07 marzo 2012

Femminismo e «genio femminile»

Il traguardo della parità donna-uomo sembra ancora un miraggio, soprattutto in alcuni Paesi islamici, mentre è stato in gran parte raggiunto nelle società più evolute, ad esempio in Europa. Eppure alcune disparità sul terreno delle retribuzioni, della partecipazione politica e soprattutto dell’accesso ai quadri superiori dell’economia, della finanza, dell’istruzione, della ricerca, dei media, ecc. saltano facilmente all’occhio anche in Paesi a democrazia consolidata come la Svizzera e l’Italia.
In Svizzera, fin dal 1981 il principio dell’uguaglianza tra donna e uomo è ancorato nella Costituzione federale e alla sua applicazione veglia dal 1988 un apposito Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo. Dal 1996 è in vigore la legge federale sulla parità dei sessi che vieta, in particolare, ogni forma di discriminazione nell’ambito dell’attività lavorativa. Nonostante questo, l’attuazione del principio di uguaglianza resta un compito assai arduo.
In Italia, fin dalla sua entrata in vigore il 1° gennaio 1948 la Costituzione prevede la parità dei sessi in diversi articoli (3, 37, 51 e 117). Successivamente l’Italia ha fatto propria la normativa europea che ha precisato a più riprese, fin dal 1957 soprattutto il principio di parità delle retribuzioni tra lavoratori e lavoratrici per uno stesso lavoro. Basta dare tuttavia un semplice sguardo alle statistiche per accorgersi che si è ancora ben lontani dall’uguaglianza e dalle pari opportunità.

I movimenti femministi
Evidentemente resta ancora molto da rivendicare, da parte delle donne, e molto da fare insieme da entrambi i sessi. Se tuttavia si guarda un tantino al passato, si può facilmente concludere che la tendenza è senz’altro positiva. «Il mondo antico, ricordava un secolo fa il quotidiano ticinese Gazzetta Ticinese, volle la donna chiusa fra le pareti domestiche e interamente sottomessa al marito. Le leggi, i costumi e le religioni dimostrano all’evidenza questo fatto». Oggi, grazie anche alle rivendicazioni e alle lotte del movimento femminista, quel mondo, almeno alle nostre latitudini, è stato definitivamente trasformato, anche se la piena uguaglianza non è stata ancora raggiunta. Ma rivendicare non basta.
Agli albori del movimento femminista, verso la fine del Settecento, le distanze tra uomini e donne erano ancora enormi. L’iniziatrice del pensiero femminista, l’inglese Mary Wollstonecraft, nel suo romanzo intitolato «Maria» cercò di dimostrare che le donne, belle o brutte, virtuose o viziose, giovani o vecchie, sono sempre infelici». Contro questa infelicità derivante da ogni sorta di discriminazione cominciò il movimento femminista, partendo dalla coniugazione al femminile della famosa «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» (1789) della Rivoluzione francese, cominciando dal principio fondamentale: «la donna nasce libera ed uguale all’uomo in diritto».
Passare dall’affermazione del principio alla sua realizzazione la strada fu molto lunga e difficile. Fu altresì difficile far capire quali scopi si prefiggeva il movimento, anzi i movimenti femministi (perché ve n’erano diversi, ad es. cristiano-cattolico e protestante, operaio-socialista e anarchico, ecc.). La Gazzetta Ticinese registrava cento anni fa la sorpresa e gli interrogativi dell’opinione pubblica (maschile) in questi termini: «Muto per tanti secoli, e chiamato debole ed imbelle, il sesso muliebre, la metà del genere umano, finalmente si desta e, lanciando al suo antico oppressore, l’uomo, un cartello di sfida, intuona l’inno della redenzione. Donde mai questo insolito risveglio? Quali le cause? Quali le rivendicazioni e le conquiste a cui tende? Sono esse un bene od un male? […] Ecco il problema che si affaccia ed innalza, sotto il nome “femminismo”, il problema più grave ed importante che la storia dell’umanità ricorda, e che reclama una pronta soluzione».
Alla domanda generale: «Ma che cosa vuole il femminismo?», lo stesso quotidiano rispondeva: «L’abolizione dei privilegi mascolini; vuole che la donna sia proclamata eguale all’uomo, e in conseguenza che le siano riconosciuti gli stessi diritti dell’uomo. L’inferiorità civile, politica e sociale, in cui la donna è tenuta, per il femminismo, è una grande ingiustizia. Esso quindi proclama che le donne debbono poter liberamente istruirsi al pari degli uomini, concorrere a tutti gli impieghi e a tutte le professioni, lavorare ed essere retribuite nella stessa misura, avere in famiglia i medesimi diritti che ha il marito ed il padre e nella società gli stessi diritti politici degli uomini e la medesima considerazione. Quando la donna avrà ottenuto questo, la società umana sarà trasformata e rigenerata, ed un’era novella di pace e di amore regnerà sulla terra».

