30 maggio 2012

Italia e Svizzera a confronto



E’ sempre difficile fare confronti tra due Paesi. Per la loro validità occorrerebbero molte premesse, definizioni precise delle caratteristiche considerate, ma soprattutto interpretazioni plausibili dei numeri utilizzati. Un tale esercizio supera i limiti di questa rubrica. Eppure, anche un semplice osservatorio italo-svizzero come questo non può fare a meno di registrare dati e opinioni riguardanti i due Paesi interessati, lasciando al lettore il giudizio finale.

Nei giorni scorsi sono iniziati gli incontri «tecnici» in vista di un accordo tra l’Italia e la Svizzera sulla fiscalità. Sull’intera questione è interessante osservare come nei media svizzeri l’interesse, soprattutto nel Ticino, è molto più alto di quanto si può riscontrare nei media italiani. La differenza sembra dovuta al diverse grado d’importanza attribuito dai rispettivi Paesi. Per la Svizzera le relazioni con l’Italia sono storicamente fondamentali, per l’Italia lo sono invece meno. Negli scambi internazionali, l’Italia è il secondo partner commerciale della Svizzera, la terza destinazione preferita dai turisti svizzeri, il Paese in cui gli investimenti svizzeri superano i 22 miliardi di franchi. Per l’Italia, invece, la Svizzera è solo l'ottavo partner commerciale. Il volume degli investimenti italiani netti nella Confederazione ammontano a poco più di 4 miliardi di euro. La Svizzera non è tra le destinazioni maggiormente preferite dagli italiani.
Bastano queste differenze per spiegare l’incomprensione di molti svizzeri sul ritardo con cui il governo Monti si appresta finalmente al negoziato sulla fiscalità sollecitato dalla Svizzera e, soprattutto, sul mantenimento della Svizzera nelle «liste nere» dei paradisi fiscali?

Ripresa del dialogo: perché solo ora?
Se Monti ha accettato di riaprire il dialogo con la Svizzera, si dice in Ticino, è perché ha «un enorme bisogno di fare cassa». Se è disponibile a discutere della cancellazione della Svizzera dalle liste nere italiane non è perché si è reso conto che non hanno più ragion d’essere, ma più probabilmente perché la fuga di capitali è continua e le tensioni con la Svizzera non giovano nemmeno all’Italia. E’ sintomatico che presso il Consolato d’Italia a Lugano si verifichino, secondo fonti giornalistiche, 30-40 richieste giornaliere di iscrizione all’AIRE. Molte aziende italiane si trasferiscono in Ticino.
Circa il mantenimento della Svizzera nelle liste nere, alcuni osservatori ticinesi fanno inoltre notare che, in fatto di moralità fiscale, la Svizzera si colloca ai primi posti su scala internazionale, a differenza dell’Italia. Del resto sono le stesse autorità italiane a lamentare un’economia sommersa impressionante, una corruzione spaventosa e un’evasione fiscale diffusa. I media svizzeri non evitano di sottolineare anche che in Italia la pressione fiscale è altissima, persino esagerata, il prodotto interno lordo diminuisce (Italia fanalino di coda del G7) mentre aumenta la disoccupazione… e il debito pubblico!
Se a livello nazionale le relazioni bilaterali tendono alla normalizzazione e a ulteriori sviluppi (molto dipenderà dal prossimo incontro tra il premier Monti e la presidente della Confederazione Widmer-Schlumpf), a livello Ticino-Italia i rapporti sembrano più problematici. Se sul piano istituzionale le prospettive di collaborazione sono buone (si pensi alle potenzialità della Regione Insubrica e all’Expo Milano 2015), sul piano sociale, mediatico e finanziario (questione frontalieri) restano più incerte.

Ticino-Italia: rapporto problematico
Circa un anno fa si è sviluppato sulla stampa ticinese uno scambio di opinioni sui rapporti Ticino-Italia, interessante per comprendere quale sia ancora oggi (dopo oltre un secolo di discussioni!) la difficoltà di un approccio sereno, obiettivo e collaborativo. Di fronte a chi sosteneva che tra Ticino e Italia ci sono molti punti in comune nel bene (intensi scambi linguistici e culturali) come nel male (ad esempio vicinanza tra Lega Nord e Lega dei Ticinesi, questione dei frontalieri, ecc.), altri insorgevano richiamando alla prudenza in questo genere di paragoni non solo a causa dell’attuale situazione dell’«Italia allo sfascio», dell’«Italia nel baratro», ma per la diversità del sistema di valori, che nel Bel Paese è ormai vittima di una corruzione diffusa e un’illegalità istituzionalizzata.
Lo stesso consigliere nazionale Ignazio Cassis, un paladino dell’italianità svizzera, era intervenuto per denunciare che molti ticinesi considerano l’Europa «una nebulosa caotica e fallimentare, senza storia né futuro», forse «perché assimilano fatalmente l’Europa all’Italia: il Paese che dopo 60 anni dalla seconda guerra mondiale ancora non ha saputo avviare un vero processo di innovazione che unisca il Paese» e «dove lo sport nazionale consiste nel voler fregare lo Stato, perché lo Stato è nemico».
Mi sembra auspicabile, a questo punto, che quanto prima si giunga ai necessari chiarimenti, se non altro perché l’italianità della Svizzera da ogni possibile confronto ne esca rafforzata e non mortificata e pesantemente indebolita.

Giovanni Longu
Berna, 30.05.2012

Nessun commento:

Posta un commento