14 settembre 2011

Crisi economica o crisi della politica italiana?

In tutto il mondo i cittadini stanno riscoprendo la centralità della politica, soprattutto sotto forma di protesta. Lo si osserva chiaramente nei Paesi di area musulmana (Libia, Egitto, Siria, Tunisia, ecc.) dove il popolo cerca di riappropriarsi dei diritti fondamentali, primi fra tutti la libertà personale e d’opinione e il diritto di decidere da chi farsi governare. Ma anche nei Paesi cosiddetti a democrazia avanzata i cittadini si sollevano in difesa di uno stato sociale che la crisi internazionale e l’egoismo delle varie caste rischia di fare arretrare. Nei primi occorrerà ancora del tempo prima di osservare in che direzione il popolo deciderà di riorientare la politica nazionale, nei secondi occorre invece agire in fretta e compatti perché la crisi internazionale rischia di colpire soprattutto i Paesi più deboli. In entrambi i casi la protesta sarà tanto più efficace quanto più sarà propositiva e sostenibile.

Qualche giorno fa, un attento osservatore della crisi, il giornalista svizzero Alfonso Tuor, affermava senza mezzi termini: «il mondo occidentale è sull’orlo di una depressione e la moneta unica europea nella sua forma attuale non sopravviverà». Non sono un profeta e non lo è nemmeno Tuor, pertanto è pensabile che le cose possano evolvere diversamente. E’ tuttavia sotto gli occhi di tutti che la crisi non accenna a calmare i mercati finanziari e a dare respiro all’auspicata crescita necessaria per risolvere la causa principale delle difficoltà, ossia il debito pubblico fuori controllo.

L’Italia in pericolo
Credo che, stando a vari indicatori, l’Italia sia uno dei Paesi maggiormente a rischio e se non s’interviene presto e bene la situazione potrebbe deteriorarsi. A rimetterci sarebbero soprattutto i ceti più deboli. Fanno dunque bene quei cittadini che vogliono salvaguardare a tutti i costi i diritti acquisiti e impedire che il livello di stato sociale raggiunto (diritto al lavoro, reti sociali, partecipazione al benessere, ecc.) si abbassi.
Purtroppo la manovra finanziaria approvata dal governo è contestata da più parti e ritenuta dal citato Tuor «assolutamente insufficiente, poiché si fonda su previsioni di crescita economica irrealistiche». Personalmente non so valutare se e quanto sarà efficace, ma sono convinto che il risultato dipenderà non solo dal governo ma anche dalle opposizioni. Finché una parte importante della politica sembra più interessata alla caduta del governo che alla soluzione concreta e immediata dei problemi, ho forti dubbi che anche una diversa manovra finanziaria sarebbe risolutiva.
La crisi in atto avrebbe potuto essere, per il governo e per le opposizioni, un grande momento di convergenza di tutti gli sforzi possibili non solo per tranquillizzare i mercati ma anche per rilanciare l’economia e rafforzare lo stato sociale. Avrebbe potuto essere anche un’occasione da non perdere per rimediare alle attuali ingiustizie e promuovere una maggiore giustizia e solidarietà sociale, chiamando ad esempio i più ricchi a contribuire più di chiunque altro al risanamento dei conti pubblici.
Purtroppo questo richiamo a un maggior senso di giustizia e di solidarietà, trova poco riscontro nei media e nell’opinione pubblica. A prevalere sono ancora e sempre le contrapposizioni, gli scandali, le accuse reciproche. Eppure la percezione dello stato di difficoltà e di pericolo in cui si trova l’economia italiana e l’intero equilibrio del sistema Italia dovrebbe caratterizzare tutte le persone responsabili. Questa situazione, più della stessa crisi, mi pare oltremodo preoccupante.

Il pericolo maggiore
Mi preoccupano le esagerazioni e la demagogia cinica per cui una manovra probabilmente migliorabile, ma sicuramente efficace e comunque approvata dalla maggioranza dei rappresentanti del popolo italiano e dalle principali istituzioni internazionali, in certi ambienti di sinistra venga qualificata come «una macelleria sociale contro il ceto medio e le famiglie con figli».
Posso capire che il Partito democratico in Svizzera sia antigovernativo, ma trovo incivile e irresponsabile il disprezzo che dimostra per «il sedicente governo» (così in un recente comunicato stampa), come se fosse il frutto di una usurpazione e non espressione della maggioranza del popolo italiano. La manovra, come detto, sarà pure insufficiente e squilibrata e pertanto criticabile, ma è semplicemente arbitrario e addirittura ridicolo attribuire al governo in questa manovra un carattere vessatorio in quanto, secondo il PD Svizzera, «in realtà toglie anche i pantaloni a chi oggi è in difficoltà e si vede sempre più tartassato, lasciando costoro letteralmente “in mutande”, compresi i cittadini italiani che vivono fuori dal territorio nazionale», «una manovra economica che cosiffatta premia nei fatti i furbi e condanna i deboli».
Questo dovrebbe essere non tanto il momento delle critiche strumentali e delle inutili contrapposizioni, quanto piuttosto quello della compattezza e della solidarietà. Eppure, nonostante l’evidenza dei pericoli per l’economia italiana, per lo stato sociale e per l’Italia si continua a guerreggiare per una specie di resa dei conti tra le parti contendenti. E’ la crisi del sistema politico italiano e della democrazia che fa paura e rende difficile qualsiasi manovra.

