23 maggio 2012

130 anni della Ferrovia del San Gottardo



La Ferrovia del San Gottardo è stata una delle principali opere «europee» dopo il Congresso di Vienna del 1815. Alla sua realizzazione parteciparono, sia pure a diverso titolo, Svizzera, Italia e Germania, ma anche altri Paesi come l’Austria e la Francia vennero coinvolti nella discussione più generale dei collegamenti ferroviari europei, soprattutto tra nord e sud.

La linea transalpina del San Gottardo è stata un’opera estremamente complessa, non solo per le difficoltà tecniche di esecuzione, ma anche per quell’intreccio di politica, finanza, economia, cultura, società che l’approvazione e soprattutto la realizzazione del progetto hanno comportato a livello svizzero ed europeo. Tra i principali sostenitori di una ferrovia attraverso il San Gottardo vanno ricordati lo svizzero Alfred Escher, fondatore della banca zurighese Credito Svizzero, e l’esule italiano residente in Ticino Carlo Cattaneo.
In fase di realizzazione, le difficoltà di ordine finanziario, imprenditoriale e lavorativo furono particolarmente difficili. Sono note, ad esempio, le enormi difficoltà che hanno dovuto affrontare e superare le migliaia di operai, quasi tutti italiani, che hanno svolto l’opera in condizioni spesso disumane. Il lavoro nel tunnel era duro e malsano a causa delle alte temperature che superavano i 30 gradi previsti nel progetto iniziale, della scarsa ventilazione e dei gas che si respiravano. Circa 200 lavoratori perirono a causa di incidenti gravi, molti di più morirono, dopo la fine dei lavori, in seguito alla cosiddetta «anemia del Gottardo» contratta a causa delle malsane condizioni igieniche. L’alimentazione era scarsa e inadeguata, probabilmente anche per un eccesso di risparmio da parte dei lavoratori, che pensavano soprattutto a mettere da parte e inviare alla famiglia il massimo possibile. Le condizioni di alloggio erano pessime. I salari erano bassi, rispetto a quelli che si percepivano per lo stesso di tipo di lavoro in condizioni all’aperto.
Le pessime condizioni salariali e di lavoro furono all’origine di diverse agitazioni culminate il 27 e 28 luglio 1875 in tumulti sedati poi con l’intervento della milizia di Göschenen che sparò sui manifestanti ferendone molti e uccidendone quattro. Su questi fatti il Consiglio federale richiese un accurato rapporto, che mise in luce non solo la dinamica dei fatti ma anche le pessime condizioni dei lavoratori. Ciononostante, l’opinione pubblica era schierata contro gli scioperanti, anche perché i rapporti tra immigrati e popolazione locale erano spesso conflittuali. Si voleva che gli immigrati fossero «braccia» e niente più.

L’inaugurazione della ferrovia del secolo
Al termine dei lavori, il 21 maggio 1882 venne inaugurata ufficialmente con grandi festeggiamenti la ferrovia del secolo, ormai completata da Chiasso a Lucerna. Un treno speciale portò i rappresentanti ufficiali e gli invitati italiani da Genova e da Milano a Lucerna, passando per Lugano, dove venne organizzato un primo banchetto con 320 coperti, e poi attraversò la galleria del San Gottardo, allora la più lunga del mondo. A Lucerna, il giorno seguente, fu organizzato un altro banchetto con 690 invitati. Nei discorsi ufficiali si inneggiò alla riuscita della «splendida idea» e alla collaborazione internazionale, talvolta mettendo in evidenza anche il merito degli italiani.
Il 23 maggio, su un altro treno ufficiale, proveniente dal Gottardo, giunsero a Milano, il Presidente della Confederazione, i rappresentanti della Svizzera, della Germani e dell’Italia e numerosi invitati. Furono accolti con le scritte: «Milano, in nome d’Italia, saluta gli ospiti fratelli d’Elvezia e d’Allemagna». E ancora: «tolte per forza di umano ingegno le naturali barriere che dividevano l’Italia dalla Svizzera, Milano esultante applaude al nuovo trionfo della scienza e dell’industria».
Il giorno seguente, 24 maggio, agli illustri ospiti fu offerta nel Palazzo Reale di Milano una splendida colazione e, alla sera, un grandioso banchetto di circa 700 coperti, seguito da un gala al Teatro della Scala. I discorsi ufficiali inneggiarono alla collaborazione internazionale.
Due giorni prima, anche la Camera dei deputati italiana aveva espresso in un ordine del giorno approvato all’unanimità la propria soddisfazione per «l’opera di civiltà» compiuta e «la sua riconoscenza a tutti coloro che promossero ed eseguirono quell’opera».
Da allora sono trascorsi 130 anni. L’Europa è cambiata e più unita. Eppure resta ancora di grande attualità l’idea di Escher, Cattaneo e altri sui collegamenti transalpini. La nuova sfida si chiama «corridoio dei due mari», il futuro collegamento ferroviario tra il porto di Rotterdam in Olanda e lo scalo di Genova-Voltri. Già nel 2017 sarà inaugurata la galleria di base attraverso il San Gottardo, che diverrà nuovamente la galleria ferroviaria più lunga del mondo con i suoi 57 km.

