11 gennaio 2012

Passare il Rubik…one

Da oltre un anno le relazioni tra la Svizzera e l’Italia sono bloccate attorno alla spinosa questione della doppia imposizione. Trattandosi di un argomento difficile sotto l’aspetto tecnico-giuridico, in questo articolo si prescinderà dagli aspetti più specifici per soffermarsi principalmente sull’aspetto generale.

Per una questione di giustizia, quasi tutti gli Stati adottano convenzioni internazionali per evitare che i propri cittadini vengano tassati due volte per lo stesso bene soggetto a imposizione fiscale. Altrimenti detto, per fare un esempio, un cittadino italiano che possiede un reddito o un capitale mobile (denaro) o immobile (per es. una casa) in Svizzera non dev’essere tassato due volte, ma solo una volta nell’uno o nell’altro Paese. Per evitare la doppia imposizione, tra la Svizzera e l’Italia esiste una convenzione entrata in vigore nel 1979, ma non più attuale. Da allora, infatti, specialmente a livello europeo, è mutato notevolmente il contesto generale, basti pensare alla libera circolazione dei capitali e alla lotta contro il riciclaggio di denaro sporco e contro la frode fiscale. Per questo molti Paesi, tra cui l’Italia e la Svizzera, hanno adeguato o stanno adeguando in questi anni precedenti accordi internazionali per evitare la doppia imposizione.

Accordi con Gran Bretagna e Germania
La Svizzera ha già concluso convenzioni bilaterali con numerosi Paesi. Due in particolare corrispondono maggiormente al caso italiano, la Gran Bretagna e la Germania, perché molti cittadini britannici e tedeschi, come molti italiani, detengono capitali in Svizzera. Questi due accordi in particolare sono stati conclusi sulla base di un piano chiamato «Rubik». Poiché la Svizzera non intende violare in alcun modo le regole internazionali contro il riciclaggio di denaro sporco e contro la corruzione, ma nemmeno il segreto bancario, ha proposto a vari Stati europei di prelevare alla fonte una «imposta liberatoria», ossia l’imposta a cui sarebbero sottoposti i capitali per esempio in Gran Bretagna, in Germania o in Italia, e restituirla rispettivamente al fisco britannico, tedesco o italiano, ma senza comunicare i nomi dei legittimi proprietari. Solo con l’Italia non è riuscita ancora nemmeno ad avviare una trattativa, soprattutto per l’intransigenza del precedente ministro delle finanze Tremonti (che considerava la Svizzera un paradiso fiscale) e nonostante che il Parlamento italiano avesse adottato diverse mozioni favorevoli alla ripresa delle trattative.
Caduto il governo Berlusconi, la Svizzera sperava di riaprire più facilmente il dialogo col nuovo governo Monti. Invece, a tutt’oggi, si è ancora al punto di partenza in quanto Monti, che è anche ministro del tesoro, non ha ritenuto il tema prioritario. E come non dargli ragione, se davvero doveva pensare finora a mettere in salvo l’Italia dal rischio di bancarotta, a rimpinguare le casse dello Stato con nuove tasse e recuperi di evasione fiscale e soprattutto a ricreare in Europa un clima di fiducia nei confronti dell’Italia? Non va infatti dimenticato che nei prossimi mesi l’Italia deve rifinanziare circa 200 miliardi di euro del suo debito pubblico e altri 130 miliardi entro la fine dell’anno.
Poiché la questione è bloccata da tempo, sarebbe stato opportuno che il nuovo governo Monti avesse ripreso subito il dialogo con la Svizzera, tenendo conto delle numerose e intense relazioni bilaterali in tutti i campi, ma ha preferito aspettare di vederci più chiaro, non essendo convinto (al pari dei francesi e di molti europei) che in materia fiscale il segreto bancario svizzero sia ancora giustificato e che l’anonimato corrisponda alle regole comunitarie. Monti si è detto comunque disposto a studiare la questione al fine di trovare un accordo con la Svizzera, probabilmente proprio sul modello dell’accordo con la Germania.

Monti non è Cesare?
D’altra parte, se nell’Unione Europea due grandi Paesi come la Gran Bretagna e la Germania hanno già concluso un accordo soddisfacente con la Svizzera, non si vede perché Monti non possa superare le sue perplessità e fare altrettanto. Oltretutto il beneficio che ne riceverebbe l’Italia sarebbe secondo alcune fonti un gruzzolo da almeno 9 miliardi di euro, che in tempi di crisi come questi sarebbe estremamente utile. E poi non si vede perché ciò che ha sottoscritto la signora Merkel non possa essere sottoscritto anche dal prof. Monti.
Non resta che aspettare, ma si può star certi che la Svizzera non rinuncerà facilmente al segreto bancario (metterebbe in pericolo la sua piazza finanziaria, che è una delle più importanti al mondo per la gestione dei patrimoni) pur essendo molto aperta alla collaborazione nel campo della lotta al riciclaggio e della lotta alla frode fiscale. Il cosiddetto «piano Rubik» è un tentativo di salvare molteplici interessi. Molti lo ritengono soddisfacente.
Per assonanza mi viene in mente il Rubicone della storia romana e mi viene spontanea la domanda: passerà anche Monti il Rubik..one come Cesare passò nel 49 a.C. quel fiumiciattolo che separava la Gallia Cisalpina dall’Italia con un semplice «i dadi sono tratti»? Certo, Monti non è Cesare, ma il coraggio non si può negare per principio ad alcuno.

