16 maggio 2012

Tra Italia e Svizzera la primavera porta il disgelo



Finalmente! E’ il caso di dirlo, perché l’inverno delle fredde relazioni bilaterali è durato troppo a lungo. Non che nel passato tra la Svizzera e l’Italia i rapporti siano stati sempre ottimi e amichevoli come spesso si dice e si scrive, ma in genere il buon senso e la reciproca convenienza finivano per prevalere. Nell’attuale controversia sulla fiscalità tra i due Paesi sembravano invece prevalere fino a pochi giorni fa sentimenti di diffidenza e di ripicca.

Dopo il lungo rifiuto del precedente ministro del tesoro Tremonti (forse il più malvisto in Svizzera in assoluto) di sedersi a un tavolo di negoziato, anche il nuovo ministro e presidente del Consiglio Monti si è ostinato per mesi a rifiutare persino l’avvio di un dialogo.

L’atteggiamento del presidente Napolitano
Un ulteriore segnale della freddezza delle relazioni italo-svizzere è dato dal rifiuto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di compiere una visita di Stato in Svizzera. Sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo in mancanza di conferme ufficiali – che il Presidente Napolitano abbia declinato l’invito del governo elvetico a visitare la Svizzera su consiglio del premier Monti fino a quando la situazione non si sarà chiarita e normalizzata.

Il Presidente Giorgio Napolitano declina l'invito della Presidente
della Confederazione Eveline Widmer-Schlumpf a visitare la Svizzera
L’atteggiamento del Presidente Napolitano non è irrilevante alla luce della storia dei rapporti italo-svizzeri. Anche in passato furono registrati momenti di tensione tra i due Paesi, ma vennero prontamente superati, anche grazie a visite di Stato. Vorrei ricordarne alcune significative degli ultimi decenni.

Da Gronchi ad Azeglio Ciampi
Nel marzo 1962 toccò al Presidente Giovanni Gronchi porre fine al malcontento suscitato nel novembre 1961 dalle esternazioni accusatorie nei confronti della Svizzera del ministro italiano Sullo. Il presidente Gronchi e il presidente della Confederazione Paul Chaudet, nel riaffermare i sentimenti di amicizia tra i due popoli, auspicarono per il futuro una ancora più stretta collaborazione.
Nel 1977, per superare le difficoltà create dalle «sgradevoli» accuse nei confronti delle autorità federali espresse dal sottosegretario Franco Foschi bastò la disapprovazione dell’allora ministro degli esteri Forlani.
Nel 1980, ad agitare nuovamente le acque tranquille delle relazioni italo-svizzere provvide più o meno involontariamente l’ambasciatore italiano a Berna Gerardo Zampaglione, che in un rapporto al Ministero finito sui giornali esprimeva giudizi pesanti sulla politica di neutralità della Svizzera e sui comportamenti degli svizzeri ispirati secondo lui alla cupidigia e al massimo profitto. Nel 1981, toccò al Presidente della Repubblica Sandro Pertini ristabilire alla grande il clima di amicizia e di collaborazione tra l’Italia e la Svizzera. Il Presidente della Confederazione Kurt Furgler affermò in quell'occasione che i numerosi italiani che risiedono in Svizzera «ormai fanno parte della comunità elvetica».
Le successive visite di Stato in Svizzera di presidenti della Repubblica non furono destinate a sanare ferite procurate dall’una o dall’altra parte, ma a rafforzare i vincoli d’amicizia e di collaborazione. In quella «informale» di Cossiga nel 1985, che considerò una tappa della «diplomazia del buon senso», non ci furono discorsi ufficiali, ma furono un’occasione per esprimere i suoi sentimenti di profonda stima nei confronti della Svizzera e l’auspicio che i legami di amicizia che uniscono i due Paesi diventino sempre più profondi e più solidi.
Nella visita di Stato del 2003, Carlo Azeglio Ciampi servì a consolidare le relazioni tra i due Paesi, «rafforzate dal contributo di una comunità italiana in Svizzera, attiva e stimata». Da parte sua, il presidente della Confederazione Pascal Couchepin ebbe a dire che «l’amicizia tra i nostri due popoli non deriva semplicemente dalla prossimità geografica, ma è il risultato di una volontà comune fondata sulla condivisione degli stessi valori culturali e morali. Un legame forte si è creato grazie ai numerosi italiani che si sono stabiliti in Svizzera».

Verso la ripresa del dialogo…
Dopo questi ultimi anni caratterizzati da «incomprensioni e forti contrapposizioni che avvelenano i tradizionali vincoli di buona amicizia che storicamente intercorrono tra i due Paesi» (Narducci 2011), si ricomincia a parlare di dialogo possibile, anzi prossimo.
Non so a chi spetti il merito di questa inversione di tendenza, anche perché più che degli eventuali meriti (in molti se li sono già attribuiti!) si dovrebbe parlare delle responsabilità del peggioramento delle relazioni italo-svizzere in materia fiscale degli ultimi anni. In questo momento è tuttavia preferibile non insistervi troppo, anche se qualche riflessione al riguardo mi sembra utile.

