’italianità e contribuiscono con prese di posizione, manifestazioni, petizioni o rivendicazioni a far crescere nell’opinione pubblica la consapevolezza che la salvaguardia dell’italofonia e dell’italianità è nell’interesse di tutti. Ciò premesso, il mio auspicio è che tanti sforzi non siano privati dei risultati sperati a causa di una vaghezza di linguaggio penalizzante o di obiettivi poco chiari e verosimilmente irraggiungibili.

Tavola rotonda all’USI
Manuele Bertoli
Nel corso di una tavola rotonda tenutasi all’Università della Svizzera italiana (USI) l’8 settembre scorso, il consigliere di Stato Manuele Bertoli ha ricordato molto opportunamente che «l’italiano non è la particolarità di una regione, ma una parte costitutiva del DNA della Svizzera federale» (cito da un resoconto dell’evento). Non altrettanto chiare mi sembrano invece le conclusioni a cui è giunto, per cui l’italiano dovrebbe diventare «davvero la terza lingua ufficiale e la Svizzera italiana non sia penalizzata nella Berna federale». Poiché non credo che s’intenda mettere in dubbio che per la Confederazione l’italiano sia una lingua ufficiale, tanto varrebbe precisare quel che si contesta e quel che si vorrebbe.
Non mi pare meglio definito e realizzabile l’obiettivo suggerito dal prof. Stefano Prandi, ossia l’«elvetizzazione» e l’«internazionalizzazione» dell’italiano, «ovvero la necessità di sottolinearne la dimensione di lingua nazionale e ufficiale…». Resta infatti da vedere come andrebbe fatta questa elvetizzazione e con quali strumenti. Inoltre andrebbe chiarita una volta per tutte la portata dell’espressione «lingua ufficiale», alla luce della Costituzione federale e della legge sulle lingue, soprattutto per non generare aspettative illusorie.

Giornate di Basilea sull’italiano
Sulle problematiche dell’italiano in Svizzera sono state organizzate anche due giornate di studio a Basilea dal 16 al 17 novembre 2012. Ne è risultata una petizione assai generica al Consiglio federale perché prenda «le misure necessarie» per combattere il «lento ma progressivo deprezzamento dell’italiano in Svizzera» in «netta violazione della Costituzione della Confederazione Svizzera ai sensi degli art. 4, 18 e 70 e della nuova Legge federale sulla lingue nazionali». Nulla vien detto, purtroppo, circa le misure concrete che il Consiglio federale dovrebbe prendere e in virtù di quali leggi.
Poiché si è parlato anche dei corsi di lingua e cultura finanziati finora in massima parte dallo Stato italiano (ma non si sa fino a quando), mi sarei aspettato qualche indicazione concreta su quel che dovrebbero fare i Cantoni (e i Comuni) svizzeri per integrarli nell’offerta ordinaria della scolarità obbligatoria, visto che per costituzione e per legge spetta soprattutto ai Cantoni promuovere il plurilinguismo nella scuola. Perché non si cerca di risolvere in via definitiva questo problema fondamentale per l’italofoni e l’italianità?

Forum per l’italiano in Svizzera
Alla fine di novembre è stato costituito a Zurigo il «Forum per l’italiano in Svizzera» su iniziativa del Consiglio di Stato ticinese. Giustamente i media hanno sottolineato l’importanza dell’evento, che ha coinvolto praticamente la quasi totalità dei protagonisti dell’italofonia e ha suscitato grandi speranze. Anche in questo caso ritengo tuttavia fondamentale che per ottenere i risultati sperati si metta in campo una strategia basata sulla chiarezza e sulla concretezza.
Regioni linguistiche della Svizzera (2000)
Leggendo alcuni articoli di stampa e i documenti presentati al Forum ho avuto purtroppo tutt’altra impressione già a partire dall'obiettivo del Forum: «Nel 2020 la Svizzera non dovrà più essere una nazione di fatto bilingue (d/f)». Non è infatti chiaro cosa s’intenda qui per «nazione» (termine sconosciuto alla Costituzione federale). Se s’intende la Svizzera come Paese, l’espressione suona fuorviante perché la Svizzera è sicuramente «plurilingue» e non bilingue, a prescindere dalla diffusione e dall’impiego delle varie lingue. Se invece s’intende la Confederazione come organizzazione politica della Svizzera, quell’espressione sembra alludere al fatto che effettivamente l’amministrazione federale è piuttosto bilingue che trilingue. In questo caso, tuttavia, l’obiettivo del trilinguismo perfetto appare utopistico perché in contrasto con la tendenza alla semplificazione (anche linguistica), all’efficienza e alla sostenibilità dei costi.
Tanto varrebbe, a mio parere, individuare alcuni obiettivi meglio precisati e più realistici, ad esempio nei campi della rappresentanza degli italofoni (e non solo degli «svizzero italiani») nell'amministrazione federale, del promovimento del plurilinguismo (come, dove, con quali mezzi?), dell’offerta dell’italiano nelle scuole obbligatorie e post-obbligatorie, della strategia da adottare per far maturare nella politica e nell'opinione pubblica l’idea della ragionevolezza e dell’opportunità di un italofono in Consiglio federale, ecc.

Intergruppo parlamentare «Italianità»
So che in questa strategia un compito importante è stato assegnato all’intergruppo parlamentare «Italianità», che ha già raccolto molte adesioni. Credo che stia operando bene «per dare visibilità alla Svizzera di cultura italiana, promuovendo attività a favore di questa componente essenziale del Paese». Mi chiedo se, proprio in vista di questi obiettivi, non sarebbe opportuno assegnare una copresidenza o vicepresidenza a un parlamentare non proveniente dalla Svizzera italiana e addirittura aprirsi a gruppi, istituzioni, personalità della società civile, con un’operazione analoga, per fare un esempio storico, a quella compiuta negli anni Settanta del secolo scorso dalla Commissione federale consultiva degli stranieri.

In conclusione
Non credo che esistano ricette risolutive dei problemi che pone lo stato di salute dell’italiano e dell’italianità in Svizzera. Per questo occorre muoversi in varie direzioni, raccogliendo e coordinando tutte le forze disponibili, rivendicando tutto ciò che è rivendicabile in base alla Costituzione, alle leggi e al principio di opportunità, valorizzando ovunque sia possibile la lingua e la cultura italiana e contribuendo ciascuno secondo le proprie capacità a far crescere nell'opinione pubblica la consapevolezza che l’italianità in questo Paese è un bene prezioso e irrinunciabile. (Fine. Il primo articolo di questa serie è apparso il 3.10.2012. Gli altri sono apparsi a ritmo settimanale).
Giovanni Longu
Berna 19.12.2012