Giovanni Longu
Berna 23.05.2012

Italia: due pesi e due misure?



E’ nota la storiella di quel contadino che, caduto in povertà, pensò di risparmiare sul mangiare che dava al suo asinello. Dietro suggerimento di un amico, decise di abituarlo a mangiare ogni giorno sempre un po’ di meno. Qualche mese più tardi, all’amico che gli chiese se il metodo aveva funzionato dovette confessare che per qualche tempo aveva funzionato ma proprio quando l’asino si era abituato a mangiare quasi niente, una mattina, lo trovò morto. Per consolarlo l’amico gli disse che era destino, ma forse aveva esagerato nella cura.

Sono in molti ormai, in Italia, a lanciare messaggi incalzanti al governo perché allenti la morsa dell’austerità, soprattutto quando questa rischia di privare dei mezzi di sussistenza essenziali intere fasce sociali e di strozzare l’economia. I rischi sociali sono evidenti. Basta vedere le reazioni degli elettori nei confronti dei grandi partiti. I difensori d’ufficio dello Stato e della politica credono di poter addossare le disfatte elettorali alla ventata dell’«antipolitica» che soffia da molti mesi a questa parte in molti Paesi e anche in Italia, dimenticando che in generale essa nasce dalla cattiva politica.
Si può condividere l’opinione del Presidente della Repubblica Napolitano quando afferma che non si può rinunciare alla politica e ai partiti «purché si ponga fine alle degenerazioni della politica e dei partiti». Ma la domanda è: chi è in grado di estirpare il marcio e ridare nobiltà alla politica? Non certo la classe politica attuale che non è stata in grado di esprimere un governo «politico» efficiente, che ha assecondato tutte le misure del governo tecnocratico di Mario Monti senza interrogarsi sui possibili effetti collaterali, che si dimostra incapace di autocensura e dotata di scarso senso del bene comune («comune», ossia di tutti!) e insensibile ai richiami popolari che aspettano un segnale di rinuncia, in un momento di crisi come questo, ad alcuni privilegi ingiustificati, come quello del finanziamento pubblico ai partiti.

Occorrono verità ed equità
Quando il governo Napolitano-Monti si è insediato, l’operazione è stata giustificata affermando che «l’Italia si trovava sull’orlo del baratro» quasi come la Grecia. Ho sempre ritenuto che la metafora fosse inappropriata. La scorsa settimana, di fronte all’impossibilità di formare in Grecia un nuovo governo, per cui i greci dovranno presto tornare alle urne, si è detto e scritto che ormai «la Grecia è sull’orlo del baratro». Ma come, se la situazione greca non è ancora precipitata (e credo che non precipiterà), perché dell’Italia Monti e i suoi sostenitori han detto e continuano a ripetere che sei mesi fa l’Italia era sull’orlo del baratro e della bancarotta? Chi rappresentava Monti la settimana scorsa al G8: un Paese sfuggito per miracolo alla rovina o ancora una grande potenza?
Perché in Italia non si ha mai il coraggio di dire le cose come stanno e si preferisce parlare per allusioni, indovinelli, metafore? Se c’è da fare sacrifici e inghiottire bocconi amari si abbia il coraggio di dire perché lo si deve fare, quali sono state le cause che hanno portato all’attuale situazione e chi ne sono (stati) i responsabili. E se tra questi non ci sono i pensionati, i lavoratori dipendenti, i cosiddetti «esodati», i piccoli imprenditori che fanno di tutto per resistere alla morsa della crisi, perché le misure di rigore si concentrano su di essi? Lo vorrebbe spiegare il prof. Monti anche agli italiani come fa ai «grandi della terra» e ai «poteri forti» che determinano l’andamento dei mercati?
Perché il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio dei ministri non sembrano nemmeno sfiorati dal dubbio che forse le manovre avrebbero potuto cominciare dai tagli degli sprechi, dalla vendita di qualche bene inutilizzato dello Stato, dalla riduzione significativa (e non simbolica) della politica (cominciando magari proprio dall’istituto della Presidenza della Repubblica)? Perché lo Stato non reclama la restituzione con gli interessi delle somme erogate ingiustamente ai partiti al di là del previsto «rimborso delle spese elettorali» documentate? Perché si predica, giustamente, che tutti devono pagare le tasse, ma si dimentica che in uno Stato di diritto anche i poteri pubblici devono pagare il dovuto agli imprenditori in credito con lo Stato? Le domande di questo tipo potrebbero continuare a lungo, ma temo che non servano.
Di fronte al malcontento che si sta diffondendo in Italia e che rischia purtroppo di degenerare, non si possono liquidare i movimenti contestatori come ventate di antipolitica e tacciare i loro leader di essere dei demagoghi di turno o dei saltimbanchi buffoni. Sarebbe più saggio, a cominciare dai vertici dello Stato e dagli «opinion leader», cercare di capire il crescente disagio dei cittadini, dare il buon esempio praticando per primi un po’ di austerità, suggerendo percorribili vie d’uscita alla crisi nel rispetto della dignità dei singoli cittadini. In uno Stato civile e tutto sommat ricco, non si può morire per eccesso di austerità o per non essere in grado di pagare le tasse!

Giovanni Longu
Berna, 23.05.2012