19 settembre 2012

Non c’è crescita senza formazione



Leggevo qualche giorno fa che la Svizzera, nel panorama europeo, rappresenta ancora un’«isola felice». Io non so quanto siano felici gli svizzeri, ma sicuramente non hanno i patemi d’animo di molti cittadini comunitari alle prese con una recessione che non accenna a diminuire. Coloro che già intravedono la luce in fondo al tunnel evidentemente non hanno le preoccupazioni di quanti fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, devono far fronte con una drastica riduzione dei consumi all’aumento della pressione fiscale e del carovita, vedono diminuire le speranze di un avvenire migliore. Per non creare allarmismi, in Italia, si è persino truccato il linguaggio: alle persone che hanno perso il lavoro e il salario vengono offerti «ammortizzatori sociali», «piani sociali», «mobilità in deroga», «contratti di solidarietà», «incentivi al reinserimento», ecc., guardandosi bene dall’ammettere che si tratta di provvedimenti per evitare lo schianto e la disperazione.

A sentire, in questa «isola felice», le cronache quotidiane dell’Italia in recessione viene la pelle d’oca e si prova una grande tristezza accompagnata da una forte indignazione. Questa nasce spontanea quando si sentono gli interminabili dibattiti inconcludenti dei soliti politicanti, preoccupati più delle forme che della sostanza, delle loro ambizioni personali che delle difficoltà della gente comune. Dai loro discorsi non emerge mai alcun segnale di autocritica o un minimo senso di colpa per la politica scriteriata attuata finora all’insegna dello spreco e del clientelismo, con un innalzamento spaventoso del debito pubblico, che rende sempre più difficile l’uscita dalla recessione e la crescita.
Ora è facile essere tutti d’accordo sulla necessità di una politica di austerità e di abbattimento del debito pubblico, ma i costi di questa politica sono sproporzionati, per molti troppo pesanti, per pochi troppo leggeri. Spero che alle prossime elezioni i cittadini stiano più attenti nella scelta delle persone a cui affidare i destini del Paese.

La formazione come strumento di crescita
Ma perché la Svizzera è per diversi aspetti un’«isola felice» e l’Italia non lo è? Domanda difficile a cui è impossibile rispondere in maniera esaustiva e soddisfacente. Pertanto non provo nemmeno ad abbozzare una risposta. C’è però un elemento che può essere illuminante per chi volesse darne una. Questo elemento si chiama formazione. In Svizzera conta molto, in Italia molto meno. Per il Consiglio federale la formazione è un settore prioritario. E per il governo italiano?
La Svizzera ha fatto della formazione, da quella prescolastica a quella professionale, universitaria e postuniversitaria, un motore indispensabile per la crescita. Solo lo studio, soprattutto nella sua forma di ricerca fondamentale e ricerca applicata, può garantire l’innovazione e la competitività delle imprese, e quindi occupazione e ricchezza. Per questo la Confederazione spende per la formazione e la ricerca molto, sempre di più. Perché non fa altrettanto l’Italia?
Probabilmente il divario tra i due Paesi dipende non solo dalla differente disponibilità di risorse, ma anche da una profonda differenza culturale. In Svizzera, Paese liberale, lo Stato sostiene le idee e i progetti dei cittadini, delle imprese, dei centri di ricerca. In Italia, Paese molto centralista e assistenzialista, i cittadini, le imprese e i centri di ricerca aspettano che sia lo Stato a fornire non solo finanziamenti ma anche impulsi e idee. E siccome lo Stato italiano è povero di mezzi e di idee l’Italia continua a perdere posizioni nella classifica internazionale dei Paesi più virtuosi per innovazione e ricerca.
Mi sarei aspettato da un governo «tecnico» di professori maggiore attenzione a questo problema vitale per lo sviluppo dell’Italia, ma temo che abbia nella sua agenda altre priorità, certamente legittime e utili, ma non centrali e fondamentali come la formazione e la ricerca. Quanto alla carenza di risorse finanziarie da mettere in campo si può rispondere che se l’obiettivo è ritenuto prioritario le risorse si trovano e comunque vanno cercate. E una volta trovate vanno utilizzate con rigore e con criteri selettivi in base ai principi della meritocrazia, della competitività e dell’utilità generale. E’ tuttavia fondamentale che tutti, dalle forze politiche alla società civile, siano convinti che senza formazione non c’è crescita e senza ricerca non c’è futuro.

Giovanni Longu
Berna, 19.09.2012

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