25 gennaio 2012

La crisi italiana vista dalla Svizzera

Per evidenti ragioni non solo di prossimità, ma anche d’interesse, la Svizzera segue con grande attenzione l’evolversi della situazione nell’Eurozona. Un euro debole rafforza il franco e questo non giova all’economia svizzera di esportazione nel mercato europeo, soprattutto se la situazione attuale dovesse peggiorare.

Per quel che concerne in particolare l’Italia, i media svizzeri si sforzano in generale di registrare obiettivamente quel che sta succedendo, sia le misure per contenere il debito pubblico e stimolare lo sviluppo e sia le reazioni ch’esse suscitano in campo politico e soprattutto sociale. Indirettamente, però, molti servizi lasciano trasparire un quadro piuttosto negativo della situazione italiana, paragonata talvolta persino a quella della Grecia, salvo poi ad affermare che mai e poi mai l’Italia potrebbe andare in default, cioè in fallimento. Spesso sono invece i lettori dei grandi quotidiani che tendono a generalizzare alcune situazioni di evasione fiscale (ad es. ristoranti e negozi specializzati), antipolitica, leggi esistenti e non osservate, ecc.

I rapporti bilaterali
I temi sui quali si focalizza maggiormente l’attenzione dei media svizzeri, in particolare di quelli ticinesi, sono tuttavia quelli che in qualche modo hanno un rapporto con la Svizzera, soprattutto fiscalità e frontalieri. All’indomani dell’approvazione del decreto legge «salva Italia», che obbliga, fra l’altro, banche, poste e altri intermediari finanziari a comunicare alle autorità fiscali tutti i movimenti effettuati dai propri clienti, un quotidiano ticinese intitolava un articolo «Addio alla sfera privata». Sempre in tema di fiscalità, alcuni media ticinesi deplorano che siano ancora in funzione ai passaggi doganali i cosiddetti «fiscovelox» che registrano le targhe delle auto in transito.
Un altro tema sul quale i media ticinesi si soffermano molto riguarda l’accordo fiscale bilaterale che la Svizzera vorrebbe rinegoziare sul «modello Rubik» e che invece il governo Monti considera non prioritario. Il fatto che ripetutamente Monti abbia dichiarato che sta ancora valutando un accordo con la Svizzera, ma non subito, perché forse non è compatibile con le direttive dell’Unione Europea, preoccupa gli ambienti interessati svizzeri (soprattutto ticinesi).
I motivi di preoccupazione, accompagnata spesso da indignazione, sono essenzialmente due. Il primo è l’idea attribuita a Monti di considerare ancora la Svizzera una specie di «paradiso fiscale» perché in nome del segreto bancario (vitale per la piazza finanziaria svizzera) rifiuta lo scambio «automatico» di informazioni. Il secondo è che l’esitazione di Monti possa avere conseguenze a livello dell’UE e vanificare anche i due accordi già conclusi con la Germania e la Gran Bretagna, che hanno di fatto accettato l’anonimato dei capitali depositati in Svizzera. Con vivo disappunto un giornalista ha fatto notare, citando un ex consigliere federale, che i paradisi fiscali non ci sarebbero se non ci fossero gli inferni fiscali e l’Italia è uno di questi.

Nuove opportunità per la Svizzera
Ma per la Svizzera la situazione italiana non è solo fonte di preoccupazione. Più di un osservatore ha fatto presente che in questo periodo, soprattutto dopo l’insediamento del governo Monti, stanno rientrando in Svizzera molti capitali già «scudati» dal precedente governo. Gli investimenti italiani nel settore immobiliare, specialmente nel Ticino e nei Grigioni, sono in aumento. A fuggire non sarebbero, sembra, solo capitali, ma intere aziende favorite dalla stabilità svizzera e dal favorevole sistema di tassazione qui esistente. La Svizzera potrebbe anche approfittare dei «cervelli in fuga» dagli atenei italiani «poco abili nel valorizzare il merito e incapaci di fornire prospettive lavorative adeguate».
Insomma, non è vero che l’Italia, come vorrebbe qualche forza politica aggressiva ma poco attenta, è solo fonte di preoccupazione, perché dalla vicina Penisola arrivano anche nuove opportunità e in Ticino sono certamente molti a poter ancora dire «tutto bene nel nostro Cantone, anche grazie agli italiani».

