19 ottobre 2011

Stato di diritto e politica

L’Italia è stata la patria del diritto; ma fa di tutto per dimenticarsene. Ha messo al mondo una delle più belle costituzioni, ma la sua osservanza sembra un miraggio. Le istituzioni repubblicane dovrebbero concorrere a realizzare il bene comune e invece sembrano capaci solo di generare il malcontento generale. Gli «indignati» sono ormai milioni. Una disgrazia, per un Paese con un alto potenziale di riuscita, che mentre festeggia 150 anni di storia unitaria è lacerato profondamente. Per uscire dalla crisi basterebbe osservare la Costituzione, ispirandosi al suo principio fondamentale: la sovranità appartiene al popolo.

La politica è deragliata
Non credo occorrano studi di diritto per comprendere la portata dell’articolo 1, che recita: «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». In altre parole, la sovranità, ossia il potere dello Stato, appartiene al popolo.
Nelle democrazie moderne, ispirate al modello del «governo del popolo», il potere dovrebbe essere esercitato dai tre organi dello Stato: Parlamento, Governo e Magistratura, chiamati impropriamente «poteri». Dovrebbero esercitare solo «funzioni» (legislativa, esecutiva, giudiziaria), ma si continua a chiamarli «poteri» e, quel che è peggio, ognuno si comporta come il vero detentore del potere, nonostante l’articolo costituzionale citato e il principio della separazione dei «poteri» adottato da tutte le costituzioni moderne. Mai, credo, le istituzioni italiane si sono trovate in perenne conflitto come in questi tempi. La sovranità del popolo sembra completamente dimenticata.
Quello che un tempo si chiamava «Stato di diritto» e rispecchiava la sovranità popolare, sembra essersi trasformato in una sorta di arena in cui troppi protagonisti cercano di accaparrarsi la fetta più grande del potere, senza alcun ritegno. L’espressione «lotta politica» è ormai di uso quotidiano, e i concorrenti sono diventati avversari o nemici da distruggere o da sottomettere. Ogni protagonista si sente legittimato, anche solo per il fatto di essere stato eletto o di poter indossare una toga, ad esercitare il «suo» potere in nome del popolo italiano e a dare patenti di legittimità ad altri concorrenti-avversari.
Parlamento, Governo, Magistratura si comportano come se fossero i fondamenti del diritto, dimenticando che a loro spetta solo di gestirlo, precisarlo, amministrarlo perché il popolo possa vivere in pace e progredire. La politica italiana è deragliata, è fuori controllo.

Un Parlamento schizofrenico
La fotografia più emblematica del Parlamento italiano vista da milioni di telespettatori è forse quella dell’Aula semivuota della Camera dei Deputati quando qualche giorno fa il Presidente del Consiglio dei ministri chiedeva l’ennesima fiducia. Le opposizioni si erano dileguate, in barba a tutti i principi di democrazia, per segnalare anche fisicamente il loro totale dissenso dalla politica del governo. Era l’immagine di un Parlamento dove l’incomunicabilità tra maggioranza e opposizioni regna sovrana e la collaborazione è ridotta a zero.
Lungi da me assolvere la maggioranza e il governo, poco efficaci e poco credibili, ma sono soprattutto le opposizioni che lasciano allibiti. Non si rendono conto che il loro oltranzismo contro tutto quello che il governo legittimo di Berlusconi tenta di fare danneggia l’Italia. Negare il proprio contributo a migliorare disegni di legge è sabotare un’istituzione della Repubblica. Chiedere le dimissioni del capo del governo è legittimo, invocarne la caduta per implosione anche, ma non arrendersi all’evidenza che in oltre 50 voti di fiducia le opposizioni non si sono nemmeno avvicinate al numero fatale per mandarlo a casa è cocciutaggine.
Lo dice la Costituzione: «La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni» (art.60). E ancora: «il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni» (art. 94). Perché dunque questa richiesta assordante delle dimissioni del governo anche senza voto di sfiducia? Non sarebbe il caso che siano proprio le opposizioni a fare un passo indietro e a dare un contributo disinteressato per far uscire l’Italia dalla crisi? Sarebbe tanto facile e soprattutto utile al Paese. Nel frattempo possono prepararsi alle prossime elezioni sperando di vincerle per dare poi loro la dimostrazione del buon governo.
La Costituzione dice ancora, all’articolo 67, che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Di fatto guai a chi non segue la disciplina del partito di appartenenza. Ne sanno qualcosa i radicali eletti nelle file del Partito democratico. Non avendo disertato l’Aula durante il recente discorso di Berlusconi sulla fiducia, per rispetto delle istituzioni ma in dissenso col Pd in cui sono stati eletti, sono stati attaccati violentemente dai vertici del partito. «Quanto tempo ancora un partito come il mio deve sopportare questa umiliazione?» avrebbe detto la presidente del Pd Rosy Bindi, aggiungendo: «spero che qualcuno prenda le decisioni del caso». In barba all’autonomia dei singoli deputati e senatori.

