28 settembre 2011

Celebrazioni dell’Unità d’Italia: non solo amor di patria

In queste ultime settimane si sono svolti o stanno per svolgersi in diverse città svizzere festeggiamenti per il 150° anniversario dell’unità d’Italia. Espressione di un sincero amor di patria o tentativo di segnalare una forte presenza della collettività italiana residente in Svizzera? Probabilmente l’una e l’altro, ma non solo.
L’amor di patria, anche se in forma meno romantica e appariscente di una volta, è sicuramente presente in gran parte degli italiani che vivono all’estero. Basti pensare al disagio ch’essi provano nel leggere e sentire le frequenti notizie di scandali e di degrado provenienti dall’Italia e alla gioia ogniqualvolta un italiano o un prodotto italiano si colloca ai vertici delle classifiche internazionali.
Le celebrazioni di queste settimane sembrano però anche l’espressione di una volontà ampiamente condivisa di segnalare alle istituzioni soprattutto italiane ma anche svizzere la presenza in questo Paese di una collettività italiana consistente e importante, ma purtroppo trascurata.
Tuttavia la spinta maggiore a commemorare e festeggiare la nascita dello Stato italiano è forse la ricerca di un’identità e di un senso di appartenenza all’Italia, che incontrano sempre maggiori ostacoli.

Ostacoli all’identità e al senso di appartenenza
Non si tratta di ostacoli facilmente individuabili, ma di una percezione (soggettiva) indotta anzitutto dalla costatazione (oggettiva) di un sempre maggiore allontanamento delle istituzione italiani dai problemi dei cittadini e dalla carenza di stimoli per un rafforzamento dei legami storici, affettivi e culturali con l’Italia. A questa costatazione se ne aggiunge anche un’altra, anch’essa oggettiva, legata alla storia e alla demografia di una parte consistente della collettività italiana, quella della sempre maggiore integrazione in questo Paese.
Purtroppo gli italiani residenti in Svizzera sono costretti ormai da alcuni decenni a veder diminuire il grado di attenzione nei loro confronti da parte delle istituzioni italiane. Non solo il Parlamento e il Governo della Repubblica sembrano disinteressarsi dei loro problemi ma anche tutte le altre istituzioni diplomatiche, consolari e di rappresentanza presenti nella Confederazione.
E’ sotto gli occhi di tutti che i rapporti tra la «colonia» italiana in Svizzera e la madrepatria non sono soddisfacenti. Basti pensare all’insoddisfazione diffusa dei connazionali nei confronti dei servizi consolari, dei servizi scolastici (corsi di lingua e cultura, sostegno parascolastico), dei servizi di rappresentanza (CGIE, Comites, e altri organismi di rappresentanza). Con la giustificazione della scarsità di risorse messe a disposizione dal governo, l’intera struttura di sostegno dell’italianità fuori d’Italia sta perdendo ogni giorno di più consistenza ed efficacia. Insieme alle risorse sembrano venir meno anche la motivazione, l’interesse e persino il rispetto nei confronti dei connazionali.
Questi uffici, a cominciare da quelli dell’Ambasciata, sembrano ignorare ad esempio il dovere civile anche se non giuridico di rispondere alle richieste dei concittadini: vizio ormai incancrenito e di difficile estirpazione soprattutto ora che la scusa è facile, la mancanza di personale. Sarà anche vero, ma certamente non tale da giustificare che persino il sito dell’Ambasciata fino a pochi giorni fa fosse così trascurato da non registrare nell’organigramma degli uffici i nomi dell’attuale ambasciatore e del vice capo missione, ma ancora quelli dei predecessori.

Sottovalutazione di una risorsa importanza
Da alcuni decenni si assiste impotenti alla sottovalutazione della risorsa che dovrebbe rappresentare per l’Italia una collettività di oltre mezzo milione di persone, in gran parte ben integrate nel Paese più ricco del mondo e uno dei suoi principali partner commerciali. Mancano gli stimoli, manca l’iniziativa, manca soprattutto la volontà di valorizzare questa risorsa. Quando i motori della vita sociale degli immigrati erano le associazioni, le istituzioni ufficiali erano un punto di riferimento e un sostegno sicuro. Ora, col venir meno dell’associazionismo solidale, sostituito malauguratamente da organizzazioni partitiche più faziose che solidali, anche il sostegno istituzionale sembra ridotto al lumicino. Basta osservare la pochezza della politica scolastica e culturale e la privazione di qualunque sostegno finanziario anche a iniziative meritevoli come le celebrazioni per il 150° dell’unità d’Italia.
Tralascio, per evitare inutili polemiche, CGIE, Comites, parlamentari eletti all’estero, enti gestori, ecc. che meriterebbero da soli considerazioni separate soprattutto circa la loro rappresentatività ed la loro reale utilità.

