21 novembre 2012

Italianità del Ticino e della Svizzera: 7. Contributo italiano all'italianità della Svizzera


L’italianità della Svizzera trova la sua piena legittimazione nel diritto federale fin dalla prima Costituzione del 1848. All'articolo primo, il Ticino figura tra i Cantoni del nuovo Stato federale. Più precisamente, secondo questo articolo, «le popolazioni dei ventidue Cantoni sovrani costituiscono nel loro insieme la Confederazione Svizzera», quindi anche la popolazione di lingua e cultura italiana del Ticino. Più che giustificato, dunque, l’articolo 109, che riconosce l’italiano tra le lingue nazionali della Confederazione.

Dal 1848 l’italianità della Svizzera è stata sempre confermata e meglio precisata sia a livello costituzionale che legislativo e amministrativo. Va da sé che non basta un articolo costituzionale o una serie di leggi e ordinanze per far vivere una lingua e una cultura, ma la base giuridica è essenziale per qualsiasi intervento dello Stato anche in campo linguistico e culturale. Ciò premesso, non è stato facile e non lo è nemmeno adesso realizzare nelle istituzioni e nella vita ordinaria la consapevolezza dell’italianità come uno dei valori nazionali e identitari della Svizzera moderna.

Garanzie e pratica dell’italianità
Per quasi un secolo, nemmeno per il Cantone Ticino è stato facile salvaguardare la propria identità linguistica e culturale italiana, ma la convinzione e la costanza nelle rivendicazioni alla fine sono state premiate. Oggi l’italianità dei ticinesi è assolutamente garantita perché l’articolo primo della Costituzione della Repubblica e Cantone Ticino non lascia dubbi quando afferma: «il Cantone Ticino è una repubblica democratica di cultura e lingua italiane».
Con la stessa convinzione e costanza dovrebbe essere rivendicata una garanzia analoga, certamente non esclusiva, dell’italianità anche fuori del Cantone Ticino e dei Grigioni italiani. Alcuni principi costituzionali e leggi federali garantiscono un minimo di presenza dell’italiano e della cultura italiana nell’amministrazione federale e nei rapporti degli italofoni con gli organi federali. Negli altri ambiti, anche pubblici, a livello cantonale e comunale, le garanzie mancano o sono insufficienti, ad esempio a livello scolastico. La vitalità dell’italiano e dell’italianità non sono generalmente facilitate e molto è lasciato al libero apprezzamento delle istituzioni.
Finora la diffusione e la valorizzazione dell’italianità in tutte le sue forme sono state assicurate fuori dei territori italofoni principalmente dagli immigrati italiani in Svizzera e dai loro discendenti di seconda e successive generazioni, comprese le sempre più numerose persone naturalizzate, ma che hanno conservato legami con la cultura italiana e magari anche la nazionalità. Al di fuori dell’ambito istituzionale, il contributo dei ticinesi all’italianità su scala nazionale è stato piuttosto modesto e proporzionale alla loro consistenza numerica fuori del Cantone, sempre piuttosto modesta.
Italianità in crescita dopo il 1870
Prima del 1870, quando il territorio dell’italianità era limitato essenzialmente al Ticino e alle quattro vallate italofone dei Grigioni con una popolazione complessiva di poco più di 120.000 persone, le rivendicazioni dell’italianità sono state condotte principalmente dai ticinesi, anche perché i «regnicoli» erano ancora pochi e ininfluenti. Dall’inizio dei lavori della galleria ferroviaria del San Gottardo (1872), che ha visto affluire in Svizzera decine di migliaia di lavoratori italiani, grazie ad essi l’italianità nelle sue svariate forme ha cominciato ad espandersi in tutto il Paese. Nel 1900 gli italiani presenti in Svizzera erano oltre 117.000 e superavano addirittura la popolazione complessiva ticinese di nazionalità svizzera, compresi i circa 10.000 ticinesi sparsi nei vari Cantoni (Berna, Grigioni, Zurigo, Friburgo, ecc.).
Da allora, fuori del Ticino, l’italiano e la cultura italiana sono stati supportati soprattutto dai cittadini italiani, compresi quelli con la doppia cittadinanza. Da qualche tempo, però, in concomitanza con l’indebolimento della parte italiana (in seguito ai numerosi rientri, all’invecchiamento demografico, all’integrazione e alle naturalizzazioni, al minor impegno finanziario dello Stato italiano, ecc.), la componente ticinese si dimostra sempre più attiva. In questi ultimi anni è cresciuta soprattutto l’attenzione delle istituzioni pubbliche ticinesi ai problemi dell’insegnamento dell’italiano e alla valorizzazione della cultura italiana. E’ certamente di buon auspicio l’intraprendenza delle autorità cantonali che stanno dimostrando di prendere molto sul serio l’impegno costituzionale del Cantone Ticino di essere «fedele al compito storico di interpretare la cultura italiana nella Confederazione elvetica» (dal Preambolo della Cost. TI del 1997). Ma forse non basta. La salvaguardia dell’italianità deve passare soprattutto attraverso una maggiore sensibilizzazione e un maggiore coinvolgimento del mezzo milione e più di italiani presenti nella Confederazione.
Bisogna assolutamente evitare che il patrimonio linguistico e culturale accumulato dagli italiani in centocinquant'anni di presenza in Svizzera s’impoverisca eccessivamente, senza nemmeno tentare di salvarlo e consegnarlo alle prossime generazioni. Alcuni dati e fatti potrebbero aiutare a farsi un’idea del contributo italiano all'accumulo di questa ricchezza entrata a far parte di diritto, grazie anche al sostegno dei ticinesi, del patrimonio culturale e ideale della Svizzera.

