11 luglio 2012

La frontiera e la storia


Sulle frontiere si può riscrivere la storia dell’umanità. Non sfugge a questa possibilità anche la storia dei rapporti italo-svizzeri e dell’emigrazione italiana in Svizzera.

Per secoli la frontiera ha segnato il «limite» della sovranità di un Paese e l’inizio di quella di un altro. Il superamento di questo limite è sempre dipeso dai rapporti di forza o dal tipo di accordi esistenti. Nelle relazioni italo-svizzere ci sono stati periodi in cui la frontiera era difficilmente valicabile e altri in cui era molto «aperta» al passaggio delle persone e delle merci.
Mai tuttavia tra la Svizzera e l’Italia le frontiere sono state completamente aperte. Ci sono stati periodi in cui aleggiava persino il sospetto che il Paese confinante rappresentasse un potenziale nemico. Di qui quella serie di fortificazioni al di qua e al di là del confine di cui per fortuna oggi restano solo tracce ad uso turistico. Persino nei periodi più «liberali» per la libera circolazione delle persone (dopo il Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia del 1868) la frontiera poteva chiudersi in qualsiasi momento. Di fatto, dopo la prima guerra mondiale, la Svizzera introdusse numerosi ostacoli per bloccare l’«inforestierimento». Uno di essi rimane scolpito nella memoria di molti immigrati: la visita medica in entrata al confine di Chiasso e di Domodossola, dalla maggior parte di essi considerata umiliante.

Dalla «tratta delle bionde»…
Il traffico commerciale, regolato da accordi vantaggiosi per entrambi i Paesi, è sempre stato florido. Parallelamente lungo la frontiera si è svolto anche un traffico illecito: il contrabbando. Già dai tempi della costruzione della galleria ferroviaria del San Gottardo (1872-1882) molti minatori italiani lo praticavano per integrare il loro magro salario.

Le bricolle dei contrabbandieri potevano pesare fino a una trentina di chili Come noto, il contrabbando è continuato ininterrottamente, almeno fino agli anni ’60 e ’70, in quella forma che qualcuno ha chiamato «romantica», perché praticato da «spalloni» che si guadagnavano la vita rischiando il carico che portavano sulle spalle (le famose «bricolle» di 25-30 chili) e talvolta anche la vita, per la difficoltà dei sentieri che dovevano percorrere, per lo più di notte, e col rischio di essere sorpresi dalle guardie di finanza o dalle guardie di confine. Lo «spallone», lungi dall’essere considerato un delinquente, era una figura che godeva rispetto per la fatica e la funzione sociale che in certo senso svolgeva, quella di dare sollievo a una condizione economica ritenuta difficile, precaria e persino ingiusta.
Esiste una vasta letteratura e persino raccolte museali sui modi, gli strumenti e sulle storie legate al contrabbando, soprattutto dalla fine della guerra agli anni Settanta. Le storie più note sono legate alla "tratta delle bionde", le sigarette. Ma oltre alle sigarette e al tabacco si contrabbandava, verso l’Italia, tutto quello che in Svizzera si riusciva ad avere più a buon mercato: saccarina, caffè, orologi, ecc. Cent’anni fa, di questi tempi, raccontano le cronache di confine, venne arrestato a Ponte Chiasso un giovane che cercava di trafugare sotto i vestiti nientemeno che 102 orologi per signora divisi in 17 scatole di sei pezzi ognuna.

… alla «tratta di esseri umani»
Lo Stato italiano ha tentato di stroncare quel traffico illecito ricorrendo persino alla costruzione lungo il confine di una rete metallica (nota come «ramina» tra le popolazioni di frontiera). Il contrabbando è continuato e continua tutt’ora, ma col tempo sono cambiati anche gli oggetti, le forme e le maniere di contrastarlo. Cresce ad esempio il traffico di valuta, di oggetti preziosi, di droga e persino il passaggio illegale di clandestini e la moderna «tratta di esseri umani». Cresce però contemporaneamente anche la collaborazione internazionale nel contrasto al riciclaggio, al commercio di droghe e al traffico di clandestini. Qualche settimana fa il Corriere del Ticino titolava a tutta pagina: «In Ticino è arrivata la “sesta mafia”». Anche la Svizzera si sente ora minacciata.
Per evitare i problemi di frontiera, dicono alcuni, basterebbe abolirle e creare un vasto spazio di libera circolazione, costruendo ad esempio un unico spazio economico comprendente anche la Svizzera. Ma, se è facile dirlo è quasi impossibile realizzarlo, almeno per la Svizzera in questo momento. Un autorevole portavoce, anche se è stato spesso di parte, il consigliere federale Ueli Maurer si è lasciato scappare poche settimane fa che «oggi nessuno che abbia le rotelle a posto vuole ancora entrare nell’UE» e «se la Svizzera fosse entrata nello Spazio economico europeo il Paese vivrebbe una profonda depressione».
Altri dicono che, senza abolire le frontiere, basterebbe eliminare il divario tra economie così diverse, proprio a ridosso di una esigua linea di confine. Ma anche al riguardo le difficoltà da superare, proprio di questi tempi, sembrano insormontabili. Eppure forse non c’è altra via, diversamente la frontiera resterà una barriera e la libera circolazione quale elemento fondamentale della democrazia mondiale un’utopia.

Giovanni Longu
Berna, 11.07.2012

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