10 ottobre 2012

Italianità del Ticino e della Svizzera: 2. Le origini della «Svizzera italiana»


A giusta ragione, il 1° agosto 2012, il consigliere federale Alain Berset ha affermato che «senza il Ticino la Svizzera non sarebbe di certo quella che è, caratterizzata dalla sua pluralità linguistico-culturale, motivo di vanto e orgoglio per questo Paese». Non c’è dubbio: l’italianità della Svizzera ha la sua origine e il suo principale radicamento nel Cantone Ticino e nei Grigioni italiani, che costituiscono entrambi ancora oggi la cosiddetta «Svizzera italiana». Per una maggiore comprensione di questa espressione vale la pena ricercarne l’origine e il significato.

Lingua, cultura e territorio
L’espressione «Svizzera italiana» è analoga a quelle di «Svizzera tedesca» e «Svizzera francese». Gli aggettivi esprimono una sorta di rapporto di «filiazione», almeno sotto il profilo linguistico e culturale, nei confronti delle rispettive «madri naturali», ossia la Germania per gli svizzeri tedeschi, la Francia per gli svizzeri francesi e l’Italia per gli svizzeri italiani.
Questo rapporto è stato vissuto nel tempo con intensità assai diverse dalle tre comunità linguistiche a seconda della loro consistenza demografica e del loro potenziale economico. Inoltre, è stato tanto più intenso quanto minore è stato (ed è tutt’ora) il sentimento di dipendenza dalla «madre naturale». Per la Svizzera tedesca (che ha sempre rappresentato oltre il 70% della popolazione totale e un grande peso economico) nei confronti della Germania esso è sempre stato meno forte di quello esistente tra la Svizzera francese e la Francia e soprattutto tra la Svizzera italiana e l’Italia.
Proprio per questa sua scarsa consistenza demografica, per di più molto eterogenea, e lo scarso potenziale economico, la Svizzera italiana ha sempre avuto difficoltà a elaborare all’interno della Confederazione una propria identità autonoma, a differenza di quanto è avvenuto per la Svizzera romanda e per la Svizzera tedesca. La situazione particolare della Svizzera italiana è dovuta tuttavia non solo a motivi demografici ed economici, ma anche politici (la secolare sudditanza delle vallate a sud delle Alpi ai Cantoni svizzeri).
Per comprenderne la portata, è bene ricordare anzitutto che nell’espressione «Svizzera italiana» l’aggettivo, prima ancora del suo significato linguistico e culturale, ha anche una connotazione territoriale molto più forte rispetto alle altre denominazioni «Svizzera francese» e «Svizzera tedesca». Infatti solo nell’espressione «Svizzera italiana» l’aggettivo ha indicato per secoli non solo una contiguità fisica alla «madre naturale», ma una vera e propria appartenenza del territorio all’Italia.

Perché «Svizzera italiana»?
Fino alla costituzione dello Stato federale (1848), soprattutto dagli svizzeri tedeschi, ma anche dai romandi e dagli stessi ticinesi, i territori a sud delle Alpi erano considerati «italiani», anche se fin dall’inizio del XVI secolo quei territori non appartenevano più alla Lombardia, ma ai Cantoni svizzeri. In parte erano stati invasi e conquistati dai confederati nel XV secolo e in parte ceduti dal duca di Milano Massimiliano Sforza quale ricompensa per il contributo determinante degli svizzeri nella cacciata da Milano degli occupanti francesi (1515).
La Svizzera Italiana di S. Franscini
Fino al 1798, ossia per quasi tre secoli, le vallate ticinesi e dei Grigioni italiani furono sottomesse ai Cantoni svizzeri, sotto forma di «baliaggi», ossia territori conquistati o acquistati. Per i sudditi fu un brutto periodo, che farà scrivere al grande statista e studioso ticinese Stefano Franscini (1796-1857): «mal governati e miseri ci mantennero … calando dalle Alpi [come] voraci arpie a sommo danno del popolo dissanguato, ad eterno obbrobrio del popolo dominatore». E ancora: «in tanta serie d’anni, non si sa quasi rinvenir traccia di progresso nel bene, nelle istituzioni e nei costumi». A soffrirne maggiormente fu la Leventina, «questa sì bella contrada, sì decantata dagli scrittori tedeschi per la bontà e del clima e del suolo», la cui popolazione fu ridotta ad uno stato «in cui povertà, rozzezza, superstizione erano al colmo. Agricoltura, arti, commercio, eccettuato quel di transito, languivano indicibilmente…».
I territori conquistati o comunque acquisiti a sud delle Alpi venivano chiamati dai confederati «baliaggi italiani», «baliaggi svizzeri d’Italia», ma anche «Lombardia svizzera», «Italia svizzera» e «Svizzera italiana». Erano considerati in ogni caso terre sottratte all’Italia e dipendenti dai Cantoni sovrani.
Quando Franscini dovette dare un titolo alla sua vasta opera sul Cantone Ticino e sulle vallate italofone dei Grigioni (pubblicata tra il 1837 e il 1840) trovò «preferibile a ogni altro» il titolo di «Svizzera italiana» perché «tutto ciò che dell’Italia si trova aggregato alla Confederazione Svizzera, tutto, ad eccezione di due o tre terricciuole del Sempione vallesano, sarà descritto nella presente Opera», comprese dunque anche «le italiane vallate de’ Grigioni», ossia Mesolcina, Calanca, Poschiavo e Val Bregaglia.
Franscini, ma evidentemente non solo lui, considerava dunque i territori a sud delle Alpi «italiani» e più precisamente «lombardi», come «lombarda valle» era la Leventina dov’era nato. Accingendosi a presentare gli aspetti geografici del Ticino, dal confine con Uri (al di là dell’ Ospizio del San Gottardo, «la più settentrionale sua abitazione») a Chiasso («la più meridionale borgata del Cantone e di tutta la Svizzera»), Franscini esordisce: «Questa piccola Repubblica Svizzera giace propriamente in Italia».
L’espressione «Svizzera italiana» attribuita ai territori a sud delle Alpi si giustificava pienamente anche perché solo in quei territori detenuti dagli Svizzeri si concentrava quasi per intero la popolazione di lingua e cultura italiana. Fin dal Medioevo viaggiatori, commercianti, pensatori, ecclesiastici, esuli avevano percorso in lungo e in largo la Svizzera, ma in nessun altro luogo al di fuori del Ticino e delle vallate dei Grigioni italiani si era mai costituita una comunità italofona significativa. Nemmeno a Ginevra, dove da secoli prosperava una colonia del regno sardo-piemontese, perché si trattava essenzialmente di «savoiardi» francofoni.