Un Governo che non governa
E il governo che fa? Dovrebbe governare, ossia cercare di risolvere i problemi del Paese, ma non governa, o almeno non in maniera adeguata, perché non riesce nemmeno a governare sé stesso. Non è solo colpa delle opposizioni. Sembra bloccato soprattutto per una serie di contrasti in seno alla maggioranza che lo sostiene, ma anche per dissidi interni tra ministri e specialmente tra qualche ministro e il presidente del Consiglio.
Alla vigilia dell’approvazione del disegno di legge di stabilità più di un ministro aveva minacciato di votare contro se ci fossero stati altri tagli al suo ministero. Siamo ai ricatti? Sembrerebbe di sì e questo è un oltraggio alla collegialità, ma anche un sintomo grave della debolezza dell’attuale governo. Il presidente del Consiglio dovrebbe intervenire avendone i poteri, perché è lui che secondo la Costituzione «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri» (art. 95). Sente di non farcela? Coerenza vorrebbe che si dimettesse, altrimenti … deve agire e senza ulteriori indugi.

Magistratura senza autocritica
Da alcuni anni i giudici, un tempo considerati persone austere e riservate, sono divenuti protagonisti della scena pubblica, si credono i veri interpreti del diritto, anzi in taluni casi le fonti del diritto. Eppure gli errori anche clamorosi di investigazioni sbagliate o insufficienti, di sentenze approvate in primo grado e annullate in secondo o terzo grado sono sotto gli occhi di tutti, persino all’estero. La delicatezza del loro compito meriterebbe maggiore prudenza e riservatezza e forse anche un po’ più di modestia e di autocritica.
E’ infatti anomalo che se un tribunale d’appello capovolge la sentenza di primo grado, nessun giudice ammetterà di essersi sbagliato, ma continuerà a dire che in Italia la giustizia prima o poi arriva. Se un innocente si è fatto diversi anni di galera ingiustamente non si troverà mai un responsabile, perché la giustizia è per definizione giusta! Se invece vengono inviati ispettori del Ministero di grazia e giustizia al tribunale di Napoli, il procuratore Lepore lo trova scandaloso: «Vogliono delegittimare la procura». E il populista Antonio Di Pietro (Idv) parla addirittura di «un colpo aberrante allo Stato di diritto» perché sarebbe «un'iniziativa per intimidire i magistrati delle due città meridionali solo perché stanno indagando sul premier». Di rimando, la maggioranza replica che un tale atteggiamento altro non è che una «dichiarazione di guerra al ministro della Giustizia». A chi credere?
Qui non si tratta di credere, ma di guardare ai fatti. E i fatti non assolvono nessuno perché le lotte fra i «poteri» dello Stato sono manifeste e gravi. Il terreno di scontro più evidente e più nocivo per l’equilibrio dei «poteri» e per l’affermazione del diritto è senz’altro quello della giustizia. Troppi veti incrociati impediscono un riordino della materia. Una delle conseguenze è il dilagare delle intercettazioni, divenute strumenti di lotta politica anche se inservibili ai fini processuali. In nome del diritto d’informazione e d’opinione si è così diffuso in Italia un sistema mediatico di linciaggio personale che non ha paragoni in alcun altro Paese occidentale. Una larga fetta della stampa quotidiana e periodica vive ormai quasi esclusivamente di gossip, decretando purtroppo anche la mediocrità dell’intero sistema mediatico nazionale.

Ritornare alla fonte del diritto
A questo punto non basta il presidente Napolitano a ridare fiducia agli italiani. Occorre che il popolo italiano si renda conto che al di fuori delle regole e del rispetto delle regole non ci può essere una Comunità. Sta ad esso creare il diritto e farlo rispettare, secondo l’assioma latino «ubi societas ibi ius» (dove c’è una società civile, lì c’è il diritto), in quanto é la società civile – e non solo la comunità politica o mediatica – che crea il diritto.

Giovanni Longu
Berna, 19.10.2011