La questione dell’identità delle giovani generazioni
Ci sono poi ragioni intrinseche alla collettività italiana che rendono alquanto problematica un’eventuale identità degli italiani in Svizzera. Occorre infatti ricordare che quando si parla della collettività italiana in Svizzera si fa una sorta di sommatoria di realtà assai diverse. Basti pensare alle differenze generazionali o anche solo alle differenze davvero enormi tra l’immigrazione degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e quella più recente, caratterizzate da conoscenze e competenze assai diverse.
Altra grande differenza riguarda il luogo di nascita e di conseguenza il grado d’integrazione: se i nati in Italia mostrano un più stretto legame col Paese d’origine, le generazioni più giovani sono nate e cresciute prevalentemente in questo Paese, di cui condividono ormai quasi tutto nel modo di pensare, di vivere e di guardare al futuro. Per non parlare dei doppi cittadini, che hanno compiuto interamente il percorso spesso accidentato dell’integrazione fino al godimento della pienezza dei diritti civili e politici.
Il richiamo ai giovani mi sembra necessario perché in questo contesto essi rappresentano indubbiamente il punto più debole. Sotto il profilo dell’identità e del senso di appartenenza sono infatti i giovani che subiscono il danno maggiore, perché le vecchie generazioni non sono state in grado di interessarli e integrarli nelle loro strutture organizzative, congelando organigrammi e impegni societari (assemblea annuale ed eventuale festa connessa) allo stato di decenni orsono e dimostrando, salvo rare ed encomiabili eccezioni, una totale chiusura al rinnovamento e all’innovazione.
Nei confronti delle giovani generazioni ho sentito più volte giudizi di grande apprezzamento per il loro grado d’integrazione in seno alla collettività svizzera e per la facilità (rispetto ai loro nonni e genitori) con cui oggi riescono ad aprire molte porte, comprese quelle del potere. Ma ho sentito anche giudizi di rassegnazione nei loro confronti, come se fossero generazioni perse per l’Italia e persino per l’italianità. E’ per questo che sono state pochissimo coinvolte non solo nell’organizzazione ma anche nella tipologia delle manifestazioni?

Che senso hanno le celebrazioni?
A questo punto ci si può chiedere cosa rappresentino veramente per i giovani connazionali, soprattutto quelli di seconda e terza generazione, le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia. Credo francamente poco, anche perché queste manifestazioni, di fronte ad un prevalente carattere di festa popolare e di mercato culinario, offrono ai giovani pochissimi spazi di riflessione e di approfondimento. L’aspetto festivo è indubbiamente importante (soprattutto se inteso come «festa dell’amicizia italo-svizzera» e allietato nientemeno che dalla sfilata della fanfara dei bersaglieri, come nelle celebrazioni di Basilea), ma l’aspetto culturale andava forse meglio curato e sviluppato.
Data la ristrettezza delle risorse a disposizione dei vari comitati organizzatori, a cui va riconosciuto un grande senso di altruismo e d’impegno, non dev’essere stato facile organizzare manifestazioni così varie e complesse come quelle di Basilea, di Grenchen, di Berna, di Zurigo, di Lucerna, e numerose altre città svizzere. Mi pare tuttavia legittimo chiedersi se queste celebrazioni siano una risposta efficace al desiderio diffuso di un’identità «italiana» e alla rivendicazione dell’appartenenza alla grande famiglia italiana. Altrettanto legittima mi pare la risposta negativa, anche se andrebbe modulata caso per caso. L’attenuante generica è sicuramente la pochezza di mezzi disponibili, l’aggravante è che in nessuna programmazione è stata prevista una specifica riflessione, con il coinvolgimento delle giovani generazioni, sul loro senso di identità e di appartenenza.
Queste celebrazioni, che hanno un preciso riferimento storico e culturale, avrebbero potuto (ma forse potrebbero ancora) offrire ai giovani un’occasione straordinaria per una riflessione su molti aspetti che li riguardano da vicino. Essendo abituati a sottolineare soprattutto le differenze tra l’Italia e la Svizzera, sarebbe stato utile approfondire le somiglianze e i legami tra i due Paesi. Penso non solo alla storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, che coincide grossomodo con i 150 anni delle celebrazioni, ma anche alla costituzione dei due Stati quale risultato di una espressa volontà popolare (per cui non solo la Svizzera ma anche l’Italia è una Willensnation), agli intensi rapporti che si sono sviluppati nei vari campi tra i due Paesi amici, alla componente italiana radicata nella storia e nella società svizzera, all’integrazione di entrambi i Paesi in un contesto europeo (come probabilmente emergerà nel corso della celebrazione a Grenchen il 1° ottobre prossimo).
Starà ora soprattutto alla capacità e all’interesse degli stessi giovani italiani e italo-svizzeri sviluppare il senso di appartenenza a una cultura che accomuna l’Italia e la Svizzera e trovare motivazioni sufficienti per difendere la loro italianità «svizzera».

Giovanni Longu
Berna 28.09.2011