Superare le ideologie e le strumentalizzazioni
Per questo tipo di rivendicazioni evidentemente avere le idee chiare non basta, soprattutto quando gli ostacoli da superare sono sedimentazioni culturali che vengono di lontano e pretendono di giustificare svariati pregiudizi e privilegi.
Si accennava al «femminismo cristiano». Il suo principale ostacolo è stato una certa interpretazione dei libri sacri, secondo cui la donna sarebbe stata all’origine del peccato originale meritandosi di essere relegata ad un rango inferiore a quello dell’uomo. Per secoli, di fatto, la donna cristiana si è trovata in una condizione di netta inferiorità, pur senza mai impedire a numerosi movimenti femminili le legittime aspirazioni all’uguaglianza dei sessi proprio invocando lo spirito del Cristianesimo.
Anche il «femminismo operaio-anarchico» ha incontrato non pochi ostacoli all’interno dei movimenti socialisti e anarchici. Questi infatti, almeno inizialmente, contavano sul contributo delle donne soprattutto per accrescere la forza delle loro rivendicazioni. Del resto certe idee anarchiche volte al raggiungimento della felicità «nella gioia di vivere ed amare al cospetto della libera natura» e dell’ideale di donna «libera, uguale all'uomo, non più femmina, ma donna» non erano esenti da sospetti. In fondo, ritenevano molte femministe all’inizio del secolo scorso, «socialista o anarchico, l'uomo sarà sempre uomo, e vorrà opprimere la donna» (Gazzetta Ticinese).
Faticosamente, durante gran parte del secolo scorso, cercò di affermarsi un femminismo indipendente, fondando le proprie rivendicazioni di uguaglianza e pari opportunità non solo sulla demolizione incessante dei vari pregiudizi maschilisti, ma soprattutto sull’affermazione del proprio genio femminile. Si può essere d’accordo o in disaccordo su alcune rivendicazioni femministe sul sesso degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, come pure su certe spettacolarizzazioni dei nostri giorni (come la «rivoluzione femminista in topless» delle militanti Femen), ma non si può negare che i vari movimenti femministi hanno contribuito a conseguire risultati insperati fino a pochi decenni fa.

Il genio femminile
Evidentemente restano ancora traguardi importanti da raggiungere, ma guai se le rivendicazioni delle donne si riducessero all’imitazione degli uomini e finissero per provocare una sorta di competizione tra i sessi… per la supremazia. Scriveva nel 1916 il filosofo francese Teilhard de Chardin, che riconosceva come un valore il movimento di affermazione della donna, ma sperava che la donna non perdesse la sua femminilità e la sua capacità di illuminazione, idealizzazione, rasserenamento della sua presenza: «una certa emancipazione della donna può realizzarsi senza mascolinizzarla e, soprattutto, senza toglierle il carattere di potenza illuminatrice e idealizzatrice che essa esercita per semplice azione di presenza».
Più recentemente, nel 1995, il Papa Giovanni Paolo II, in una splendida lettera alle donne in vista della IV Conferenza Mondiale sulla Donna, promossa a Pechino dalle Nazioni Unite, auspicava anch’egli che si raggiungesse urgentemente «l'effettiva uguaglianza» tra uomini e donne in tutti i campi e dunque, ad esempio, la parità di salario a parità di lavoro, la tutela della lavoratrice-madre, le giuste progressioni nella carriera, l’uguaglianza fra i coniugi nel diritto di famiglia, il riconoscimento di tutto quanto è legato ai diritti e ai doveri del cittadino nella società, ecc.
Ma Papa Wojtyła auspicava anche che si mettesse in luce «la piena verità sulla donna» non solo come madre, sposa, figlia, sorella, lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, ma anche semplicemente come donna, e si ponesse davvero nel dovuto rilievo il «genio della donna » in tutte le sue espressioni, anche come debito di riconoscenza dell’intera società. Pertanto: «Grazie a te, donna, per il fatto stesso che sei donna! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani».
Giovanni Longu
Berna, 7.3.2012