Giovanni Longu
Berna 14.9.2011

Micheline Calmy-Rey se ne va

La settimana scorsa, la consigliera federale Calmy-Rey, capo del Dipartimento degli affari esteri e attuale presidente della Confederazione, ha rassegnato le dimissioni per la fine dell’anno. Personaggio complesso e controverso, criticato dagli avversari politici (soprattutto della destra) e stimato dai suoi sostenitori (di sinistra), in nove anni di governo ha voluto e saputo rafforzare l’immagine della Svizzera nel mondo.
Fino a pochi decenni fa, la politica estera della Confederazione era di fatto diretta dai ministri economici, impegnati a vendere e difendere il marchio svizzero nel mondo. Calmy-Rey ha riaffermato la centralità della politica estera tra gli interessi superiori del Paese, rafforzando di fatto le competenze del Dipartimento degli affari esteri e del suo responsabile. Nel suo lavoro, la ministra ha agito, non sempre ottenendo risultati soddisfacenti, su più fronti: diplomazia, partecipazione attiva negli organismi internazionali, difesa dei diritti umani, integrazione e rafforzamento dell’aiuto svizzero allo sviluppo nella politica estera.

Calmy-Rey e l’Italia
Nei confronti dell’Italia la ministra svizzera ha inteso difendere, come si conviene a qualunque rappresentante di uno Stato, gli interessi nazionali, ma lo ha fatto tenendo presente 150 anni di amicizia italo-svizzera. Un’amicizia che non può essere di punto in bianco rinnegata a causa di qualche intemperanza di un ministro della Repubblica o di una reazione della maggioranza di un governo cantonale. Le intemperanze, contestatissime soprattutto in Ticino, si riferiscono evidentemente al ministro Tremonti e riguardano il contenzioso italo-svizzero in materia fiscale. Le reazioni «inopportune» della maggioranza di un governo cantonale sono invece quelle del Consiglio di Stato ticinese.
Di fronte alle irritazioni per l’atteggiamento scostante di Tremonti, il Ticino aveva reagito con la sospensione dei ristorni delle imposte pagate dai frontalieri in Svizzera. Alla Calmy-Rey questa reazione non era piaciuta e in una lettera al governo ticinese aveva scritto chiaramente che «la sospensione del ristorno del provento dell’imposta alla fonte prelevata sui redditi dei frontalieri italiani non è una misura opportuna per il momento poiché contraddice la strada del dialogo che si sta perseguendo».

In effetti la Calmy-Rey si è fortemente impegnata per il dialogo italo-svizzero incontrando sia il ministro degli esteri italiano Frattini e sia lo stesso Presidente del Consiglio Berlusconi. Da entrambi ha ricevuto assicurazioni sulla riapertura del negoziato, proprio in settembre.
Nello spirito del buon vicinato, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, la ministra Calmy-Rey aveva salutato la ricorrenza con un messaggio (pubblicato dal Corriere degli Italiani) in cui ricordava sinteticamente l’intera storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, dandone questo giudizio: «E’ poco affermare che gli italiani hanno contribuito sensibilmente al rapido aumento del benessere del nostro Paese, e di questo siamo loro riconoscenti». Chiudeva il suo scritto con l’auspicio che la Svizzera e l’Italia possano «mantenere e intensificare il dialogo in un clima che favorisca uno scambio intenso e fruttuoso».

Marina Carobbio Guscetti? Perché no?

E’ già partita la corsa alla successione di Micheline Calmy-Rey. Speriamo che a succederle sia una persona che abbia ancora a cuore i tradizionali buoni rapporti tra la Svizzera e l’Italia. Potrebbe essere la consigliera nazionale Marina Carobbio Guscetti? Perché no? Del resto, chi più di lei, in quanto italofona e ticinese, potrebbe rendere il dialogo tra i due Paesi più leale, intenso e fruttuoso? La storia delle relazioni bilaterali ha conosciuto probabilmente i momenti migliori quando sedeva in Consiglio federale un italofono o comunque una persona che conosceva bene oltre l’italiano anche l’Italia e gli italiani.

Giovanni Longu
Berna 14.9.2011