12 settembre 2012

Plurilinguismo da salvare. Ma come?



E’ difficile seguire i vari interventi mediatici sulla situazione linguistica (plurilinguismo) in Svizzera e dell’italiano in particolare. Il fatto che siano tanti, anche solo negli ultimi mesi, denota che l’interesse e vivo, almeno in Ticino. Non è detto, tuttavia, che il fatto che se ne scriva e se ne discuta (anche in quest’ultimo fine settimana a Lugano) sia un indice positivo dello stato di salute del plurilinguismo e della lingua italiana. Si direbbe anzi il contrario. Se ne parla tanto perché l’uno e l’altra sono in pericolo.

Del resto, per rendersene conto, basterebbe leggere sul Corriere del Ticino di quest’estate alcuni interventi di Moreno Bernasconi (Stavolta è minacciato il francese, Cosa direbbe il grande Burckhardt?) o di Mauro Guindani (Il lento ma sicuro declino del plurilinguismo elvetico) o l’intervista al dimissionario delegato federale al plurilinguismo Vasco Dumartheray. Per non parlare del settimanale Beobachter (Molto rumor um nichts), che ironizza sull’iniziativa del Consigliere di Stato Manuele Bertoli di creare in Ticino un Forum per la salvaguardia dell’italiano in Svizzera.
Di fronte alla situazione con tendenza peggiorativa dell’italiano che è facile riscontrare nella Svizzera tedesca e francese, non mi sembra affatto confortante l’affermazione del Consigliere federale Alain Berset, secondo cui oggi «la pluralità culturale è più protetta». Sono anche scettico sulle iniziative dell’Università della Svizzera Italiana (USI) per favorire i soggiorni linguistici in Ticino di studenti romandi e svizzero tedeschi o per avviare una discussione a livello nazionale sulla lingua italiana «per trovare soluzioni». Mi domando anche se la sede più adeguata per sensibilizzare l’opinione pubblica svizzera e le autorità competenti (soprattutto cantonali e federali) sia il Ticino piuttosto che Berna, Zurigo, Basilea, Ginevra o altre città direttamente coinvolte.

Coinvolgere maggiormente le istituzioni italiane
I grandi dibattiti, soprattutto quelli organizzati da istituzioni serie e prestigiose come le università, possono essere utili se provocano conseguenze pratiche, ma diventano sterili se si limitano alle analisi e al rimpallo delle responsabilità (spetta ai cittadini, spetta ai Comuni, spetta piuttosto ai Cantoni anzi alla Confederazione…!). Forse andrebbe anche interpellata la popolazione per conoscere se davvero ha così bisogno della lingua italiana e perché la studia sempre meno.
Un altro interrogativo che mi preoccupa è dove sta lo Stato italiano in questa discussione. E’ mai possibile che l’Ambasciata e i Consolati non abbiano nulla da dire, da offrire, da rivendicare? Come si fa a immaginare un futuro per la lingua italiana nella Svizzera tedesca e francese senza garantire in regime bipartisan l’avvenire dei corsi di lingua e cultura italiana fin dal livello elementare? Perché i Cantoni maggiormente interessati non prendono iniziative al riguardo, se è vero com’è vero che il plurilinguismo è un privilegio della Confederazione?
Proprio sul plurilinguismo nell’amministrazione federale si è focalizzata per qualche giorno l’attenzione dei media in seguito alle dimissioni del delegato federale al plurilinguismo perché si sentiva «con le mani legate».

Maggiori poteri al delegato al plurilinguismo
Conoscendo Vasco Demartheray, la notizia non mi ha sorpreso. Gli era stato affidato un compito importante senza mettergli a disposizione i mezzi e soprattutto le competenze. Mi aveva invece sorpreso due anni fa l’atteggiamento di grande soddisfazione della Deputazione ticinese alle Camere federali, dopo che il Consiglio degli Stati aveva accolto una mozione di Filippo Lombardi che chiedeva una specie di mediatore per promuovere l’italiano e il francese e vigilare sull’adeguata rappresentanza di queste componenti nell’amministrazione federale.
Avevo scritto (L’ECO 24.03.2010) al riguardo: «Prima di fare salti di gioia aspetterei i risultati. Non è infatti chiaro che «statuto» avrà questo «mediatore» e di quale autorità disporrà. Sembrerebbe anzi che sarà una persona «nominata» e non «eletta» (com’è invece il caso dei mediatori parlamentari). Soprattutto non si sa come potrebbe «promuovere» l’italiano e il francese senza mezzi finanziari a disposizione e se, oltre a «vigilare» sull’adeguata rappresentanza di italofoni e francofoni nell’amministrazione federale, potrà anche «intervenire» (con quali poteri?) in caso di inosservanza della legge e delle ordinanze sulle lingue».
La domanda che mi pongo ora è se il successore del delegato dimissionario avrà lo stesso «statuto» e se la Deputazione avrà la forza di rivendicare per lui maggiori competenze, nella consapevolezza che il pieno rispetto della legge e dell’ordinanza sulle lingue rappresenta nell’amministrazione federale il principale baluardo del plurilinguismo elvetico.

Giovanni Longu
Berna, 12.09.2012



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