Giovanni Longu
Berna, 11.01.2012

2012: anno decisivo per l’Italia e per l’Europa

Ci sono nella storia di tanto in tanto anni memorabili perché segnano per una nazione o più nazioni o addirittura per il mondo intero una svolta importante e addirittura decisiva. Il 2012 potrebbe esserlo per l’Italia e forse per l’Unione Europea.
Da diversi decenni, in Italia, si naviga ormai a vista, senza una meta precisa perché i poteri istituzionali (parlamento e governo) non sembrano in grado di indicarla e tanto meno di raggiungerla. Non va meglio in Europa perché l’Unione Europea non è una federazione e non dispone di poteri «reali» per elaborare e realizzare una politica generale, economica, finanziaria e fiscale veramente «comunitaria». Inoltre l’Unione è fortemente sbilanciata tra i vari Paesi membri in base al prodotto interno lordo (PIL), all’indebitamento pubblico, al tasso di occupazione/disoccupazione, al tasso d’inflazione, alla soglia di povertà, ecc.
In questa situazione di grande disparità e incertezza, il fatto di avere una moneta comune, l’euro, non aiuta molto, anzi può essere un ostacolo. Per alcuni Paesi, il rischio di essere schiacciati da quelli più forti e marginalizzati in un’Europa a velocità di crescita diverse è reale.

Cresce l’urgenza di una svolta
Uno dei Paesi maggiormente a rischio è l’Italia. Per allontanare lo spettro della bancarotta (evocato all’inizio del suo mandato dal capo del governo Monti) non sono bastate le celebrazioni del 150° dell’unità d’Italia e la retorica dei celebranti tendente a rafforzare il senso di una patria coesa «una e indivisibile». Non sono bastate, finora, nemmeno le prime misure del governo Monti in aggiunta alle manovre del precedente governo. La situazione, infatti, non solo non è migliorata ma rischia di peggiorare. L’Italia sarà pure «una e indivisibile», ma il senso dell’unità è della solidarietà è fortemente carente, le disparità sociali restano enormi, la distanza tra Nord e Sud (in termini economici, culturali, sociali) aumenta invece di diminuire. Diventa perciò sempre più urgente invertire la tendenza e far sì che al Sud si produca altrettanto PIL (prodotto interno lordo, ossia ricchezza) che al Nord, che venga abbattuta la disoccupazione giovanile e generale, che i servizi pubblici funzionino come al Nord (sanità, trasporti, istruzione, burocrazia), che i cittadini del Sud si sentano finalmente responsabili del proprio destino.
Poiché è cresciuta la consapevolezza che se il fossato tra Nord e Sud si allarga rischia di venir meno non solo la coesione nazionale ma anche l’aggancio ai Paesi trainanti dell’Unione Europea, quest’anno potrebbe essere l’anno della svolta. Sarà così? Dipenderà sicuramente da molti fattori sia a Sud che a Nord, ma è indubbio che le attese principali sono poste nella capacità del governo Monti di avviare un autentico «federalismo» responsabile e solidale e una effettiva politica di sviluppo. E’ necessario e urgente che la politica per il Mezzogiorno fornisca sì risorse sufficienti e incentivi mirati alla crescita, ma faccia anche capire che la risorsa principale è la volontà di riscatto degli stessi meridionali, che il tempo dell’assistenzialismo è finito e il diritto al lavoro deve accompagnarsi sempre col dovere di cercare e creare da sé stessi le opportunità di lavoro sul territorio.

Responsabilità politiche enormi
Se questa politica non verrà avviata in tempi brevi il governo Monti perderà la sua sfida più importante. Il riaggancio al resto dell’Europa, soprattutto ai principali Paesi con cui l’Italia deve confrontarsi, Germania, Francia e Gran Bretagna, non dipenderà tanto dall’allungamento dell’età pensionabile e dal recupero dell’evasione fiscale (entrambi necessari) quanto piuttosto dalla capacità del Sud di produrre altrettanta ricchezza della media europea. Se le guardie di finanza vanno a Cortina o a Portofino per scovare gli evasori fiscali fanno bene, ma se il governo Monti non riuscirà a neutralizzare la criminalità organizzata del Sud e a imporre la legalità, a ridurre gli sprechi delle amministrazioni pubbliche, a sconfiggere la diffusa rassegnazione e il pessimismo dei meridionali, a ridare fiducia agli investitori e a sconfiggere anche lì la flagrante evasione fiscale, non ci sarà alcuna svolta significativa per l’Italia.
Non mi sembra che il nuovo governo si sia mosso finora con decisione in questa direzione e purtroppo né il Presidente della Repubblica, uomo del Sud e deus ex machina del governo Monti, né i grandi partiti che siedono (utilmente?) in Parlamento sono stati capaci di modificare in questo senso la cosiddetta manovra «salva-Italia», ritenuta da molti osservatori addirittura recessiva. Eppure è abbastanza evidente che senza crescita nel Mezzogiorno (il Nord cresce a sufficienza) non c’è crescita in Italia, non c’è possibilità di ridurre l’enorme debito pubblico e non c’è alcuna possibilità di competere con i Paesi europei più forti trainati dalla Germania. E’ dunque auspicabile che arrivino presto le giuste manovre: taglio degli sprechi e del superfluo, cominciando dalla politica, e incentivi per l’occupazione (con annessi e connessi come l’introduzione senza tentennamenti della flessibilità del lavoro) soprattutto giovanile e nel Mezzogiorno.

Giovanni Longu
Berna, 11.01.2012