Italiani i protagonisti principali
Tutto è iniziato, ufficialmente, con l’accordo del 1868 tra la Svizzera e il Regno d’Italia, che in pratica sanciva la libera circolazione degli italiani e degli svizzeri nei due Stati firmatari, ma è praticamente solo a partire dai grandi lavori ferroviari della seconda metà dell’Ottocento che gli italiani arrivano in massa nella Confederazione. Se la prima immigrazione si fermava soprattutto nel Ticino e nei Grigioni, dal 1872 si stabilisce soprattutto oltre Gottardo.
Monumento di V. Vela  in ricordo ricordo delle
 vittime della Galleria del San Gottardo
Come già ricordato, nel 1900 gli italiani residenti stabilmente (esclusi quindi gli stagionali) nella Confederazione sono già oltre 117.000. Dieci anni più tardi, nel 1910, superano la soglia delle 200.000 persone, sempre senza contare gli stagionali. Il loro numero diminuisce col rientro in Italia di molti immigrati richiamati alle armi per la guerra e riprenderà solo lentamente a conclusione del conflitto. Sotto il fascismo l’emigrazione è controllata e frenata. Ciononostante, nel 1930 circa 100.000 italiani risultano domiciliati stabilmente in Svizzera.
La loro crescita, impressionante, ricomincia subito dopo la guerra. L’immigrazione italiana è facilitata e sollecitata, forse per la prima volta nella storia contemporanea, dalle autorità svizzere dietro richiesta degli ambienti imprenditoriali e col consenso delle organizzazioni sindacali. Già nel 1946 sono messi a disposizione degli italiani decine di migliaia di permessi di lavoro e di soggiorno. Nel 1947 i permessi sono portati a oltre 126.000, un numero considerevole che l’Italia non riesce a utilizzare completamente: solo 105.112 furono effettivamente i permessi rilasciati a causa della lenta e farraginosa burocrazia italiana del dopoguerra.
Nel 1960 la collettività italiana residente stabilmente in Svizzera è di 346.223 persone, nel 1970 raggiunge quota 583.850 prima di toccare il massimo storico tre anni più tardi, nel 1973, con 584.299 persone (fonte italiana). Da quel momento i flussi immigratori dall’Italia si attenuano sempre più e il saldo tra arrivi e partenze diviene sempre più negativo.

Non solo braccia, ma anche cervello e cuore
Pierre Aubert
Un riflesso della presenza italiana è l’espansione della lingua italiana, inizialmente concentrata al Ticino e alle vallate italofone dei Grigioni, poi sempre più diffusa in tutta la Svizzera. Se nel 1941 interessava il 5,2% della popolazione residente, nel 1950 la sua proporzione sale al 5,9%, nel 1960 al 9,5% e raggiunge il massimo storico nel 1970 sfiorando il 12% (esattamente: 11,9%).
L’aspetto linguistico, che sarà esaminato separatamente, è un buon rilevatore non solo della presenza degli italofoni (in massima parte italiani), ma anche della diffusione della cultura italiana. E’ difficile quantificare quanto di questa cultura sia entrato a far parte del patrimonio culturale svizzero e del vissuto svizzero, ma dev’essere stato tanto e non mi pare esagerato affermare che ha contribuito a trasformare la società svizzera in molti aspetti fondamentali (comportamenti, filosofia di vita, fede religiosa fino a capovolgere le proporzioni tra protestanti e cattolici, nutrizione, modi di vestire, ecc.). «La Svizzera non sarebbe quella che è senza il contributo degli italiani» diceva nel 1978 il consigliere federale degli esteri svizzero Pierre Aubert. L’affermazione può essere sottoscritta, credo, ancora oggi.
Allievi di elettronica in una scuola per stranieri (CISAP)
Gli immigrati italiani, chiamati soprattutto come «manodopera», ossia per i lavori manuali, insieme alle braccia portavano con sé anche cuore e cervello. Hanno saputo organizzare la loro vita in una miriade di associazioni, scuole, giornali, radio locali, servizi sociali, chiese, negozi, ristoranti. Hanno saputo reagire, insieme a molti svizzeri, alle odiose campagne xenofobe, si sono inseriti, lentamente ma decisamente, nelle organizzazioni sindacali locali e persino nei partiti politici, hanno dato soprattutto un forte incremento all’economia del Paese col loro lavoro e con un’efficiente imprenditoria.
Vorrei ricordare, giusto per dare un’idea, di questo vasto e ricco contributo, che al censimento federale della popolazione del 2000 risultavano in Svizzera tra i cittadini italiani: 22.500 dirigenti nel solo settore terziario, oltre 600 giornalisti e redattori, 100 traduttori, 1200 artisti dei vari settori, oltre 1600 insegnanti di cui 276 professori o assistenti universitari, circa 4000 tra medici, assistenti e personale sanitario, ecc. ecc.
Oggi, italiani e ticinesi sono presenti praticamente in ogni attività pubblica e privata e ad ogni livello. Manca solo un italofono nel massimo organo esecutivo dello Stato ed è una grossa ferita per l’italianità di questo Paese, da sanare il più presto possibile. (Continua).
Giovanni Longu
Berna, 21.11.2012