Il «Sonderfall» ticinese
Va inoltre osservato che fino al censimento federale della popolazione del 1870, gli italofoni erano concentrati soprattutto nel Ticino, per cui la «Svizzera italiana» finiva per coincidere nel discorso comune col Cantone Ticino. Questa equazione approssimativa ha molto nuociuto al Ticino.
Parità fra i 19 cantoni dopo l'Atto di mediazione (swissinfo)
Ha scritto al riguardo lo storico Roberto Romano: «Se il Ticino come Cantone, raffrontato cioè con ogni singolo altro Cantone, non è né piccolo né poco popolato, come Svizzera italiana è solo una ristretta minoranza sia rispetto agli svizzeri tedeschi e francesi, sia rispetto agli italiani d’Italia. Da ciò deriva la continua e permanente condizione d’insicurezza, d’incertezza, di diffidenza verso la “madre adottiva” (Berna) e quella “naturale” (l’Italia)». Il Ticino divenne nei confronti dei confederati ma anche dei suoi stessi abitanti un Sonderfall (caso speciale)», una situazione che continua a pesare fino ai nostri giorni.
Un momento di forte presa di coscienza di un possibile cambiamento radicale della propria condizione i ticinesi lo vissero all’indomani dell’occupazione della Lombardia austriaca da parte di Napoleone Bonaparte (1796) e della successiva costituzione della Repubblica Cisalpina (1797). Quando si resero conto che la Francia intendeva annettere il Ticino alla Cisalpina, si espressero con decisione a favore del legame con la Svizzera: non volevano essere solo liberi (nel 1798 i Cantoni avevano dichiarato liberi i baliaggi italiani), ma anche svizzeri, «liberi e svizzeri». Con orgoglio rifiutarono anche le lusinghe di quanti proclamavano: «Popoli dei Baliaggi! Noi siamo liberi, e siamo italiani, una sola famiglia. Volgete lo sguardo alle fertili pianure Cisalpine dove portate le Arti, e l’industria vostra, e donde traete il vostro sostentamento. Rammentatevi che dalla Cisalpina avete il pane, e dall’Elvezia non vi potete aspettare che dei sassi».
Nel 1798 intanto la Svizzera venne occupata dalle truppe napoleoniche, i Cantoni vennero aboliti e l’intero territorio fu riunito nella «Repubblica Elvetica una e indivisibile», sotto il protettorato francese. Agli ex baliaggi venne ordinato di farne parte (1798-1803).
Dopo questa breve esperienza, mal sopportata dagli svizzeri, nel 1803 Napoleone dovette abbandonare il principio della repubblica una e indivisibile e impose una nuova costituzione che riprendeva la tradizione federale, ma con una Confederazione ormai di 19 Cantoni sovrani. Gli ex baliaggi italiani erano riuniti nel Cantone Ticino, equiparato formalmente agli altri Cantoni. In pratica era ancora tutto da dimostrare. (Continua)

Giovanni Longu
Berna, 10.09.2012