28 marzo 2012

Italia-Svizzera : a quando la ripresa del dialogo?

A dar credito ad autorevoli voci nazionali e internazionali, l’Italia del secondo semestre dell’anno scorso sembrava dirigersi inesorabilmente sulla scia della Grecia verso la bancarotta. Personalmente non ho mai condiviso tanto pessimismo, anche se ritenevo allarmante il crescente divario tra l’Italia e i principali Paesi competitori europei. Ho pure sempre individuato nella cattiva politica la causa principale del mancato sviluppo dell’Italia negli ultimi decenni, per cui ho ben visto le iniziative del governo «tecnico» a guida Monti, anche se non mi hanno convinto del tutto la tempistica e l’ordine di priorità degli interventi.

Sul medio e lungo periodo ritengo tuttavia che il governo Monti riuscirà a «rimediare a molti mali fatti negli ultimi decenni» e a «mettere l'Italia sul sentiero della crescita e sulla diminuzione delle tasse», come annunciato recentemente dallo stesso premier . Soprattutto l’introduzione di alcune riforme strutturali riguardanti il sistema pensionistico, la flessibilità nel mercato del lavoro, le liberalizzazioni, il sistema fiscale e la lotta all’evasione sembrano dare speranza per la messa in sicurezza dei conti dello Stato e per un prossimo allineamento dell’Italia alle prestazioni dei Paesi europei più dinamici ed efficienti.
In questo sforzo di avvicinamento all’Europa del governo Monti ha certamente rappresentato uno stimolo l’esempio tedesco e il plauso delle principali istituzioni europee e internazionali. Proprio guardando all’esempio tedesco trovo alquanto sorprendente che l’Italia non abbia imitato la Germania (e la Gran Bretagna) nel tentativo di regolare bilateralmente i rapporti fiscali con la vicina Svizzera .

Peggioramento dei rapporti bilaterali
Come noto, la Gran Bretagna ha concluso giorni fa l’accordo con la Svizzera sul modello Kubik (di cui si è più volta parlato in questa rubrica) e anche la Germania si appresta a farlo, salvo imprevisti legati alla forte opposizione dei socialisti tedeschi. Resta comunque il fatto che il negoziato anche tra Germania e Svizzera è stato avviato e da entrambe le parti si nutre ottimismo circa la sua conclusione . Perché il governo Monti si ostina a non volerlo nemmeno iniziare?
La sorpresa è legittima anche alla luce dell’ottimo andamento degli scambi commerciali (l’interscambio aumenta costantemente e soprattutto l’export italiano «continua a correre» , come ha scritto recentemente un quotidiano ticinese). Ed è ancor più sorprendente che ciononostante l’Italia unilateralmente si ostini a tenere la Svizzera in una «black list», sebbene non rappresenti più un paradiso fiscale .
Sorprende e preoccupa questo atteggiamento di chiusura dell’Italia perché è facile osservare che le relazioni tra due Paesi tradizionalmente amici e solidali sono in continuo peggioramento . Cresce, soprattutto in Ticino, un sentimento antitaliano, che rischia di scaricarsi sulle decine di migliaia di lavoratori frontalieri. Nei loro riguardi sono ricomparsi titoli di giornale che richiamano il blocco della frontiera svizzera durante la guerra nei confronti degli ebrei in fuga: «Frontalieri, quando la barca è piena» (on. Lorenzo Quadri, Lega dei Ticinesi) . All’inizio di marzo è risuonato l’appello del Ticino alle autorità federali per una «reintroduzione dei contingenti» attivando una clausola prevista dagli Accordi bilaterali Unione Europea-Svizzera .
Praticamente non c’è più opposizione al mantenimento del blocco parziale del versamento all’Italia della parte d’imposta alla fonte prelevata sui salari dei frontalieri. A nulla sono valse finora le contrarietà del Consiglio federale a questa misura, che rischia di danneggiare ancora di più le relazioni bilaterali con l’Italia .

Il Consiglio nazionale sostiene il Ticino
E’ di qualche settimana fa l’approvazione da parte del Consiglio nazionale (contro il parere del Consiglio federale) di un’iniziativa del Cantone Ticino per una riduzione della percentuale di ristorno delle imposte dei frontalieri dal 38,8 al 12,5% (suscitando le ira dei Comuni lombardi e piemontesi della fascia di frontiera con la Svizzera). Si è voluto così lanciare un segnale forte all’Italia per il suo «atteggiamento ostile al libero mercato e alla reciprocità nel campo degli Accordi bilaterali» (on. Fulvio Pelli, presidente del PLR svizzero).
Le reazioni negative a questo stato di cose sono davvero tante. Credo che il governo Monti dovrebbe tenerne conto, pensando anche al mezzo milione di connazionali che in Svizzera si guadagnano degnamente da vivere e soffrono di questa mancanza di dialogo, che rende anche più difficile la collaborazione soprattutto per la valorizzazione dell’italianità.

Giovanni Longu
Berna, 28.03.2012

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