Giovanni Longu
Berna, 24.01.2012

La crisi italiana vissuta dagli italiani

Mi è capitato di leggere che la crisi italiana non sarebbe altro che un’espressione della crisi più generale dell’Eurozona, dovuta alla fragilità dell’euro. Mi pare un errore grossolano imputare all’euro la difficile situazione che attraversano alcuni Paesi compresa l’Italia, perché una moneta non ha mai colpa, semmai sono colpevoli coloro che non la sanno usare o la usano male, per esempio speculandoci. Tanto è vero che ad alcuni Paesi che l’hanno adottata ha portato sicuramente bene e meno bene ad altri. Alla Germania, ad esempio, l’euro ha certamente giovato, favorendo il suo sviluppo dopo la riunificazione, l’alto tenore di vita dei suoi cittadini e la sua consacrazione del Paese come indiscussa superpotenza europea, che cresce persino nei periodi di crisi internazionale e fa diminuire la sua quota di disoccupati quando altrove aumenta.

Tutta colpa dell’euro?
Mi è capitato anche di leggere che per alcuni Paesi sarebbe addirittura conveniente uscire dall’euro: per i più deboli perché non riescono a mantenere il ritmo dei primi della classe, per i più forti perché stando in cordata con i pericolanti potrebbero finire anch’essi nel burrone. Difficile, credo per chiunque, avere certezze in questo momento. Dipenderà da come evolverà la situazione nei prossimi mesi, da una parte se la Germania e pochi altri Paesi forti saranno ancora disposti a sostenere l’euro a tutti i costi per favorire il risanamento dei conti pubblici di Paesi fortemente indebitati come l’Italia e la Grecia, e dall’altra se questi ultimi riusciranno a sopportare a lungo la terapia dell’austerità e del rigore imposta dai primi.
Il meno che si possa dire è che l’Italia del governo Monti sta assaporando in questi mesi l’amarezza della medicina confezionata soprattutto in Germania. Quel che non si sa è se le misure recessive finora adottate potranno essere sopportate a lungo, visto che l’Italia è già in recessione e avrebbe bisogno invece di crescere.
Invano anche il governo Monti, come aveva già tentato quello precedente, ha chiesto l’aiuto dell’Unione Europea, perché anche l’economia dell’Eurozona è in recessione o cresce pochissimo. Di più, l’Unione Europea è sotto questo aspetto debole, perché non ha una politica economica, monetaria e fiscale unitaria e non ha nemmeno una banca centrale come prestatore di ultima istanza. In questa situazione, il dubbio sulla solvibilità (cioè la capacità di far fronte ai propri debiti pubblici) di Paesi come la Grecia, ma anche della Spagna e dell’Italia permane.

Cresce il disagio
Questa situazione è vissuta drammaticamente da moltissimi italiani, che di tutti i provvedimenti adottati finora dal governo finalizzati all’equità e allo sviluppo colgono solo l’aspetto penalizzante dell’aumento delle tasse e dei sacrifici imposti alle famiglie meno agiate. Soprattutto il ceto medio si trova in grave difficoltà.
Molti contribuenti sono esasperati e se finora hanno trovato una sorta di via d’uscita nell’evasione fiscale, d’ora in poi questa via sarà loro preclusa, grazie alla lotta intransigente del governo Monti di far pagare le tasse a tutti. Forse proprio a causa dei drastici provvedimenti antievasione la rabbia di molti contribuenti cresce ulteriormente, perché a fronte di un prelievo fiscale ritenuto eccessivo (che si sta avvicinando al 50% della produzione interna lorda) non vedono affatto crescere l’equità fiscale, per cui tutti dovrebbero pagare in proporzione al loro reddito e al capitale posseduto e lo Stato dovrebbe ridurre notevolmente le proprie spese.

Urge la crescita
Non è giustificato, ma è un fatto, che dall’insediamento del governo Monti, la fuga di capitali all’estero, soprattutto in Svizzera, è in costante aumento. E’ un vero peccato che all’Italia vengano così a mancare ulteriori risorse utilissime all’indispensabile crescita, ma bisognerebbe anche chiedersi onestamente se al riguardo la cura Monti sia stata finora azzeccata. Solo la crescita economica è infatti in grado non solo di rassicurare i mercati internazionali sulla solvibilità dell’Italia, ma anche di consentire una diminuzione significativa del debito pubblico.
Nemmeno le recenti misure adottate per favorire la crescita attraverso le liberalizzazioni sembrano appropriate. Per quanto giustificate esse non produrranno infatti i loro effetti che sul lungo periodo. Eppure alcuni incentivi alla crescita avrebbero potuto essere reperiti subito tagliando gli sprechi, vendendo beni inutilizzati dello Stato, dando una decisa sforbiciata ai costi della politica. Gli italiani avrebbero visto in queste misure segnali di ottimismo e il disagio sociale, invece di aumentare, sarebbe forse diminuito.

Giovanni Longu
Berna 25.01.2012