Dopo il sì dell'UE, anche il premier Mario Monti si
è dichiarato disponibile al negoziato con la Svizzera

Per la cronaca va ricordato che è solo dopo l’avallo dell’Unione Europea degli accordi Rubik della Svizzera con la Gran Bretagna e la Germania che anche il presidente Monti si è dichiarato disponibile ad aprire il negoziato con Berna. Dopodiché, anche il Cantone Ticino ha deciso di dare un segnale positivo sbloccando il 50 per cento dei ristorni fiscali dei lavoratori frontalieri italiani che era stato bloccato nel luglio del 2011 quale misura di ritorsione contro alcune misure decise dall’ex ministro Tremonti, tra cui l’inserimento della Svizzera sulla «black list» italiana dei paradisi fiscali. Il Ticino lo ha fatto quale parte in causa molto interessata, non senza precisare che il prossimo negoziato dovrà affrontare tutte le questioni sul tappeto, compresa quella sull’aliquota da versare all’Italia sul prelievo fiscale alla fonte sui salari dei frontalieri.

… dopo un inspiegabile ritardo
Sono convinto, come ho ribadito in più occasioni nei mesi scorsi, che il governo Monti già all’indomani del suo insediamento ha avuto un’occasione favorevole per affrontare e forse risolvere positivamente il contenzioso con la Svizzera, visto che nessun impedimento formale europeo vi si opponeva. Oggi forse il governo italiano avrebbe potuto assicurarsi non solo un cospicuo contributo finanziario dell’ordine di alcuni miliardi di euro, ma anche il sostegno di un Paese vicino e amico.
Credo che il presidente Monti abbia perso anche un’occasione per affermare in Europa la propria autonomia di giudizio e d’azione nell’affrontare una trattativa bilaterale con la Svizzera, alla pari di quel che hanno fatto i capi di governo di Germania, Gran Bretagna e Austria. La maniera per «salvare» l’Italia dalla morsa dei mercati e dalla stretta del duo Merkel-Sarkozy (ora fortunatamente disciolto per volontà popolare) non credo sia solo quella di assecondare i diktat dei «poteri forti» europei e internazionali, cercando di fare quadrare i conti «ad ogni costo», ma anche quella di ispirare fiducia, suscitare persino un pizzico di orgoglio negli italiani, fornire risorse «a qualunque costo» per salvaguardare lo stato sociale e stimolare la crescita.

Disagio degli italiani residenti in Svizzera
Tra gli italiani da prendere in seria considerazione e da incoraggiare in questo periodo difficile il governo Monti non avrebbe dovuto dimenticare quelli che risiedono in Svizzera e che da mesi vivono una situazione di profondo disagio se non economico certamente psicologico. Non c’è dubbio che, soprattutto nel Ticino, le antipatie e la diffidenza nei confronti degli italiani siano cresciute. E basta leggere i giornali per rendersi conto di quanta poca stima goda anche l’attuale governo. E’ impossibile, per quanti amano sinceramente l’Italia non provare disagio.
Trovo inoltre inspiegabile che il governo dei professori non abbia saputo soppesare i vantaggi e gli svantaggi del rifiuto del dialogo con la Svizzera, ben sapendo che solo il Cantone Ticino dà lavoro a più di 50.000 frontalieri, che ben difficilmente in Italia troverebbero occupazione, soprattutto in un periodo di recessione come quello attuale. E’ chiaro che i frontalieri non ricevono dalla Svizzera nulla gratis, e vanno difesi, ma è altrettanto chiaro che la regolamentazione dei loro rapporti deve avvenire nel quadro più ampio di rapporti di reciproca fiducia e collaborazione.

Importanza di un dialogo aperto e costruttivo
Trovo anche incomprensibile che il governo Monti non abbia manifestato nei mesi scorsi il desiderio di aprire il negoziato chiesto dalla Svizzera, pur sapendo che gli interessi in gioco sono tanti. Basti pensare agli intensi rapporti commerciali, ai problemi dei collegamenti ferroviari con Milano e con Malpensa, ai cospicui investimenti svizzeri in Italia, alla collaborazione nell’ambito della regione Insubrica, alla straordinaria risorsa rappresentata da mezzo milione di italiani che vivono in Svizzera e che non sono sicuramente più i «poveri migranti» di una volta.
Infine, è proprio sicuro il presidente del Consiglio Monti che, ora che sono «venuti meno gli ostacoli», sarà più facile il negoziato fiscale con la Svizzera? Non è stato informato con quanta determinazione i ticinesi intendono chiedere una consistente riduzione dei ristorni all’Italia (dall’attuale 38,8% al 12,5%) e sono convinti che «sia ora di smetterla di trattare Roma con i guanti bianchi»? Gli è stato riferito che dalla parte delle autorità cantonali ticinesi c’è gran parte dell’opinione pubblica e persino il Consiglio nazionale? E non sa il governo italiano che in Svizzera sta crescendo l’opposizione a questo tipo di accordi perché ritenuto sfavorevole alla piazza finanziaria svizzera?
Naturalmente anche il governo Monti e gli altri governi europei che hanno già sottoscritto un accordo, sebbene non ancora ratificato, hanno buone carte da giocare nella trattativa, ma è auspicabile che quel che ha affermato Monti a parole («affronteremo il tema con mente aperta e spirito costruttivo») costituisca veramente la base dell’intera trattativa, senza dimenticare gli interessi degli italiani che vivono in Svizzera.

Giovanni Longu
Berna, 16,05.2012